Città-capolavoro della Puglia

 

A Lecce la primavera guizza
tra i “ricami” del Barocco
ed è magia

 

di Dora Ravanelli

 

 

Dalla pietra lavorata magistralmente nascono pigne, mele, melagrane, viti, angioletti, tralci, festoni, putti , nastri, ghirlande, mascheroni, tripudi animalier Simboli, figure metaforiche che vanno oltre l’apparenza, che significano altro, evocando molteplici concetti, stimolando la fantasia e l’immaginazione. E’ il Barocco che per due secoli, dal XVI e fino alla prima metà del XVIII, ha inondato le facciate di chiese e palazzi. Ma c’è una città speciale, perché la pietra estratta qui è unica al mondo, dorata, luminosa, morbida: Lecce. Lo stile: il Barocco leccese.

Nulla è mai banale in questa città pugliese a misura d’uomo che, fissato il perno di un ideale compasso in piazza S. Oronzo, si fa scoprire, passeggiando a naso in su, in circa due ore. Secoli d’oro – dopo greci, messapici, romani, bizantini, normanni… – quelli sotto gli Asburgo di Spagna in “congiunzione astrale” storica favorevole con ordini religiosi, Controriforma, ricchi mercanti. L’imperatore Carlo V ne fa nel 1539 il capoluogo della Puglia (Regno di Napoli). E, nella Roma papalina, lavorano artisti come Bernini e Borromini. Lecce risponde con grandi scultori e architetti come gli Zimbalo, Cino, Penna, Riccardi…  Un crogiuolo di talenti. In più, “l’oro” della pietra calcarea. La perfezione. E, sotto questo segno, nascono palazzi e chiese, le stesse di oggi.

Largo al Barocco

 

 

Il trionfo dello stile leccese è la chiesa di Santa Croce col suo rosone centrale (il più grande del Sud Italia), sulla facciata bianca, luminosa, simbolo del Cristo-Sole. (C’era anche il colore, ma il tempo l’ha cancellato o reso quasi invisibile). Intorno, cherubini, gigli, melagrane, altri 4 rosoni minori (perché Lecce è proprio città del sole). E poi le due statue delle virtù teologali e le 13 dei telamoni (i partecipanti alla Lega Santa che sconfisse i turchi-musulmani a Lepanto), angeli, globi, teste leonine… Un intreccio di significati teologici che prosegue all’interno: i gigli sulla volta del transetto e sui capitelli come purezza della fede cristiana per cui lottò Celestino V. Esperienza superlativa (nella bella stagione) al calar del sole, “I misteri di Santa Croce”, una drammaturgia fatta di musica, parole, silenzi, alternanza di buio e sapiente luce, che scolpisce, sottolinea, ne esalta la bellezza (prenotazioni: www.artworkcultura.it, coop. sociale che, con la diocesi locale, LeccEcclesiae, promuove, tra molto altro, l’arte leccese in un circuito di visite con guide eccellenti).

 

Un soggiorno aristocratico

 

 

Il più affascinante colpo d’occhio sulla facciata di Santa Croce si ha dalla terrazza del ristorante Atenze del Patria Palace Hotel (www.patriapalace.com, doppia con prima colazione da 350 euro), il primo 5 stelle di Puglia dal 1997, anche Luxury Hotel. Il palazzo aristocratico, storico, di fine ‘700, nastro ininterrotto tra passato e presente, riaprirà a Pasqua (con offerte di soggiorno speciali),  dopo una colta, attenta e  filologicamente ristrutturazione, che ha tenuto intatta ogni espressione architettonica d’antan, ampliando gli spazi comuni d’accoglienza. “Zampate” d’arte contemporanea sparse con maestria.

 

 

 

 

Il “Barba’s Caffè” è un delizioso ambiente, anche con dehors, per un aperitivo o per un tè con pasticcini in chiave salentina. Il Patria Palace è, insomma, un virtuoso nastro ininterrotto tra passato e presente della città. Coup-de-coeur, la cena sulla terrazza, bella sempre, struggente la sera. Cucina di tradizione venata con riuscitissime influenze esterne. La carta degli olii fa ricordare che siamo in Puglia, sinonimo di prodotti superlativi.

 

La cultura ebraica

Dall’Hotel Patria Palace, in piazzetta Riccardi, tutta la città entro le mura (poche le testimonianze rimaste) è raggiungibile in una passeggiata piacevole. Fa corpo unico con Santa Croce, l’ex Convento dei Celestini con facciata barocca a lesene, loggette, scudi araldici, opera dei due grandi architetti barocchi, Giuseppe Zimbalo (detto” lo Zingarello”) e Giuseppe Cini. Il Museo ebraico, via Umberto 9, risponde al mondo cristiano col suo palazzo settecentesco, ex sinagoga, “avvolto” da tre vie contrassegnate ancora oggi da targhe a caratteri ebraici. Si scende una breve scalinata, ci si ritrova in un bar (ingresso curioso per un museo, seppur privato). Plurisecolare, la presenza degli ebrei a Lecce e nel Salento: la lavorazione di pellame, tessuti e sapone di Aleppo erano le professioni d’eccellenza esercitate. Oltre agli antichi oggetti esposti, inusuali gli ambienti: pietra scavata al vivo per trarne vasche olearie o usate come silos o per le abluzioni. Si sbuca in un cortile del ‘400 con case un tempo abitate dalla comunità: colonne, capitelli, volte, la mezuzah, nicchia muraria dove s’inseriva una pergamena con versetti.

Per una pausa prandiale o per cena, immergendosi nei migliori sapori tradizionali, ecco “Dall’Antiquario”, via L. Maremonti 3. In un ambiente colorato e straripante di oggetti vintage stravaganti, si sceglie tra piatti locali come ciciri-e-tria, turcinieddri, pulpo a pignata, cisticchia al cioccolato

 

Roma “caput mundi”

Nuova immersione nella Lecce storica nella centralissima piazza S. Oronzo,  planimetria asimmetrica, “summa” di testimonianze artistiche lontane tra loro nel tempo. Maestoso l’anfiteatro romano (102 x 83 m) e la colonna della via Appia che convivono con il Sedile, voluto dal Doge Mocenigo, e con la chiesetta di S. Marco (oggi sede istituzionale), che testimoniano la vicinanza, culturale e commerciale, con Venezia. Tutti si specchiano sulla pavimentazione della piazza con lo stemma della città, che comprende il leccio sradicato, il sole messapica, la lupa (simbolo di trattamento privilegiato da parte di Roma)…  Piccola e preziosa in p.zza V Emanuele la chiesa di S. Chiara, a pianta ottagonale, che vanta un monumentale altare maggiore e una spettacolare serie di scenografiche cappelle laterali. Ma, e ciò la fa unica, dispiega il primo controsoffitto in cartapesta (di cui i leccesi sono maestri) della storia – perfetta imitazione del legno, ma più leggero. Grazie alla lungimiranza delle suore clarisse, si superò lo stigma secondo cui la carta avrebbe potuto avere origini impure. E, allora subito vicino alla chiesa, percorrendo via Arte della cartapesta, si sbuca davanti al teatro d’epoca augustea, omaggio degli imperatori a una città a loro profondamente fedele. Con i suoi 700 posti, un sipario con argani di 4 m, è vivissimo d’estate con un fitto calendario di spettacoli.

Si passeggia in un dedalo di vie di grande eleganza, via Palazzo dei Conti di Lecce, per esempio: basta alzare il naso leggermente in su e il Barocco ti guarda. In via Perroni 29, ispirata al Borromini con l’esterno “a squame”, che alterna concavo a convesso, la chiesa di S. Matteo. Anticamente era dedicata a S. Maria della Luce, di cui resta un affresco: la Vergine che, mentre allatta il Bambino (un corallo al collo), tiene nell’altra mano una rondine. Sotto una volta blu stellata, domina l’altare maggiore dipinto con effetti a illusione prospettica. Su quelli minori laterali, tele alternate a statue. Di grande impatto. In un solo colpo d’occhio sull’interno si coglie tutto il pantone dello stile barocco: oro, argento, avorio, rosa, naturale… E’ la chiesa prediletta dagli sposi leccesi per celebrare i matrimoni.

 

Nobili palazzi

 

 

 

Sulla stessa strada, sfilano Palazzo Perrone, il cui portone  è dominato da un angelo a testa in giù, simbolo di S. Francesco questuante; Palazzo Lubelli con un suggestivo balcone-loggiato; Palazzo Giustiniani, portale ad arco a tutto sesto e stemma quadrangolare. Ad angolo con via Federico d’Aragona, “Ship in Arte”, galleria antiquaria (come un museo, ma privato) con opere barocche e non solo. In vico Vernazza, d’impronta rinascimentale, ma compendio di epoche diverse, si visita Palazzo Castromediano-Vernazza, che dispiega – in un percorso a dedalo e con immersione interattiva – un’area ipogea e una cava messapiche, un edificio termale e un asse stradale romani, selciati stratificati dal IV sec. a.C. al IV d.C., cisterne olearie cinque-ottocentesche…

Rivelatrice dello spirito concreto, ma allegro e scanzonato insieme, dei leccesi, in via M. Basseo 14, il palazzo privato con giardino sulla cui cancellata, in alto, è scolpita “la pernacchia”, una maschera antrotopaica che allontana e si prende gioco degli invidiosi.

 

Omaggio alla devozione

Cartina di tornasole, invece, della devozione e della fede è piazza Duomo – uno spazio ampio, ma semi-chiuso, di forma sghemba – con tutto quanto si affaccia su di essa. Ed è davvero tanto. A cominciare dalla cattedrale (ingresso laterale da vico dei Sotterranei; quello centrale è aperto solo in occasioni speciali), che occupa lo spazio dell’ ex Foro romano, ed è dedicata alla Vergine Assunta. D’origine normanna, fu riedificata dallo “Zingarello”, che dovette anche scolpire personalmente uno degli altari laterali, quello di S. Antonio, per non finire in prigione, avendo sbagliato alcuni calcoli di progettazione! Tre navate; molti altari laterali barocchi in pietra leccese e marmi, come quello per S. Andrea che guarda a est invitando i fedeli  ortodossi; sotto una colonna si crede sia sepolto il corpo di S. Oronzo; nella cripta a croce greca, 93 colonne con capitelli tutti differenti , i cui soggetti “pescano” nel bestiario medievale. Svetta a fianco il campanile secentesco di 70 m circa (20 anni per concluderlo) che permette una visione panoramica della città, del mare e dell’Albania. Il nuovo ascensore sale fino a 45 m senza mai sfiorare la pietra antica. A destra del Duomo, il Palazzo Arcivescovile con la loggia quattrocentesca; quello dell’Antico seminario col chiostro e, al centro, il pozzo (un piccolo capolavoro barocco, naturalmente); il Museo d’arte sacra e la Biblioteca con rari volumi.

 

Un graffio luminoso d’arte contemporanea

L’arte del Novecento si prende una grande rivincita su quella dei secoli passati con le opere raccolte in una vita dalla coppia Luigi Biscozzi – Dominique Rimbaud, titolari dell’omonima Fondazione, dal 2021 Museo d’arte moderna e contemporanea di Lecce (www.fondazionebiscozzirimbaud.it). Si  ammirano, in un percorso didattico permanente, 70 opere su 200 di proprietà della fondazione. Sede, la tipica casa salentina “a infilata” di piazzetta G. Baglivi 4. Il percorso si articola – cronologicamente e per tipologie stilistiche – su 7 sale al piano superiore (tutto è demotico): dipinti, sculture, opere grafiche da De Pisis e Prampolini a Burri, Licini e fino a Schifano… A pianoterra, la biblioteca con oltre duemila volumi e una sala per mostre temporanee.

 

 

Cartapesta, tutù, pasticciotti…

Acquisti d’eccellenza in città, specie lungo le arterie V. Emanuele, Libertini e traverse. Al n. 27 di V. Emanuele, la bottega di Claudio Riso, “La Cartapesta”, evoca, già dal nome, un materiale di cui i leccesi sono maestri e dove arte e artigianato si fondono. Cinque secoli fa le confraternite religiose, la ricchezza del Regno di Napoli, la devozione popolare portano alla fioritura della lavorazione magistrale della carta, leggera, duttile, che si presta a imitare materiali più nobili come marmi, argenti, bronzi. E costa meno. Nasce prima come statuaria religiosa, specie nelle processioni coi santi in spalla: tanta fatica risparmiata per via del suo “peso piuma”. Poi eccola per le statuette del presepio, ma assume anche le sembianze di elementi  d’arredo compresa la statua del santo cui la famiglia era devota, da esporre in casa. Ma la cartapesta immortala pure figure della vita contadina e popolare, perché un bravo cartapestaio sa fare tutto “divinamente”. Mica uno scherzo! Si arriva a un’opera compiuta, partendo da un’anima in filo di ferro attorniata da paglia, spago, cui si “aggraffano” testa, mani e piedi modellati in terracotta. Si riveste poi il manichino con carta bigia, cioè ricavata da stracci, imbevuta in colla di farina. Si asciuga più volte, si colora più volte…in tutto circa 25 passaggi e tantissimo tempo.

In via Libertini 70, invece, “Salentum Profumi” avvolge chi entra in una nuvola di esclusive essenze e profumi sia per la persona sia per l’ambiente, derivati da un brand medico-farmaceutico: rosa e vigna salentina, fico e arancio, Negramaro con uva fragolina, tabacco, melagrano… Confezioni eleganti.

Ancora cultura in via Arte della cartapesta n. 15, dove si apre l’atelier-laboratorio di Pier Paolo Gaballo, eclettico autore, tra molte altre espressioni creative, di piatti in ceramica: il suo segno distintivo è l’uso del bianco e nero, ricerca universale di equilibrio tra positivo e negativo.

Di eleganza straripa anche Elena Cretì, “signora della danza classica”, con la sua sartoria e show-room di via F.A. D’Amelio 2/A. In una città sensibile per tradizione alla musica e al teatro, il balletto vive qui in ogni sua forma: dai tutù agli oltre 40 modelli di scarpette e agli accessori, tutti in tessuti italiani, su misura, a partire dal bozzetto, che Cretì, già insegnante di ballo, crea anche per coreografi. Realtà unica in Italia.

I piaceri del palato si soddisfano, sempre in centro città, in via S. Principe, alla Pasticceria Natale, dal 1978, che va orgogliosa dei suoi prodotti, tra cui il pasticciotto (cui è dedicata perfino una immaginetta laica con preghiera): pastafrolla, crema pasticciera, limone grattugiato… E il fruttone con marmellata di pera e mela cotogna; al banco, caffè alla leccese, ma anche granita alla salentina.

In un palazzo del Settecento, via F. Rubichi 35, il “Cittadino” è tante realtà in una: bar, liquorificio, negozio di specialità alimentari a filiera controllata, tutto con etichette e confezioni raffinate e prodotto in proprio sotto il segno della naturalità. Il miele è quello delle arnie del proprietario, Marco Greco; gli amari e i liquori sono estratti, macerati a freddo secondo tradizione conventuale. E così le specialità, dolci o salate. Al 1° piano, il caffè-salotto “The Library” o “Caffè dei Nobili” (dal 1799), dove si respira un’atmosfera illuministica.

 

Un gioiello appena fuori città

 

 

 

 

A 20 minuti d’auto, un luogo artistico-storico-spirituale da non mancare, affidato dalla Regione Puglia al Fai: l’Abbazia di S. Maria di Cerrate, complesso monastico edificato nel XII sec. e nel tempo adibito a funzioni differenti: ospedale, masseria con stalle, granai, frantoi ipogei con macine in pietra, stoccaggio di olive, il mulino con macchina molitoria azionata da muli, la stanza del forno per il pane… E poi la chiesa del XII sec. e il porticato laterale a 24 colonne o la rara decorazione scultorea sulla facciata; l’interno, un tripudio di affreschi-capolavoro. E capolavoro è stata la lunga opera di ristrutturazione a cura del Fai. E’ una visita che non si può mancare (www.fondoambiente.it).

 

 

 

 

Due plus che Lecce regala ai suoi visitatori: il meteo, tepore, cieli azzurri e sole in quasi ogni periodo dell’anno; l’accoglienza genuina e sorridente, quella mediterranea,  quella antichissima dell’”Odissea” (Polifemo e Maga Circe a parte).

Informazioni:

www.comune.lecce.it/vivi-lecce

www.viaggiareinpuglia.it