E in questo spazio, non sarà la logica letterale, ma il significo sentimentale, del credere. Non sarà solo ritenere vero qualcosa, ma quel processo che mantiene gli uomini tali, e gli impedisce, ancora per un po’, di diventare replicanti.

La scorsa notte ho acceso un lumino e ho lasciato che la sua fiamma ardesse nel camino per indicare ancora una volta ai miei morti la strada. Di seguire la luce. Unica casa prima e dopo la morte. Chi è andato avanti prosegue, e nella prosecuzione, nel cammino, nella continuità, nel continuo movimento sta la vita, la generazione e la rigenerazione. Chi è morto non si ferma ad ingrassare i vermi. Si stacca e prosegue.

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E abbiamo bisogno di credere. In tante cose, persino nell’utilità del tempo perso. Ardente bisogno di credere, di credere al fuoco e alla luce, al ritorno, alla compagnia dei morti, all’eterno, alla riscossa dei vivi. Di credere ad una visione che si frapponga necessariamente fra il diritto di un ragazzino di vivere la propria sessualità come natura vuole, e una donna che tira un ceffone in piena faccia ad un porco molestatore, anziché denunciarne gli abusi vent’anni dopo, a propria convenienza. Abbiamo bisogno di credere in un’alternativa ad un mondo che alleva ogni capriccio, che permettere di incarnarsi e lottare per i proprio sbagli. Per cui l’obesità è deleteria per la salute, e quindi sbagliata come bene etico, ti fa crepare prima, molto prima. Ma oggi gli obesi hanno diritto a sentirsi discriminati ogni volta che qualcuno fa notare loro che stanno sbagliando, continuando ad avere diritti sempre più importanti per allevare il proprio capriccio.

La civiltà europea è fondata sulla credenza, e poi è affondata sul tavolo da pranzo. Nella credenza si ripone, si prende, si usa con cura e poi si ripone di nuovo. Qualcosa che è posto. Sul tavolo da pranzo si mangia, ci si abbuffa, si taglia, si morde, si mastica. Dal mito, a Cristo, fino agli eroi della letteratura. Archetipi, simboli, tradizioni. Dalla credenza, al tavolo della cucina, lì tutto sta finendo. E la rivoluzione è diventata un pranzo di gala.

Ma è il pensare unico che muta il significato di credenza. Anch’esso lascia credere, sì, lascia credere che credere sia da creduloni, da uomini inadatti nell’epoca dei robot, dei siti che ti portano il cibo a casa, dello smontaggio degli uomini e della creazione in serie dei replicanti che eseguono, ritwittano, ribattono, s’incazzano e poi si puigdemont-incriminazioneaccontentano, sempre, si accendono e si spengono, fanno i capricci sull’indipendenza del proprio paesino, dopo ridondanti discorsi ideali, e quando gli va male, fuggono in Belgio; e si fanno minoranza, sempre più minoranza, fino a diventare la maggioranza, non più silenziosa, ma aggressiva.

Credere non è mai esclusività di un Dio, né va confuso questo atto nobile con la mera sfera divina, ma è contatto e connessione. Fluidificante tra le necessità, quella di crepare dignitosamente, ad esempio, e di trovare poi qualcosa aldilà che non sia terminazione. Quella di cambiare una vita che ci fa stare male, credendo fortemente in noi stessi, nella nostra tempra, nel sacrificio, nella volontà, un sentire nobile che appartiene sempre meno a questo mondo.

Credere non è, contrariamente a ciò che oggi è ritenuto corretto, un processo di banale e sterile semplificazione. Ma una tra le più complesse operazioni di un uomo (e non di un replicante quale oggi si pretende un individuo diventi, quel borghese piccolo, piccolo, di Monicelli). Incarnando perfettamente lo sforzo, essenzialmente singolare, di comprendere, capire, cogliere, ragionare, operazioni inutili nell’epoca di un processore che annienta il pensiero critico con 3 milioni di risultati in 0.7 secondi, così come suggerì qualche secolo fa Pietro Abelardo: “Non credere nulla prima di averlo compreso”. Non credere a Dio se vuoi servirtene come un genio della lampada, sfiorando il quale vuoi tutte le tue paure annientate, le malattie dei tuoi figli sanate, senza aver minimamente compreso ciò che Egli voglia da te, senza aver a lui dedicato un minuto. Non credere nella rinascita, se non ti sai dedicare la vita. Non credere nella rivoluzione, se sei continuamente in contraddizione. Non credere ad una Patria se non ne hai compreso l’essenza, ma solo l’apparenza. Se ne cogli la storia a comando. Non credere ai morti se li ritieni BIB69add4_wswswtali.

Credere non è un’illusione, ma un’assunzione di responsabilità in un mondo che vuole scolpevolizzarsi da tutto. Perché sa di essere colpevole. Colpevole di aver creato uomini fragili che corrono sempre ai ripari, si vanno a nascondere dietro le spalle del moderatismo obbligatorio, accusano di razzismo, e sono i primi, che per egoistica difesa, diventano razzisti, in barba ad ogni garanzia democratica. Colpevoli di aver sterilizzato la logica ed averla, poi, affogata nel profitto. Giustificando ogni involuzione mentale. Dall’abbattimento di un monumento, al sorriso isterico che tende i muscoli a forza nel vedere Niky Vendola con un passeggino e un figlio dentro: il suo; o di supina accettazione dell’idea che in inghilterra, il laboratorio di esperimenti della futura Europa disumana, pian, piano, si viaggia verso il post-sessualismo, e quindi:

Ha cominciato timidamente a percorrere la strada della cancellazione dell’identità sessuale, introducendo nel censimento l’abolizione della domanda del sesso di appartenenza, introducendo nelle scuole divise unisex, ed adesso si sta spingendo oltre, su pratiche mediche aberranti: bloccare artificialemente la pubertà per consentire al bambino di riflettere ancora sulla propria identità sessuale, per mezzo di terapie a base di ormoni ed estrogeni che bloccano il ciclo mestruale e la maturità del seme.” (Il Giornale).

Credere è una boccata di anticonformismo, non necessariamente collegata con il buon senso d’acchitto, in un mondo in cui viene considerato malsano reagire. E diventa processo vitale per la generazione dell’azione, e quindi della realizzazione pratica di uomo che vuole essere sovrano di se stesso e del proprio tempo, quel crederci fino in fondo che realizza l’idea, di Ezra Pound, quel credere folle e militante, dagli stronzi, ai santi, che fonda sul rifiuto la propria forza, di Furio Colombo, fermo su quel terribile pensiero, già quarantadue anni fa, di quella tragedia “che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra”: “Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, “assurdo” non di buon senso”.

virginiaraggiE solo credendo vides, vedi credendo, solo credendo si fa la storia. Ma è chi non crede a un cazzo che si permette di fare la storia, non il contrario, oggigiorno. Come Virginia Raggi e i suoi sodali amministrativi, che non credendo a nulla e impediscono di credere. Che non avendo storia, annullano la storia, mettendo i sigilli alla sezione di Colle Oppio a Roma, per degli affitti non pagati, ma le cose sembrerebbero essere andate diversamente, il condizionale è comunque d’obbligo.

Ma il credere non deve interromperci dall’avere dubbi. Si può dubitare, nei momenti di tregua conseguenti alle fatiche della fede, per dirla con Cioran de L’inconveniente di essere nati, e si può sanare l’assenza dell’aver creduto.

Credere è un punto di partenza spirituale. Non credere, una prospettiva civile. E l’inverso. Ben ci sta. Purché sia concesso e rispettato, in questo posto di merda che il sistema Occidente è diventato, RISPETTATO, l’atto del credere.

Io non mi credo. Credo. Nell’atto del non credere si realizza, comunque, la credenza. Non è la sua negazione. La sua negazione è l’annullamento della necessità di credere che è dentro di ognuno. E qui, tra i tanti aspetti, va realizzandosi la trasformazione dell’uomo in replicante. Non credere, agire. Privando, però, di ogni profondità il significato di azione, che non è più compimento, scelta e raggiungimento, sacrificio e ispirazione, ma semplice esecuzione, possibilmente a comando, di atti concreti e spirituali. Compra, tollera, critica, arrabbiati, rasserenati, oggi vota, domani no. Così come questo mondo vuole, e a me questo mondo fa schifo. Mentre concede la piccola vanità per sciocchi di ritenere confortevole un cibo, magari, relegando lì, nel comfort food, il ricordo caloroso e accogliente, di qualcosa di tradizionale, buttando in gattabuia noi e ogni significato di tradizione. Ciò che ci fa stare bene diventa una vellutata di zucca?

Vuoi credere, ti dice il politicamente corretto, credi pure a ciò che ritieni giusto, sei il benvenuto nel mondo della tolleranza (schizofrenica); ma mi raccomando, ti avverto, se credi troppo, ti tolgo le croci da aule ed uffici, se credi troppo, verrai isolato, relegato ad oggetto antico e fuori moda, neanche vintage, e quindi affascinante; una bestia curiosa da vedere allo zoo, semplicemente inutile agli occhi degli uomini di oggi. Sentiti libero, continua ilcandela-fiamma mondo moderno, ma se credi nei confini, sei un barbaro, se credi in Dio, uno sciocco superstizioso, se ti alimenti di mito, credi alle favole, e forse hai bisogno di essere psicanalizzato in un sushi bar da un film di Verdone, il secondo Verdone, quello delle prediche psicologiche; se credi in una bandiera, sei buono solo per fare il militare. Se credi nell’evoluzione degli uomini, prim’ancora che dei sistemi in cui vivono, sei un cristianaccio. Se credi in una reazione, sei un fascista. E così via se credi, impedisci, se esegui, progredisci, secondo l’istituzione ideologica odierna.

E io in questo mondo non mi ritrovo. Non è confortevole, è troppo lontano da casa. E non voglio andare via, non voglio smettere di ricordare, non voglio smettere di credere.

Così ho acceso un lumino, io, vivo, per indicare di nuovo la strada ai miei morti. Unendo due mondi.

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