Nota Benissimo:

Giunge la mia dovuta precisazione. Come confermano le indagini, a uccidere il povere Mario Cerciello Rega NON sono stati due “nordafricani”, come tutta la stampa ha affermato nelle prime ore, e per quasi tutta la giornata successiva all’assassinio del giovane carabiniere, bensì dei cittadini “americani”. Del cazzo. Confermo il commento, e confermo quanto scritto, in estrema sintesi: la necessità, ovvero, di tutela umana e professionale delle Forze dell’Ordine nei casi di regolarità del proprio servizio (affinché la paura di svolgere il proprio mestiere non conduca gli operatori a vivere una dramma psicologico preventivo o ad errare) e di un limite alle giravolte della magistratura, nella direzione della certezza della pena.

 

Ho scritto questo pezzo alcune ore prima che fossero stati individuati degli americani come responsabili dell’omicidio. Come tantissimi altri miei colleghi. E lo può testimoniare l’ora di pubblicazione dell’articolo, rispetto a quella in cui è stata data la notizia sui colpevoli. Ecco perché avete trovato scritto “nordafricani” (genericamente inteso) e non tarantini, abruzzesi, americani, italiani, milanesi o romani. Quella era la pista ufficiale, diciamo, in quel preciso momento.

La precisazione, che ora posto, è un dovere verso la coscienza di voi lettori e verso la mia che, chi è solito leggermi lo sa bene, è assolutamente limpida. Si può pensarla come si vuole, rispetto a ciò che scrivo e penso, si ha la totale libertà di dissentire, di non leggermi, di non seguirmi, ma la disonestà, la bassa disonestà, soprattutto, non ha mai, dico MAI, fatto parte del mio repertorio. Basta leggere altri pezzi di questo blog, per esempio, o altri miei articoli. Ci tengo a spiegare, inoltre, che come tutti voi, sono umano anche io. Alcune questioni davvero, davvero urgenti mi hanno tenuto lontano dalla possibilità di poter rettificare PRIMA l’articolo. Ma eccomi ora a farlo, senza il minimo problema, senza alimentare nessuna orgia ideologica o nessun contrasto, nessuna rissa. ASSOLUTAMENTE nulla di volontario, quindi, senza dare adito a nessun tipo di infantile accusa o fantasia. Mi scuso, pertanto, con i lettori, anche i più maliziosi.

Che dolore…

21a9b8cc-1e3d-4c2d-b353-2adb24f405f1In foto, il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega durante il suo matrimonio. 43 giorni fa. Aveva 35 anni, era di Somma Vesuviana. Si è beccato otto coltellate da due nordafricani del cazzo che giocavano a fare i duri. “È morto stanotte a Roma – riporta la nota – per 8 coltellate, inferte per i 100 euro che i due autori di un furto pretendevano in cambio della restituzione di un borsello rubato”. Così lo ricordano i colleghi. A pezzi, distrutti.

È vero, il povero Cerciello Rega è morto in servizio, esattamente nell’esecuzione di un compito meraviglioso e infame (che per una vita ha fatto mio padre e diversi membri della mia famiglia): il suo lavoro, quel lavoro. Ma è pur vero che anche questo ci potrà servire a dire: no a chi vuole trasformare le Forze Armate in Forse Armate; le Forze Armate e le Forze dell’Ordine devono poter sparare, devono poter reagire nella maniera più giusta e adeguata al caso, devono svolgere il proprio lavoro nella serenità operativa che non comporta nessuna psicosi preventiva – che rende l’aria ancora più irrespirabile – da condanna di un sistema di merda che fintanto che non viene toccato, minacciato, stuprato, scippato esso stesso, getterà ettolitri di fango verso le basilari necessità professionali delle forze dell’ordine. Prima che accada ancora e ancora e ancora, prima che la colpa di questo nuovo sangue, per l’ennesima volta, sia di Salvini (secondo il cieco ragionar di rabbia odierno delle bellissime menti) capace di tagliare i fondi utili all’accoglienza, direbbero, e quindi colpevole di lasciare al proprio destino quei poveri e muscolosi ragazzoni, friggendo nella loro frustrazione e rabbia, ricordiamo alla sessantenne sandalata, sessantottarda, che piange per il destino dei migranti mentre compra la scottona da 35 euro al kilo al Carrefour e si lamenta della violenza “fascista” delle forze di polizia, nel bel mezzo del servizio del telegiornale sulla manifestazione dei black bloc che lanciano estintori e distruggono la città, o al virgulto del “centro sociale ogni tanto”, che la violenza delle forze dell’ordine (“guarda caso quasi sempre monodirezionata nei confronti degli stranieri”, frigna l’agglomerato degli uomini replicanti, che replicano mantra ideologici depensando, evitando l’incontro con ogni realtà), potrebbe salvare il vostro reale culo nel momento del bisogno. Perché saranno proprio loro che chiamerete.

Trinariciuti in servizio permanente effettivo.

“I due africani che hanno ucciso a coltellate il carabiniere sanno che in un recente passato l’altro africano che aveva accoltellato un poliziotto era stato subito scarcerato dal Gip.
Per questo invece di fermarsi all’alt e consegnare il coltello hanno accoltellato il carabiniere uccidendolo”. Ha ben ragione lo storico Alfonso Piscitelli. Agendo sul reale, e non sulla sua narrazione. Ed è qui l’altra parte della guerra da vincere per maturare e uscire dall’adolescenza di Stato. Lo Stato…
Se lo Stato esiste ancora nella sua essenza di padre generatore, e di non di solo accumulatore compulsivo di polemiche e consenso, cambi le regole “d’ingaggio”: metta gli operatori delle Forze dell’Ordine, delle Forze Armate in condizione di non vivere la costante paura di essere indagati, e rendere la loro esistenza umana e professionale un dramma. Nei fatti.

Chiunque sia a macchiarsi quelle mani vigliacche, poco importa.

Allora, cos’altro può fare la classe giornalistica se non limitarsi a chiedere giustizia per un servitore dello Stato, a fare appello a ciò che di sano e lucido rimane della coscienza italiana, dopo aver raccontato i fatti, troppo semplici da riportare, per non incancrenire lo smarrimento e la rabbia e fuggire il dolore intimo, l’impotenza? Cosa si può fare? A volte solo sfogare, e tentare di riflettere. E pregare, ognuno a suo modo, per la povera moglie di questo ragazzo, perché trovi la punta di roccia su cui aggrapparsi quando la caduta sembrava ormai certa. E farcela a trovare la forza. Cosa possiamo fare se non tentare di schivare come tentazione maligna, il ricorso all’orgia famelica e distruttiva di stampo ideologico che ci sta crepando come popolo? Non lo so cosa possiamo fare, ma stavolta fa male davvero. 35 anni, sposato da 43 giorni.

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