Ci sono molti modi in cui Angela Carini, quando affronterà il pugile trans Imane Khelif sul ring olimpico, può ferire in profondità l’imbecillità del nostro tempo. Menando le mani, offrendo tutta se stessa sull’altare dell’inclusività, o rifiutando di prestarsi a questo incubo di un senzatetto ubriaco alla stazione Termini che per convenzione chiamiamo “nuova normalità”.

Vi è, dietro a questa storia, una rimbombante simbologia che rischia di essere coperta dal suono meccanico dei tasti premuti sui computer delle redazioni, più significativa, a mio modesto avviso, di una vicenda da umiliare nella cronaca che insegue altra cronaca: lo scontro frontale tra purezza e degrado, quello che orienta molto del nostro presente, anche se a volte non ci sembra sia così. Non è un mondo al contrario, è un mondo malato. Andare al contrario può presupporre la ferrea e lucida volontà di farlo, nella scelta di prendere una posizione opposta rispetto all’imposto, ad esempio, valutati attentamente numerosi fattori in un processo culturale, che è coltivazione della propria visione del mondo, dopo essersi interrogati, dilaniati nel pensare, disperati e incoraggiati nel trovare un’alternativa. Ma ciò che ogni giorno viviamo, per un verso o per l’altro, amici, pare essere solo il risultato di una deviazione mentale, talmente densa di contraddizioni da manifestare un nuovo trend: l’infantilismo, ovvero quella condizione di elevazione dell’immaturità a norma di legge, come unica forma possibile di maturazione civile, in un tempo che dall’autorevolezza trascorre all’autorità. È autorevole, sulla base di una banalità, quale affermare che i pugni di uomo fanno male, ancor più in faccia a una donna, non mandare in scena il match tra Angela e il trans algerino; è autorità cieca che non si nutre di alcuna forma di maturità sportiva e culturale o di pensiero complesso, ammettere Khelif, come nulla fosse, all’incontro. Autorevolezza del buon senso annichilita dall’autorità ideologica.

Siamo con le mani tra i capelli e le pupille ipertrofizzate innanzi a un mondo che è sempre figlio da coccolare, rassicurare, garantire, mai sculacciare, che non deve crescere ma vedersi accontentato. Le opinioni autoritarie hanno sostituito le idee autorevoli. Proprio questo contesto da freak show partorisce mostri sbavanti e orribili.

E ancora, vi è altro da asciugare per essere seriamente preoccupati per il nostro presente: l’istituzionalizzazione di questo infantilismo, altrimenti frutto dell’estremismo progressista, di quella religione dell’umanità, come la definirebbe Jean Louis Harouel, in cui ognuno si redime solamente da se stesso, senza più una connessione con l’Alto ma solo con l’Altro, nell’unico dogma dei diritti umani. Un pianeta terra desolato fatto di replicanti senza Dio, né patria, senza confine, eternamente migranti e precari, in attesa di ordini e rassicurazioni, incapaci di dedicarsi la vita. Tutto ciò si rende, giorno dopo giorno, istituzione, nelle leggi dello Stato, nella furiosa ossessione con cui siamo invitati a seguire determinati dettami e con cui siamo invitati a isolare da noi chi non li rispetta, e ora, in maniera estremamente vistosa da qualche anno, anche nello sport, fino al caso di Angela Carini.

Terminerà questo match olimpico, con un occhio nero o con un parto di burocrazia sportiva; ma l’incubo degli uomini alla deriva, ancor prima di ogni trattato di geopolitica o del prossimo saggio sull’economia, purtroppo no. Non ci resta che rimanere il più possibile proprietari del nostro critico pensare, lucidi e integri rispetto a ogni deviazione mentale diffusa.

Allora è cerebrale. Il danno dell’Occidente è permanente e cerebrale. L’avvento di un culto che pretende di ridisegnare l’architettura umana e la sua contemporanea negazione, affinché il mostro non esista, o meglio, esista sotto traccia in qualità di paranoia per conservatori. Un’epoca di tirannia linguistica e morale, in cui si viaggia dal reale, alla percezione del reale. La stessa che oggi ci porta a fare questa banalissima considerazione. Un uomo non può più corteggiare o avvicinare una donna, con lei non può più giocare/provarci/fare l’amore/ragionare/scherzare/prendere posizione a fianco/dormire/provare fiducia e rispetto/fischiare/lavare i panni. Tutto ciò sarebbe oltraggioso, fuori dalla nuova moralizzazione del Giusto universale che non edifica un Bene universale come accrescimento dell’individuo sulla portata di determinati valori universali, da non condannare alla musealizzazione del conservatorismo, ma da vivere a pieno come fulcro di un identità precisa. Però, un uomo può improvvisamente sentirsi una donna e gonfiare una donna vera su un ring olimpico, in maniera certificata e istituzionalizzata così tanto da far venire le lacrime agli occhi ai portatori di monopattino mentre si recano in sandali da Starbucks?

Non sarà mai abbastanza ricordare quanto la battaglia di questo nostro tempo sia quella contro l’autoannullamento degli uomini. Contro la scomposizione delle geometrie del reale, fin nell’intimità, affinché ogni salvifico pensiero critico casalingo venga scardinato, banalizzando il male e attribuendolo a determinati valori, fino a riscrivere il significato del Bene, portandolo, quindi, a non essere più fine ed elevazione, ma acritica accettazione aziendale, per creare un nuovo reale, che viaggi sull’onda delle emozioni di massa, di una nuova lingua, delle breaking news, della colpevolizzazione, impostato su un timer mediatico, entro cui scrivere nuove regole per essere accettati e riconosciuti come civili, contrapposti ai barbari, per essere linea retta, contro ogni eresia. Per essere decenti, contro gli indecenti. E ognuno, in cuor suo, vuole essere riconoscibile e accettato, anche per avere minori rogne nel già difficile vivere, in un mondo in cui si è costretti a sentirsi responsabili di ogni cosa, dalla morte dei bambini, al pianto greco degli ambientalisti che fermano le auto.

In ogni caso, che Angela salga sul ring compiendo un rito apotropaico rispetto all’imbecillità di questo tempo, ricco e soddisfacente come una vittoria della purezza contro certo degrado, che, invece, scelga di rifiutarsi di combattere, dopo aver presentato un adeguato ricorso, una cosa è certa: di fronte a questo scenario annichilente e drammatico stiamo perdendo tutti.

Ma se un’ultima questione mi è concessa, vorrei fosse questa: picchia forte, Angela, con tutta la tecnica e la rabbia che hai in corpo, così come, in altro caso, con tutta la degna intelligenza. Picchia, dato che si tratta di un incontro di pugilato, per realizzare un sogno di purezza e di giustizia. Picchia quell’uomo sul ring, se proprio il match si farà, e sarà come prendere a pugni questo tempo imbecille.

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