Mentre tutto muore, qui, in questo letamaio di omertosi, di accontentati, di scesi a compromessi e mai risaliti; di nani che proiettano ombre di giganti, di corrotti e arrestati, indagati, e poveracci che si scannano davanti alla porta rotta di un ufficio di periferia per avere una casa popolare, mentre una partita Iva un figlio, in quest’unica, misera esistenza, se lo sogna, qualcuno sfata il mito e salva il mondo, e lo fa in diretta tv, su La7: durante il fascismo, è provato da alcune ricerche fatte ad hoc, i treni NON partivano in orario, ma soprattutto, non si poteva lasciare le chiavi di casa sulla porta. Perché quel millantato senso di sicurezza, nell’Italia del Ventennio, era solo un’illusione.

Succede davvero, a Piazza Pulita, il programma di approfondimento condotto da Corrado Formigli.

Come se non bastasse, eccolo. Ecco il pullulare patetico e orizzontale, piatto come la banalità di chi non ha argomenti, da oltre quarant’anni. Svastiche, celtiche, tatuaggi, leggi razziali. Fascismo, fascisti e shoah. E poi la gara tra chi è più fascista tra Casa Pound e Forza Nuova. E ancora, poveri pazzi, razzi sparati addosso allo schermo di qualche milione di italiani che nel dubbio della propria evanescenza sociale, della propria inconsistenza, domattina avrà un motivo in più per essere incolonnato in marcia verso il tempo perso, della ripetizione, della rassicurante conformità. Il tempo perso di un Paese lasciato marcire nel Mediterraneo, galleggiare, come merda, come in un Gange di morti. Incolonnato, quel milione di italiani, verso l’unico pensare, l’unico guardare, l’unico sentire. Verso le certezze di regime, trasmesse non da attivisti di un centro sociale, non dai fantasmi del Partito Comunista Italiano, né dai suoi figli: ma dalla televisione e da un programma di libera visione.

Simone Di Stefano, vice presidente di Casa Pound, invitato da Formigli a Piazza Pulita per discutere di politica, del suo movimento, dei risultati elettorali e soprattutto della questione “Spada/vicinanza a Casa Pound”, così fortemente al centro delle cronache degli ultimi giorni. Di Stefano, al suo fianco Alessandro Giuli, direttore di Tempi.it, di fronte il plotone d’esecuzione. Tre astri che guideranno questa terra disgraziata lontano da se stessa, col vociare del gossip, con l’insistenza del trinariciuto 2.0: Wladimiro Guadagno, David Parenzo, e Alan Friedman.

Un assurdo momento di televisione, così assurdo da non crederci.

Così assente e fuorviante, così anacronistico, fuori tempo e fuori luogo da evocare il suono stridulo e lontano della plastica che ricopriva i divani della zia tirchia. Una coltre di molecole fuse, densa e opaca, che come cataratta si frappone tra gli occhi di chi pratica il politicamente corretto a livello olimpico, e una visione di maturità intellettuale, che si intravede, senza speranza, così sfocata ed effimera, da portare alla cecità del preconfezionato ad arte, che porta, ancora oggi, a parlare in televisione di tatuaggi con la svastica come massimo problema d’Italia. Che porta ad invitare il leader di un movimento non allineato alla vomitevole conformità, all’istituzione ideologica odierna, ed incalzarlo continuamente, fino a processarlo, per provare a costringerlo ad ammettere con la forza della diretta che sì, Roberto Spada è così tanto dei “suoi”, che se guardi bene, risulta pure tra i fondatori di Casa Pound, magari. Pur non c’entrando nulla, per davvero, con Casa Pound. Che porta ad invitare il leader di un movimento che “non sia di sinistra”, concedergli pochissimo spazio per replicare alle critiche e mandare, in sottofondo, il video di alcuni disadattati che negano l’esistenza dei campi di sterminio, si ammantano di svastiche, cimeli, pupazzi e cazzi strambi fuori moda, trasformando il senso della storia, nel quarto d’ora di ricreazione alle scuole medie.  Proiettandone i video, così da confondere gli spettatori – “questi figuri sono di Casa Pound, di Forza Nuova, sono cani sciolti? Chissenefrega, sono tutti fascisti”, pensò Italo Disperato, l’italiano ammodernato), arrivando fino al ridicolo: sfatare i miti del fascismo.

Quali? Vi chiederete. Beh, quello secondo cui i treni, durante il ventennio, partivano in orario. Ebbene, grazie allo staff infallibile di Piazza Pulita – d’ogni buon gusto, s’intende -, che ha effettuato ricerche mirate, gli italiani, ora, sapranno che i treni “mussoliniani” non partivano in orario.

Stiamo scherzando, vero?

Ributtante, osceno, vergognoso processo alle idee, alle estensione politica e culturale, all’essere oltre la sinistra. Per negare, ancora una volta, che esiste vita oltre la sinistra. Che un’altra mano lava il viso della coscienza di un Paese che a detta dei sacerdoti del progresso è il migliore dei mondi possibili, laddove l’emancipazione, la tolleranza e il rispetto si ergono fieri come conquiste della moderna civiltà.

Nel 2017. Con il Paese in ginocchio, si parla ancora di svastiche, celtiche, tatuaggi, leggi razziali, in tv. Di fascismo. Si parla della gara tra chi è più fascista tra Casa Pound e Forza Nuova.

Un assurdo, adolescenziale, non costruttivo, stereotipato, immaturo attacco (pre)elettorale per nutrire le moltitudini, mantenendole in ambiente controllato, comodo e sicuro, allevandone i difetti perché diventino diritti. Lì dove la credenza è un’illusione, e non sanamente un’assunzione di responsabilità verso un mondo che vuole scolparsi di tutto

Cosa si è visto stasera su Piazza Pulita? La macchina del fango nella più bassa forma, il gioco degli stereotipi, pari solo ai disegni di bimbi di Quarta elementare. Alle forme essenziali ed essenzialmente riconducibili all’estetica della banalità. Senza un minimo di decenza, nessuno ha chiesto come Casa Pound, sfortunata protagonista della serata, intenda tecnicamente realizzare il sogno di un italiano, quello di essere ricordato nelle preghierine serali del proprio Stato pagliaccio, aperto solo nei giorni feriali, a mezzo servizio, quello di potersi elevare verso il lavoro, mantenersi integro, e potersi permettere (PERMETTERE) la dignità di una famiglia.

Nessuno, né Formigli – che incredibilmente, agli occhi di ogni spettatore, anche del meno attento, ha insistito fortemente, per tutta la serata nel tentativo di associare la violenza, in senso lato, e Spada Roberto al movimento della Tartaruga -, né il signor Guadagno, né, tantomeno, i signori Parenzo e Friedman. Al contrario, s’è visto odio. Perché l’Italia continua ancora, maledettamente, a pendere dalle labbra di Ennio Flaiano (o forse, chissà, di Mino Maccari, la paternità è incerta, l’efficacia sempiterna): “in Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti”.

Tutto ciò è imbarazzante.
Non è cultura.
Non è giornalismo.
Non è visione, né spontaneismo. Non è mitopoiesi.
Non è democrazia, né tutela dell’espressione.
Tutto ciò terrorizza, al di là di ogni posizione. Terrorizza sapere di correre verso il progresso, col freno a mano della provincialità, che è uno stato della mente, tirato. Perché se questo è il livello del dibattito culturale e politico della televisione italiana, così sfrontato e arrogante, portato avanti da chi pretende di rieducare ogni sistema a noi vicino, sia esso intimo, o civilmente sociale, se a questo antiquariato siamo fermi, non ci si può stupire se non c’è integrazione, se muore la trasgressione, se non serve a nulla la disintegrazione. Se un popolo rompe la fila davanti all’Apple Store per correre dietro ad un Pokemon con il cellulare.

Cosa vedono gli occhi

Voi dite Casa Pound. Voi dite. Ma avessimo intorno una società che fa della virtù e della bellezza la propria opera d’arte, che si dedica il tempo e la vita, che risplende di luce propria, a dimensione d’uomo. Allora una cassetta di frutta consegnata ad una signora povera, sdentata e commossa, che le riaccende il sorriso in un quartiere dormitorio di una grande città dove tutti insieme, vicinissimi, si fa la solitudine, sarebbe nulla. Allora la spesa consegnata ai dimenticati, ai vinti del rione, quella cassetta di frutta, sarebbe abitudine – concordi o no, la direzione è chiara. Afferma Di Stefano: “. Ma in questo mondo di merda. In questa porcile scoperto. Bubboni di inconsistenza. In questo letamaio di omertosi, che è un cancro che galleggia nel Mediterraneo, grande Gange di morti, un leader – Simone Di Stefano ndr -, che accusato il suo movimento di collusione con la mafia, non solo smentisce chiaramente, ma indice una conferenza stampa per tirare in faccia al Paese che schifa anche solo l’idea di essere associato a certi nomi – Spada Roberto ndr -, e rilancia, chiedendo al Parlamento e alla Procura un’indagine, chiedendo di verificare, ai massimi organi della democrazia, se davvero esistano rapporti tra Casa Pound e il clan Spada, è qualcosa di raro. Non ricordo, in questa società che brilla come i denti di un ubriaco, nessuno fare questo. Se non oltre la smentita, la frutta è marcia, in campagna elettorale.

Poi si chiudono gli occhi e si vedono le promesse di Renzi e della Boschi di lasciare la politica; si vedono segreterie politiche spartirsi i piccoli brandelli del niente che rimane di un partito; si vedono cerchi magici indirizzare continuamente e forzatamente le scelte dei movimenti politici sul territorio; si sentono gli “onestà” gridati dal PentaStelle, e la sua metamorfosi in sistema, con indagati un po’ ovunque nel Paese.
E allora dove sono gli altri, i puri, i candidi, i lucidi. Dove sono? Farisei, si sentono puzzare. Continuamente sentirsi cristianucci nell’epoca in cui Cristo s’è fermato ad Eboli, ha preso un aereo ed è andato in America Latina. Dove sono i solidali? A fissare i passanti rotolarsi per terra dal dolore e pensare che non gli toccherà mai. Meglio correre girandosi dall’altra parte. A guardare, intensamente, la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ignorando il trave nel proprio. I cristianucci. I farisei.

Gli occhi vedono il 5 Stelle strillare che CasaPound se la fa con (gli) Spada, che però sponsorizza il 5 Stelle e lo ha votato ad Ostia, comune commissariato per mafia sotto reggenza del Pd. Gli occhi vedono l’Italia essere un bel posto se non fosse una fiaba per adulti.

Presi dall’essere italiani a comando, a rispondere al fischio come il cane; a fare tutti la politica, la grandezza dei sistemi, la filosofia da bancone, ci si dimentica, poi, di essere donne e uomini. Donne e uomini del presente. Donne e uomini scriventi la storia. Donne e uomini, non replicanti.
Poi verrà la politica e tecnica. La fuffa, la retorica, le cravatte annodate col Windsor; le raccomandazioni, i palati inutilmente fini, i borghesi in Vespa, spariscono di fronte a ciò, si annichiliscono, piccoli, senza argomenti. E li rimangono, all’ultimo punto di ripristino utile, laddove sono stati settati, perché oltre il dettato, e il dettame, non riescono a vedere, ma riempiono le seggiole di un programma televisivo, prendendosi il lusso di  voler raccontare il nostro tempo, senza capirne le onde, fermi a ciò che è stato. Così come i feudatari che si incastellano, i fiumi di libri, il sushi e le presentazioni per raccontarcela tra di noi. Un’occhiata chic, fugace al culo di quella ballerina-pittrice, amica di casa dell’architetto che ci ha portati qui a deliziarci di Bertold Brecht, o della storia a targhe alterne di Rosario Villari.

Brucia la consistenza di un’alternativa. Brucia come sale nella carne chi accudisce il popolo.

Nulla rimane, se non un segno, piccolo e denso, nel grande libro della storia, come una testimonianza di qualcosa che è stato fatto, un lascito, un esempio, un’eredità. Influire, esserci.

E voi, cari camerieri del sistema, non rimarrete. Se non in qualche paragone sull’impotenza.

Un pensiero, uno sfogo, una riflessione ad alta voce; selvaggia, ma sincera.

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