E’ sparita la parola depressione, intesa come crisi economica. In economia esistono solo più recessione, stagnazione e ripresa che dal 1990 in Italia si misura in frazioni di percentuali di crescita. Eppure, durante il lockdown per il covid eravamo entrati in un “double whammy” di crisi della domanda e dell’offerta, equivalente a una specie di D-Day inverso, coi nazisti che sbarcano in Inghilterra.

Qualche tempo fa lessi una metafora figurata per dare l’idea delle dimensioni dello sbarco in Normandia: allineando prua contro poppa 6.483 navi lunghe 50 metri, la flotta alleata avrebbe coperto 320 km lineari, più o meno la distanza Milano Nizza passando per Genova.

Quando i numeri diventano troppo grandi, vengono a mancare i termini di paragone nella vita reale, e i nostri cervelli si bloccano come le mandibole dei pitbull. Fu questo fenomeno psicologico che permise a Stalin di distinguere tra la tragedia di una morte singola e la statistica di milioni di morti. E fu proprio questa sottile differenza che lo autorizzò a compiere stermini con cifre a sei zeri.

L’effetto “pitbull” aumenta esponenzialmente quando l’uso di troppi eufemismi bypassano le “parolacce” giudicate politicamente impronunciabili. Per evitare questo rischio, quando la dimensione di un fenomeno diventa troppo estesa, sarebbe forse più efficace tornare a comunicare per immagini e metafore.

Gli eufemismi generati dal pensiero positivo potrebbero avere un po’ di responsabilità per il deficit empatico della generazione Z. I bambini nati nel nuovo millennio hanno fatto i loro primi passi ascoltando parole come “peacekeeping” che talvolta hanno sostituito la cara vecchia guerra. Sono cresciuti assorbendo le “bombe intelligenti”, senza sapere che a fare la differenza è pur sempre il dito stupido di chi schiaccia il bottone. La sintesi di queste formule linguistiche generarono i famigerati “danni collaterali” che nascosero sotto il tappeto i troppi innocenti morti ammazzati.

Così come gli eschimesi hanno una gamma molto superiore alla nostra per declinare le diverse sfumature di bianco, sarebbe ora di tornare ad usare tutto il campionario di vocaboli che secoli di evoluzione linguistica hanno generato, e che pochi decenni di pensiero positivo hanno decimato.

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
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