Corri a riprenderti il tuo tempo. Sii esempio, umano contro i mostri. Non accontentarti o sarai schiavo. Lettera ad un maturando.
Già immagino quanto starai fremendo. Ti si è fermato tutto intorno, vedi solo il foglio, assaggi la disciplina. La stessa che ti hanno fatto vivere durante gli anni. Ma oggi si fa sul serio. Non ci si gira, non ci si alza. Si rimane in silenzio. Fermo al banco. Sei ore, più lunghe del solito. Un supplizio.
Mi ricorda il concorso nei Carabinieri, gli assomiglia, ma è ancora presto, non sai cosa significa confondersi tra tanti coetanei che non vedono l’ora, dall’alba di un giorno qualunque, di mettersi gli alamari sul collo. Forse, lo scoprirai presto, forse no. Ma l’Esame di Stato, la maturità, un po’ gli somiglia.
Ansia, incredibile, immonda, salvifica ansia. Non ti dimenticherai mai questo momento. Ed è giusto che sia così. Perché il Grand Tour dell’esistenza è fatto di tappe e memoria, scalini certi, solidi su cui appoggiarsi per la scalata del futuro. Non lo dimenticare mai, oggi, nell’evanescenza che ti copre gli occhi, e ti abbraccia come lo spirito di un defunto disgraziato che del proprio tempo non ha saputo fare niente, se non aspettare e lamentarsi, lamentarsi e fare la vittima.
Vite e momenti salvate dalla memoria ram, volatile, per essere cancellati, rimpiazzati, perfezionati, virtualizzati. Una foto in jpeg che rimarrà in qualche cartella della vostra anima, che nessuno stamperà mai. Se non voi.
Fratelli, oggi vi giocate la vostra possibilità. Non di entrare nel mondo del lavoro, di eccellere in accademia, di farvi la macchina nuova, ma di scegliere se essere capitani del domani o servitori della gleba. Tranquilli, non è moralismo da fratello maggiore. Ma non so se avete notato che piega ha preso il mondo rispetto a qualche anno fa. Gli uomini contano meno di un drone di Amazon e crearsi una famiglia è un lusso per pochi fortunati. Così quanto per il diritto di essere consapevolmente liberi da ogni egemonia culturale, ideale, da ogni danarosa strettoia. Di sentirsi in pace con la propria terra, con le proprie origini, con il proprio sesso nelle mutande. Per la prima volta, forse, nella lunga maratona della storia, si è radicalizzato al potere un concetto perverso e pericoloso dello stare al mondo, che supera ogni guerra, ogni pestilenza, ogni carestia, ogni barbarie. Non dovete spaventarvi, dovete ricordarvelo. Tutto questo sceglie per voi, perché appena partoriti dal sistema dell’istruzione, possiate subito essere un numero che esegue mansioni, che non si fa distrarre da nessun valore spontaneo che nutre la vostra anima dentro di voi. Come il sogno, la passione, la vitalità, il pudore, il silenzio, la purezza. La volontà. Per mantenervi lucidi e vivi, per non farvi annichilire, per non morire intirizziti a ventanni ancora prima di nascere, saranno proprio le scelte che farete a partire da oggi che vi indicheranno la strada. Militanti o replicanti. Oggi più di ieri non c’è tempo da perdere.
Simboli, nutritevi di simboli, di archetipi, di ispirazioni. Respirate un’aria nuova. Simboli, a partire da oggi. La maturità che comincia il giorno del solstizio d’estate. Una luce di nascita, un battesimo, un sole nuovo in cui rinnovarvi. Troviate sempre una dimensione ulteriore, che sia Dio, che sia una legge d’attrazione; non vi accontentiate mai, guardate sempre oltre le nuvole. Esplorate, cercate di capire, non capite, incazzatevi. Sentitevi piccoli, falliti ed insignificanti, poi reagite, duramente, siate persone. Rinascete.
Ragazzi, dedicatevi la strada e la vita. Non fatevi distrarre. Riempite di significati il vostro muovermi nelle vie affollate di gente che corre su un binario. A partire da una generazione scientifica, nomenclata, sussurrata, evocata solo per le disgrazie, per la Blue Whale, per i cazzotti a caso ai passanti, per i giochini imbecilli, per le bufale in cui, secondo tutti, cascate quotidianamente. Una generazione che sembra non lasciare traccia, né i pantaloni a zampa d’elefante, né musica degna della storia, né una benché piccola rivoluzione. Vi diranno che è un’accozzaglia di intrugli vari, figliastri di una confusione che solo questa generazione a cavallo poteva avere. Eppure ricordate che le generazioni a cavallo hanno fatto grande la storia. Hanno partorito il Barocco dal Rinascimento, sono corse sul Carso a creare l’Italia dal nulla dell’affarismo risorgimentale, hanno fatto cadere muri in Germania tirati su con l’odio di un’ideologia spietata, mangia-uomini.
Nell’eterna crisi, cogliete l’opportunità. Sarebbe troppo facile fare il contrario. E sentirvi subito massa molle, da spostare come una mandria.
Iniziate a scrivere da qui il vostro romanzo di formazione. Che tra le sue pagine possa parlare di vittoria, una volta tanto. Perché, tanto, non aspettatevela da nessuno. Nessuno vi indicherà la strada, nessuno vi condurrà alla vittoria, pochi vi prenderanno per mano, moltissimi vi mortificheranno, vi diranno di lasciar perdere quel mestiere, vi prenderanno per il culo, specie sul lavoro, specie quando si tratterà di pagarvi il giusto compenso. Non fermatevi un solo attimo, se non per prendere meglio la mira. Non smettete di lottare contro chiunque voglia annullavi la personalità, contro chiunque voglia rendervi un utilitaristico mezzo di produzione, contro chi vuole speculare miseramente su di voi. Non aspettatevi punti di riferimento. Sappiatevi scegliere i punti di riferimento, soprattutto tra gli adulti eruditi, che vedete come paladini corazzati di bianco.
Non lasciate questo Paese. È inutile. Fatelo solo per perfezionarvi, ma non per riporre vane speranze di gloria nell’Europa. Se tutti abbandonassimo l’Italia, a chi la lasceremmo? Chi lo rattopperebbe questo stivale bucato in mezzo alle acque del Mediterraneo?
Caustici, mai tossici. Elastici, mai rigidi.
Mandare un curriculum e sperare nella svolta, nel Paese dei figli di babbo, non serve. Oggi che è saltato ogni schema, oggi che senza una raccomandazione neanche il giratorediminestroni ti fanno fare, senza quel vecchio zio paraculo che ha fregato per 40 anni l’INPS, che conosceva tutti e gli bastava una telefonata, mentre cantano le cicale, con la camicia aperta, al pranzo d’estate con i parenti. Vai a parlare con zio Alfredaccio, che un posto alle Poste ce lo trova sempre. Inutile snocciolare numeri, che conosciamo benissimo, sulle valorizzazioni di ricercatori universitari, di professionisti che in Italia prendevano meno di un pover’uomo sfruttato dal caporalato in Puglia, per fare, senza sosta, l’apritore di bottiglie d’acqua minerale, il che faceva dire che trovi più laureati alla cassa del Decathlon che nelle università. Inutile parlare di percentuali e statistiche, di scandali legati alla politica raccomandante e raccomandata. Sappiamo tutto benissimo.
Ma non è solo questione di calcetti sui glutei.
Mandare un curriculum ed essere certi della svolta, per quante belle cose si possano aver fatto nella vita, nel Paese che non ha interesse nella stabilizzazione di migliaia di lavoratori, tra Garanzia Giovani e il museo delle mummie Fornero, tra figli e figliastri, non serve. Però è anche vero che mandare un curriculum e sperare nella svolta, come fare un compitino per casa, perchè va fatto, perchè non si ha voglia di combattere, serve ancora meno.
Un urlo su un social, non vale quanto uno fatto in piazza, che fa tremare il vetro che separa la disperazione dalla speculazione.
Ci sono tanti della mia generazione che credono ancora di vivere nell’Italia contadina, del boom economico, dove esisteva uno Stato Sociale, c’era Carosello e il vino di casa non sapeva mai d’aceto; in buona sostanza vivono una volontà repressa ed inconscia che è prolungamento dei genitori, i quali anziché aver fornito loro gli strumenti per prendersi il loro tempo, li hanno fotocopiati, per pigrizia, o li hanno sostituiti, per colpa di una mentalità provinciale corta come la miccia di una bomba che sta per esplodere. Il nostro tempo non è di questi ragazzi, perchè ne sono nipoti, ma non figli. Questo tempo richiede doti guerriere. Seleziona brutalmente la specie. Richiede il talento, finanche il genio. È l’invenzione dei peggio mortaccidepippo, una sfida continua, è acidità di stomaco per giorni, nessuna certezza, nessun diritto e una strada dritta, dritta verso la disumanizzazione del nostro Io più recondito e sicuro. Bisogna avere doti particolari, per essere giovani “normali”, oggigiorno. È forse così, non mollando un attimo, non riposando MAI, dormendo male e amando forte chi ci sostiene nella scalata, che si può sperare di ottenere un’esistenza appena dignitosa, che ti permette un affitto e in una sera di romantica follia, forse un figlio.
Appunto, una vita appena decente. Perciò, quei figli che hanno una mentalità più rigida dei loro nonni, oggi che tutto è pericolosamente fluido, sismico e instabile, sono quelli che affonderanno, sono quelli che poi s’accontentano e accontentandosi giustificano lo schiavismo, vanificano i sogni di gloria e i diritti basilari di un’intera generazione. Sono i laureati per forza, quelle delle pizzette alla festa, quelli del rapporto per sempre, quelli che pretendono un contratto di lavoro ab aeterno dopo aver svolto i compitini a casa, senza aver sperato, ardito, gioito; rischiato, sofferto, sofferto e rischiato ancora. Non serve sfiorare delicatamente. Non basta il viaggio all’estero, non bastano cinque Master se la testa non si apre e l’elasticità non plasma il talento (e viceversa). Talento che è un dono, ma anche una capacità da sviluppare. Ebbene questi ragazzi sono quelli che SOLO con la spedizione di un curriculum pretendono, sì, pretendono, di avere un lavoro che cresca loro e i loro figli, che li faccia stare bene per tutta la vita, oggi che se non ti alzi alle 8 e ti inventi l’impossibile, o sperimenti un’idea di dignità che passi per la professionalità, lavorando fino alle 11, feste comprese, con partita iva, senza soste, magari per 550 euro al mese, ingoiando l’impensabile, non riesci neanche a camminare da casa tua alla fermata del pullman che ti porta a sentirti uno schiavo a cui hanno promesso la libertà.
Oggi che le aziende te lo fanno capire benissimo: cerchiamo garanzie, non esecutori, giovanotti con i coglioni rigonfi che ci diano il massimo per sovrastare la concorrenza, in un mondo sempre più maledettamente libero.
Che poi, da questa classe dirigente, non bisogna accettare lezioni di stile, specie quando si sta facendo realmente la fame e non c’è nessuna gloriosa e liberatrice guerra all’orizzonte, è un’altra cosa. Per questo ribellatevi, se occorre. Non vi sentiate ridicoli nel farlo. E fatelo duramente, fortemente. Così vedrete che dignità darete ad una generazione ignorata da tutti.
Rispettate sempre l’Istituzione, ora che siete fuori da essa per diritto. Ma impariate a discernere il rispetto, a distillarlo. Chi si fa esempio, chi lo è, chi diventa esempio e chi non lo è, come quel Ministro che ha fatto uscire le tracc(i)e proprio per i vostri esami.
Siate contradditori, siate molecole instabili, come fosse un parto, come fosse una rissa, come fosse una notte disturbata dagli incubi. Conteste, contestatevi. Se pensate che un vostro diritto ad essere umani, italiani, cittadini sia leso, contestate, contestate, aggruppatevi. Sperate e provateci.
Non siete ad una riunione di condominio, siete in una Nazione, siete sovrani, anche se ancora per poco. Non siete coinquilini, ma cittadini.
Giocate alla Playstation solo per riposarvi. Non nutritevi di nozioni. Recuperate le emozioni, la sensorialità, il pianto, le cose piccole, la terra, il vino sotto alla quercia d’estate insieme agli amici, stringetevi tra fratelli, ora che sarete gettati nel grande caos, che va sempre ordinato con ordine, non con altro caos. Se pensate, anche solo per un attimo, che quel libri vi piaccia, compratelo.
Ragazzi, andatevi a riprendere il vostro tempo, l’augurio più sincero da un fratello maggiore che vi aspetta già tra le fila. Formiate voi stessi leggendo, imparando a conoscere, provando curiosità, antagonismo, passione, vitalità; coltiviate voi stessi, prima delle idee. Il suono del senso, i denti stretti, il sacrificio, il sogno. Tornare a farcela capendo che oggi tutto va interpretato, cavalcato, nell’era della grande incertezza, dell’eterno precariato, dell’eterno riposo. Di 110, lode e pomiciate accademiche che conoscono i meccanismi ma non sanno farli funzionare, che in testa hanno la provincia come ambizione di una vita, l’Italia zaloniana del posto fisso, della regolarità che non spaventa e che costruisce la mediocrazia, è pieno il globo terracqueo.
Forza piccoli amici, vi aspettiamo per riprenderci tutto.
Intanto, buon esame con le traccie ministeriali.
I ribelli, sono belli due volte.