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Vi sono pellicole che è meglio che gli italiani non vedano. Film che raccontano storie tragicamente vere ma ancora molto fastidiose, terribilmente imbarazzanti. È il caso di “The last witness” (L’ultimo testimone) del regista polacco Piotr Szkopiak imperniato sugli opachi retroscena del secondo dopoguerra. Per l’esattezza sulle menzogne che circondarono la strage di Katyn, la sanguinosa mattanza in cui caddero assassinati quindicimila ufficiali polacchi caduti prigionieri dell’Urss— in quel tempo alleata della Germania hitleriana — nell’invasione del 1939.

La responsabilità del massacro, come ammise Gorbaciov cinquant’anni più tardi, fu tutta di Stalin. Per ordine diretto del Cremlino i miliziani dell’Nkvd (poi Kgb) trucidarono gli sventurati e poi li seppellirono in fosse comuni. Buona parte dell’élite polacca — cattolica e anticomunista — era così liquidata. Per sempre. Nel 1943 i tedeschi, ormai nemici dei sovietici, scoprirono le tombe e convocarono la stampa internazionale per denunciare l’eccidio. Inutilmente. Sia i russi che i loro nuovi alleati anglo-americani sostennero che si trattava di mera propaganda e che le colpe erano esclusivamente dei nazisti. Un inganno che nel secondo dopoguerra si trasformò in un cupo patto di silenzio tra vincitori. Un segreto indicibile suggelato dagli accordi di Yalta.

Da qui prende spunto il film di Szkopiak. Tutto inizia nel 1947 a Bristol, in Inghilterra, nella base dei polacchi (l’armata Anders) che hanno combattuto al fianco degli Alleati sui fronti occidentali (Africa, Italia, Olanda). La guerra è finita e chi vuole può tornare in patria. Ma a casa adesso al potere ci sono i comunisti e nessuno sembra entusiasta di rivederli. In più, come in un romanzo di Agatha Christie, cominciano degli strani suicidi, un morto dietro l’altro. Stephen Underwood (Alex Pettyfer) un curioso giornalista britannico vuole capire e comincia a indagare tra i “soldati perduti”. Tra imbarazzi e silenzi, il reporter incontra così “l’ultimo testimone” della strage. L’uomo tutto ha visto e tutto sa. Temendo (a ragione) per la sua vita ha affidato ad un diario la verità. Guarda caso anche lui, viene “suicidato” e le sue carte spariscono nel nulla. Colpa dello spionaggio sovietico? No. Dietro agli omicidi c’è l’intelligence britannica, che deve vigilare sugli equilibri post bellici e continuare a infliggere ai nazisti (ormai vinti) la colpa di ogni crimine. Il giornalista, aggredito e minacciato da misteriosi figuri, scopre che anche il suo giornale è controllato dai servizi e che il suo reportage non verrà mai pubblicato. Tutto in nome della ragion di Stato.

Pur non avendo la potenza del “Katyn” di Andrzey Wajda (nomination all’Oscar nel 2008), l’opera di Szkopiak è importante e, nonostante gli scarsi mezzi, ben costruita e ottimamente diretta. Insomma, un film da vedere. Peccato che nelle sale italiane non vi sia spazio per raccontare un segreto storico vergognoso. Misteri della distribuzione. Fortunatamente Sky ha inserito “The last witness” nella sua programmazione estiva. Meglio che niente.

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