Mettere a ferro e fuoco una città, devastare parchi pubblici, fare danni ad auto parcheggiate e a vetrine di privati negozi, per impedire ad un leader politico nazionale (Matteo Salvini) di incontrare al chiuso di un teatro iscritti e simpatizzanti, e oltretutto farsi furbescamente fomentare dal ‘masaniello’ di turno che, di solito, a Napoli viene pure eletto sindaco, è spettacolo urticante.

Osservare ventenni impettiti nel mostrare il pugno chiuso, forti di simboli e slogan che definirli antichi è puro eufemismo, significa mettere in scena per una platea nazionale una disperazione culturale e sociale che è loro ma indirettamente anche nostra. Perché non vi è alcuna strategia in quelle proteste se non millantare uno spirito ribellistico sistemato in bella vista a beneficio di fotografi e telecamere e, in realtà, utile paravento per sbraitare una serie infinita di luoghi comuni che si mescolano a straripante vigliaccheria. Innanzitutto perché questi rivoluzionari da week end celano il volto sotto caschi da motociclisti. E poi perché tanto pusillanimi quanto i loro avi che infestarono le nostre città negli anni settanta, ma ancor più vili e impalpabili, in quanto partigiani di una proposta politica inesistente. Una lotta vetusta sotto ogni profilo e anche strabica visto che, esattamente 24ore dopo, i bus e la metro di Napoli si sono fermati per uno sciopero durato tutta la giornata e indetto da varie sigle sindacali. Cittadini imbufaliti per i disagi e caos urbano mentre agli atti non risulta nemmeno un flebile ed evanescente comunicato dei Centri sociali, un pallido riverbero di lotta di questi sedicenti comunisti del Vomero o di Via di Mille; nulla di nulla. Perché il nemico è sempre un altro, quello ideologico.

Tuttavia è un garbuglio nazionale dove resta però inalterato un assioma, quello dei due pesi e delle due misure rispetto agli opposti estremismi, o finti tali. Lo dimostra il fatto che nella stessa giornata, sul fronte giudiziario romano, prendeva contemporaneamente forma la confessione di Salvatore Buzzi in merito alle losche trame su cui si sarebbe organizzata ‘Mafia capitale’. Dichiarazioni che, certo, dovranno essere avvalorate da prove e riscontri visto che i soggetti in questione sono pure facili alla millanteria ma che, tuttavia, dal punto di vista della gravità rappresentano (e rappresenteranno) pur sempre un pugno nello stomaco per chi volesse dipanare una ad una le vicende capitoline dell’ultimo decennio.

E invece cosa accade? Accade che il ‘compare’ di Buzzi, Massimo Carminati, collegato in video conferenza, faccia un saluto romano in direzione della telecamera e nel volgere di pochi minuti, siamo invasi da articoli e approfondimenti sull’estremismo di destra, sulla Banda della Magliana, sul neofascismo, sulla ‘strategia della tensione’, su Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, financo sul razzismo strisciante e sul populismo. Sì, finanche sul populismo. Riparte cioè quel vortice irrefrenabile di castronerie in parte storiografiche, ed alcune anche politiche, che di fronte ad episodi di poco peso sembra invece spingerci indietro in una spirale soffocante e spietata.

Siamo consapevoli che, per molti, l’esegesi del radicalismo di destra è stato solluchero irrinunciabile; anzi, forse, non ha mai cessato di esserlo perché rappresenta fonte di guadagni professionali. E infatti ‘ospitate’ televisive e libri sul tema non mancano mai. Eppure, il gesto di Carminati, pur nel contesto di una inchiesta enorme per dimensioni e livelli di corruttela, sta ottenebrando ogni altra analisi imponendo sulla scena consumati commedianti pronti a rammentare a tutti noi il pericolo di un fascismo da terzo millennio quando invece trattasi solo di anticaglie varie. Basterebbe ripetere loro che Carminati faceva affari criminali. Punto. Senza far prevalere i mille rivoli sociologici di una operazione goffa ed anche capziosa.

Perché ritorniamo sempre indietro nel tempo, a due pesi e due misure per fatti che hanno in tutta evidenza ripercussioni diverse. Da una parte c’è infatti la vicenda ‘Napoli’ che per l’ennesima volta mostra l’esistenza di un vasto fronte cultural-ideologico capace di emergere periodicamente da cavità carsiche, perché può godere di consensi da parte di intellettuali e pennivendoli di varia natura; dall’altra, la questione ‘Roma’, dove un enorme giro di affari e comprovato malcostume pubblico e privato vengono depotenziati della loro carica sociale esplosiva per far posto ad uno che, pur accusato di una serie infinita di reati gravi, ritorna agli onori della cronaca recente perché in cella fa il saluto romano.

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