Il blocco politico e culturale del conformismo buonino e della sinistra si contorce negli spasmi finali. Politicamente decomposto ma ancora respira, mentre culturalmente tenta di dare un’ultima zampata, tirando il cazzottone più forte a Casa Pound, con una persecuzione strumentale, che non prevede mai un confronto tecnico, sui temi e le idee. Casa Pound va chiusa, è “ignorante” (e intanto rilancia le sue visioni con una rivista e una nuova casa editrice, promuove dibattiti e conferenze, anche alla presenza di ospiti di peso, come Enrico Mentana), fuori legge (poi si candida alla Camera dei Deputati e ha consiglieri comunali sparsi nel Paese), puzza, ha due lingue biforcute e i jeans lenti che si vedono le mutande, dicono quelli che non hanno neanche idea di cosa significhi Cantos. Un accanimento pericoloso per chi parla di libera espressione in libera democrazia, oltre a ogni pregiudizio per il diletto delle masse, con cui sgrillettare la gocciolante indignazione necessaria a (r)esistere. Sgomberare Casa Pound è l’imperativo distopico anche di Virginia Raggi, oltre alla sinistra di vario titolo, vedasi Più Europa che postava, di recente, un appello sul social: “ma ce la facciamo a sfrattare gli occupanti abusivi o no?” e invoca tolleranza zero, i tolleranti col culo degli altri. Per Salvini svuotare lo stabile «non è una priorità», ma è anche possibile, come dichiarato. Prende tempo tattico, il ministro, in evidente pressing “istituzionale”. Mentre per la Raggi, forse, Casa Pound è un tappeto sotto cui nascondere i topi, l’immondizia, il traffico, gli autobus in fiamme, le alluvioni, il degrado capitolino. Eppure in un solo palazzo non c’entra tutto questo schifo. “L’immobile è del Demanio, e sarebbe un bel segnale nei confronti della città”, dice lei. Ma l’unico beau geste verso i romani sarebbe quello di toglierli dalla merda in cui affoga Roma. Chiudere un portone? Meglio aprire la porta. Il segretario di CPI, Simone Di Stefano, qualche settimana fa ha rilanciato, invitando a visitare la sede del suo movimento la Raggi e gli ex sindaci, da Rutelli, ad Alemanno, per “incontrare le famiglie che ci vivono, che, non trovando sostegno nello Stato, si sono dovute togliere di impaccio da sole, senza alimentare degrado, e a vedere di persona come è gestito il palazzo”. Intanto il maiale sporco vuole sporcare quello pulito. Per la sinistra tutti i “centri sociali” sono uguali, evidentemente sofferente nell’avere figli zoppi e infruttuosi, si convince che quelli degli altri siano peggio dei loro. Ma cosa c’entrano una comunità e delle famiglie in difficoltà con delle inutili ombre annichilite? È impensabile paragonare una palestra di militanza, un laboratorio, che si può frequentare con gioia, o meno, con un parcheggio di figli scemi. Casa Pound è un’ampia assunzione di responsabilità sul presente. Sgomberarla significa anche mettere per strada delle famiglie (in difficoltà) e che regolarmente autodeterminano la propria esistenza nello stabile, non boe di segnalazione buttate nel mare magnum della speculazione politica: “Noi siamo diversi da Baobab. Quello è un accampamento a cielo aperto, fatiscente, con persone buttate nelle tende, dove c’è gente che spaccia e stupra”, specifica Simone Di Stefano, “rispetto a un palazzo dove ci sono diciotto famiglie che da quindici anni hanno la residenza, hanno i contratti con luce e gas e tutto. C’è una differenza netta, totale”. Sgomberare Casa Pound significa anche mettere per strada delle famiglie (in difficoltà). Ma la sinistra ha dimenticato cosa voglia dire. L’unica che dovrebbe sgomberare il campo e che, a giudicare dalla liquefazione di LeU e Potere al Popolo, sta già sciogliendosi come neve al sole della realtà. E allora, in questo intreccio di banalità, di esercizietti di stile da primo cittadino, spasmi corrosivi e liquidi cadaverici, ultimi tentati assalti con un manico di scopa, se proprio si vuole far chiarezza, si apra un tavolo istituzionale, alla presenza dei vertici di Casa Pound Italia, delle famiglie ospitate nella loro sede centrale, del sindaco di Roma, e di qualsiasi altra figura formale utile al dibattito, togliendo dalle unghie lunghe e spezzate dell’establishment politico e culturale, l’ennesimo giocattolino con cui passare la nottata. Stesso valga per la sindachessa. Raggi assolta, Roma condannata.

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