La Russia e l’Occidente che tradisce se stesso
Secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro, il 56% degli italiani è favorevole alla fornitura di armi all’Ucraina, una quota in leggero calo rispetto al 57% registrato la scorsa estate. A livello europeo, i favorevoli a questa misura sono il 65% del totale, con picchi intorno al 90% tra gli intervistati in Svezia, Polonia, Lituania, Danimarca, Paesi Bassi e Finlandia. Solo in Bulgaria, Grecia e Slovacchia la maggioranza degli intervistati è contraria. Dunque, gli italiani sono tra i meno convinti in Europa della necessità di appoggiare militarmente Zelensky. Per comprendere meglio questo stato di cose abbiamo chiesto all’esperto di comunicazione Fabrizio Amadori di analizzare le cause di un simile «disorientamento».
«Coloro che anche in Occidente sostengono Putin lo fanno, al di là di un becero anti-americanismo, perché sono figli di una certa “cultura”. Una cultura con più facce. La prima di tali facce è quella per cui è normale che lo Stato esista e che possa pretendere la morte dei propri cittadini. La patria è un ideale, ma alla fine nasce storicamente per esclusione, per escludere cioè di rimanere servi di qualcun altro. Non per diventare una prigione, o addirittura la pira sacrificale per molti dei suoi cittadini. La retorica della patria serve a chi, anche in democrazia, vuole esercitare un certo controllo sui popoli. Il Cremlino desidera che i russi credano in un ideale supremo, diverso dalla libertà, per il quale valga la pena immolarsi. In questo modo, il regime non ha più la responsabilità per la guerra. Infatti, è la Russia stessa che parla, che chiede di venir protetta, sebbene non si capisca bene da che cosa. Ed è la Russia che uccide. È un tentativo di estraniamento collettivo, di instillare, cioè, nelle genti la credenza che sia normale morire per qualcosa che non esiste.
La realtà è un tribunale severo per i tiranni. Mentre i dittatori sono abituati a muoversi tra le proprie certezze, e tra le proprie idee, anche se sono assassine come le “ideiti” di cui aveva parlato Robert Conquest. Ebbene, che diritto ha lo Stato, o peggio ancora la “patria”, ossia un’entità immanente, ma in realtà inesistente, che offre un alibi a chi, in carne ed ossa, decide davvero; che diritto ha tale realtà suprema, che, in realtà, è una persona in carne ed ossa, ossia, de facto, il Moloch-Putin, di mandare al macello ragazzi di venti o trent’anni? C’è voluta tutta la violenza dell’ideologia prima hegeliana e poi marxista per fare scempio di tanti giovani corpi.
Per quanto riguarda poi la questione morale, vorrei rassicurare i grandi esperti ed ex conduttori tv nostrani che non riescono a capire la differenza tra la Russia e l’Occidente. Mi permettano la seguente, semplice spiegazione. La differenza è molto banale. Innanzitutto, in Occidente non ci sono persone migliori o peggiori che in Oriente. Semplicemente, come direbbe Popper, l’Occidente cerca di far commettere meno disastri possibili ai suoi “cattivi soggetti” che stanno al potere; e, soprattutto, cerca di garantire il ricambio al vertice. Infatti, è questo che conta: non il consenso del popolo, ma, come dice Popper, il giudizio del popolo, ossia la possibilità di poter dissentire dalla maggioranza e di preparare un ricambio politico “senza spargimento di sangue”. Che piaccia o no, oggi in Italia uno può criticare la premier Meloni pubblicamente: in Russia, anche prima della guerra, nessuno poteva criticare senza rischi il signor Putin. Forse alla maggioranza poco interessa coltivare (perché prima occorre coltivarle) ed esprimere idee personali, poco importa una libertà del genere. Ma agli intellettuali, o presunti tali, dovrebbe interessare eccome, anche a quelli come Alessandro Orsini e Michele Santoro. Il punto è che tali soggetti, che pontificano a reti unificate, non riescono a conferire il giusto valore alla libertà di parola, per cui continuano a dire: “So che l’Occidente è più libero della Russia, però…”. Il punto vero è che Orsini è un docente di sociologia del terrorismo ma non è un politologo, né un esperto di guerra convenzionale. In conclusione, anche solo per tali motivi c’è una grande differenza tra democrazia e tirannia. Inoltre, non è vero che una democrazia senza eguaglianza economica sia una dittatura mascherata, come vorrebbe una certa cultura filomarxista citata da Popper. Del resto, se si desidera contrapporre il binomio capitalista ricchezza-povertà a quello marxista libertà-illibertà, basti aggiungere questo: se nelle democrazie gli sfruttati non possono mai mancare, purtroppo, è anche vero che non c’è scritto da nessuna parte che debbano essere sempre gli stessi».
Fabrizio Amadori