Solo un geometrico pensiero domenicale. Veloce, salato. Punto.

Roma, lite al corteo di ‘Non una di meno’: le donne vietano a un uomo di sfilare in testa. A un ragazzo che insisteva per sfilare in testa al corteo di ‘Non una di meno’,  le organizzatrici hanno chiesto di spostarsi perché le prime file erano “riservate” a loro, scatenando una reazione incredula. Lui: “Perché non posso stare qui?” Le femministe: “Vai più indietro, è la giornata delle donne. Non è nulla di straordinario, sarai solo quattro metri più indietro”.  Una discussione che ha coinvolto anche altre manifestanti, non tutte d’accordo (Repubblica).

Strappate le donne dalle mani del femminismo. Ma anche gli uomini. Poveri maschiacci occidentali, di cui è sempre colpa. Per non riuscire a lavorare sotto una valanga di stress, per essere sempre meno padri e amanti focosi. Per non riuscire più a stabilire rapporti di virilità alla base dell’educazione e del rapporto con i propri figli, che generano ritualità necessaria a identificare e fortificare i ruoli, le funzioni, a generare esempio. Mentre le donne marciscono nella premura soffocante del sistema, e si trasformano in marmotte delle Ande in via d’estinzione, l’uomo, “vigliacco”, viene superato, e retrocesso. Sempre più giù, tanto “non è nulla di straordinario, sarai solo quattro metri più indietro”.

E trema il fondo di ogni tempo, con la necessità di uguaglianza fattiva ed antibiologica.

Dedicando alle donne lo spazio della riserva non si realizza emancipazione, è generazione di caso umano. Non è premura, è ghetto. Noi pretendiamo che chi vuole fare il progresso ci dica qualcosa di nuovo, chessò, come estinguere la mentalità provinciale in questo Paese? O come schiaffeggiare la corruzione. Non che continui a reinterpretare l’esistente, che a tutti andava benissimo, francamente.
No alle marmotte in via d’estinzione. SÌ alle donne.
Il femminismo odia le donne, così come il machismo gli uomini.

Ciò che merita una protezione ulteriore, sussidiaria, studiata, già di per sé, rappresenta un fenomeno a parte nello scorrere naturale di ciò che viviamo. Dedicare attenzione, contrariamente, è segno ineluttabile di maturità civile.

Ma vi prego basta. Il femminismo odia le donne. Come un amore che diventa rabbia, e poi odio, per tenere incatenato a sé il partner che fu, e che forse, non tornerà mai. Per cambiarlo, per tenerci troppo, per gestirlo, ghermirlo, non lasciarlo espandere, seppur sapendo di sbagliare, col rischio di perderlo nel mare di altre strade quando s’alza il vento forte del distacco.

Il femminismo è una delle più crude, maligne ed inutili contraddizioni in termini sociologici, politici, antropologici che esista in questo teatro vuoto che è il nostro sistema attuale, dove ogni difetto viene allevato fino a diventare diritto, dove ci si sfiora virtualmente sognando la California e magari un reddito di cittadinanza senza aver voglia di fare un cazzo. Laddove, il femminismo parla di emancipazione e realizza il ghetto. Poi lo arreda, nel tentativo di distruggerlo nuovamente, e lo espande sempre più. Anacronistica utopia che è alla base dei meccanismi delle sinistre. Il loop che ha reso inutile la sinistra alla rivoluzione, all’influenza e alla tutela delle categorie sociali, e, probabilmente, al governo della cosa pubblica.

Non certo delle destra, che per quanto cafone nell’affrontare il mondo, arrivano ad un’armonia decisamente più lineare, a livello di struttura ossea; una visione costruita su un trespolo di idee, almeno piantato per terra.

Il linguaggio di genere, l’istituzione di un’apposita commissione che tenta, quantomeno, di influenzare il nostro parlare etico rivolto alle donne – un vero e proprio gruppo di esperti per “sensibilizzare la società sull’uso corretto della lingua italiana in un’ottica rispettosa di entrambi i generi”. “Il linguaggio rispecchia la cultura di una società e ne influenza i comportamenti”, così l’Onorevole Giovanna Martelli, consigliera del Presidente del consiglio dei Ministri per le Pari opportunità in una nota, “educare e sensibilizzare a una comunicazione e informazione rispettosa e priva di stereotipi e visioni degradanti del femminile fa parte della rivoluzione culturale che è necessaria per la lotta alla violenza sulle donne”. Prosegue: “Il gruppo sarà composto da esperte ed esperti del linguaggio di genere, del mondo del lavoro, di modelli educativi e di sociologi che svolgeranno l’incarico a titolo gratuito e avranno vari compiti tra cui quello di predisporre delle linee guida per promuovere il linguaggio di genere presso la pubblica amministrazione e nel settore dei media” -. E il femminicidio – guai a chiamarlo semplicemente omicidio, per altro già normalmente punito per legge -; e le giornate dedicate, e la figura in famiglia, e la maternità che fa male, e il sesso da fare da sola, e così delirando. E tutti i costrutti che possono venirvi in mente negli ultimi anni politici d’Italia, che non hanno solo un nome, badate bene, cioè quello di Laura Boldrini, ma che fanno parte di un’intera rete di degenerazione antropologica.

Così, se vi è forza nella figura della donna, acquisita da conquiste che la propria caparbia e combattente natura le ha garantito, non certo la mano unta della militante femminista, rischia di svanire nella debolezza di un processo umano che non è mai lasciato essere, lasciato autogestirsi, poiché l’autodeterminazione è NEMICA di chi ci vuole tutti uguali, neutri, asettici, sterilizzati in nome del progresso. Svanisce la forza umana e sociale della donna, lentamente, nel costante abbraccio premuroso di quella big mother di cui Jean Yves Le Gallou teorizza. Le Gallou, saggista francese ed ex deputato europeo del FN, a partire dall’ispirazione di Jean Raspail, scrittore prolifico e lucidissimo precursore, che già nel 1973, nel romanzo “Il campo dei santi”, aveva immaginato l’esodo di milioni di profughi verso l’Europa e la sottomissione delle élites culturali europee. Di cosa parla Le Gallou? Di Big Brother, Big Other e Big Mother, la morsa disumanizzante: «Big Other. Un’adorazione senza limiti per l’altro, amplificata dall’odio di sé, della propria cultura, della propria civiltà. Un’ideologia unica che ci assoggetta grazie ai metodi del Big Brother: la società di sorveglianza che conosciamo, in cui la polizia del pensiero è onnipresente. Un’ideologia unica che s’impone tanto più facilmente a individui che sono indeboliti dalla tutela di Big Mother: il principio di precauzione applicato dalla culla alla tomba».

Ecco perché muta la donna, e va in metamorfosi il significato di femminilità: da condizione biologica ed umana, a costrutto ideologico che indirizza il divenire. Oltreché, ovviamente, tentare di modificare l’intima condizione di femminilità.

E così la Grande Madre, non più archetipo della generazione, immagine soave, femmina gentile, eletta dea del fuoco della famiglia, materna procreazione e contenitrice di vita, distorce il proprio significato alla luce del presente, diventando costola deviata e perversa della femminilità. La Big Mother, qualcosa che inietta insicurezza, frena le nostre certezze, le rende antiche e inadeguate, e non solo a livello politico, tenendoci appiccicata a sé. Essa sterilizza ogni umana necessità di esplorazione, di avventura, di far guerra per difendere ciò che è più caro e irrinunciabile, pacifizza, azzera la purezza, distoglie dalla voglia di reazione, di curiosità, di scoperta.

Una forza ben visibile, e assolutamente concreta, che si esprime in ogni atto politico ed istituzionale di chi gestisce il villaggio globale, relativizzando ogni cosa, dal concetto di identità sessuale biologica, alla Fede, dai genitali, fino al rapporto con i figli e con la propria terra. E così via. Andando a far tremare ogni identità, ogni riferimento visibile nel caos, fin nelle corde più intime.

Ed ecco un figlio che non riesce ad essere adulto, ed un madre castratrice.

Tutto è fragile, come ginocchia piccole e insufficienti, tremolanti; lasciate senza il calcio del pensiero critico, della forza di reazione, stanno per cedere e spezzarsi. Così le donne senz’anima, ma con un libretto di istruzioni, sono addomesticate, per paura, per necessità, per inganno, dietro alle parole giuste da usare per loro, alle cose giuste da fare per loro, alle intenzioni giuste da nutrire per loro, così come nei sentimenti, nel sesso, nel rivolgersi semplicemente ad esse.

Siate donne come vi pare, ma siate donne. Che donna sia nella più grande conquista odierna, l’autodeterminazione. Che faccia rima con moralità, con immoralità, con immortalità, ma sia libera dal giogo del femminismo. Semplicemente donna come condizione naturale, di pari spessore a quella maschile, ed anzi struttura dell’essere mondo, non parentesi da aprire. E alla femminista non date un cazzo. In tutti i sensi…

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