Sbaglio o questa è l’epoca in cui finalmente le minoranze possono riprendersi ciò che è giusto per loro? Che si sappia, magari lo hanno annunciato in televisione, questo vale anche per la minoranza di quei milioni di precari, di partite Iva, di fan dei buoni pasto, di tempi determinati, o no? In ogni caso, mentre aspettiamo che Mentana si pronunci, giunge il bollettino della sconfitta: “La popolazione italiana continua a diminuire dal 2014 per via del saldo naturale negativo non compensato dall’apporto positivo delle migrazioni. Secondo i primi dati provvisori, al 1°gennaio 2022 la popolazione è scesa a 58 milioni 983mila unità, cioè 1 milione 363mila in meno nell’arco di 8 anni”, rileva l’Istat nel fresco rapporto 2022 della morte cerebrale e uterina del Paese, “Il crollo delle nascite si è protratto nei primi sette mesi del 2021 per poi rallentare verso la fine dell’anno. Secondo i dati provvisori per il primo trimestre 2022, a marzo il calo raggiunge il suo massimo (-11,9% rispetto allo stesso mese del 2021)”.
Debiti, file di bollette accatastate, affitti in ritardo e lunghe ore al telefono coi call center o da un call center, a prendersi telefonate attaccate in faccia. Disperazione lenta, sottile, crescente. Macerie umane: un figlio potrai solo sognarlo, mentre sei in pausa dal tuo lavoro in cui gioirai sapendo che per nove ore al giorno – a volte anche dieci – senza tutele, né garanzie, in nero, ti lanceranno addosso da un Bmw 400 euro al mese, o mille euro risicati da precario, l’essere mitologico a metà tra un uomo e un buono pasto, e raramente ti affideranno un mutuo, finanche un finanziamento qualsiasi. Partita Iva infinita. Brocche d’olio bollente addosso alla tua autostima, che si crepa lentamente nella frustrazione, mentre si inquinano i rapporti e si spengono i colori delle giornate, battute con la stessa rassegnata pesantezza di un rematore in un’antica galea romana. Portafoglio vuoto, portfolio pieno. Con questo stato d’animo, delle cose poste e irremovibili, delle economie, lo faresti un figlio? Avresti la forza di accompagnarlo al tuo annichilimento, piegato sulla tua schiena? Sarebbe giusto farlo? Qual è il limite del giusto e quello dell’egoismo, in tal senso? Un figlio è un’impresa economica, denaturalizzato rispetto all’idea che farne sia completare la vita e celebrare la maturità?
Ma occorre essere sereni: tra una schwa e un diritto umano da garantire nella direzione dell’espansione dei sessi (“Il monito agli Stati membri dal Consiglio dell’Unione Europea è contenuto in un rapporto che invita ad agevolare il cambio di sesso anche per i minori e rimuovere l’obbligo di scegliere il genere nei documenti”, riporta proprio Il Giornale, tra i vari) e nella riduzione del senso (della vita che nasce), non gliene frega un cazzo a nessuno.
A nessuno. Ormai è un processo endemico che rimane senza spiegazione, senza priorità, senza cura.
Allora, recuperare il timone della propria stessa vita, forse, come una corsa senza fiato verso l’angulus ridet oraziano, rimane la più semplice soluzione a questa caduta libera complessa. In quello spazio si riduce il senso della globalità, del soffocamento da agorafobia virtuale e sociale, della vetrina sentimentale e quotidiana a cui siamo sottoposti e ci si immagina, per qualche attimo, padroni del proprio avvenire, sovrani di se stessi, ricordando cosa possa significare, profondamente, l’amore che produce quel sacrificio necessario, in ogni senso, a generare altra frignante e meravigliosa esistenza, che si manifesta nell’atto di fare un figlio, di dare vita, di proseguirla. Essere una famiglia, chiusa nell’abbraccio stretto, come un nucleo sordo che ignora i rantoli orribili di un mondo isterico, che vorrebbe creare tutela generale e che troppo spesso offre discriminazione, che in nome della salvaguardia di una minoranza, ne genera un’altra, in un infinito loop di mera ricerca del consenso. A proposito di minoranze; a coloro che nascono con la camicia, o che si trovano a indossarla ben, bene, dico: figliate, fratelli, figliate!
Di sicuro, e lo sappiamo benissimo, non di sola carenza di pecunia muore la voglia di fare un figlio. Meglio non parlare del ruolo e della funzione del genitore secondo i crismi politici, sociologici e spirituali odierni, o dell’approccio alla vita dedicato a esaudire, a ogni costo, la propria gratificazione istantanea, confondendo felicità e soddisfazione, alla caccia esclusiva dell’ottenimento delle proprie necessità di sopravvivenza. E infatti, non ne parliamo, lasciando spazio al tema nel corso della prossima puntata di “Frustrazioni: articoli e inutilità”.
Ah, un ultimo dato: “I numeri dell’Istat restituiscono l’immagine di un Paese in cui la povertà è più diffusa tra i giovani, ovvero le persone che entrano nel mercato del lavoro o almeno dovrebbero entrarci. E che se poi queste persone decidono di mettere su famiglia, al netto del Fertiliy day, la loro situazione economica non fa che peggiorare”, specifica un contributo di Info Data del Sole24Ore, “Lo scorso anno (2021, ndr), in Italia, più di 1 milione e 600mila famiglie ha vissuto in condizioni di povertà assoluta. Si tratta di 4 milioni e 742mila persone. Oltre alle famiglie, ad impoverirsi sono i più giovani. Istat scrive che dal 2012 persiste una «relazione inversa tra l’incidenza della povertà assoluta e l’età della persona di riferimento». Ovvero che più è giovane il capofamiglia più è probabile che il nucleo familiare viva in condizioni di povertà. Gli incrementi più significativi hanno riguardato i nuclei in cui il capofamiglia ha tra i 35 ed i 54 anni”
(foto tratta da Vatican News)
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