Una confederazione europea nella Nato
Criticare la Nato con persone che si sono formate durante la guerra fredda, è come strappare via la coperta di Linus. Una guerra polarizza come una calamìta: poli positivi di qua, negativi di là. Chi cerca di mantenere una posizione equilibrata diventa il vero estremista, se osservato da uno dei due schieramenti. Sulla carta stampata e su un blog è più facile fare a meno del narcisismo che in televisione banalizza tutte le opinioni. Il professor Orsini può anche avere cose intelligenti da dire, ma appena entra nella lavatrice televisiva, il primo a diventare una macchietta è lui. L’esposizione scritta di un ragionamento resta forse il modo più equilibrato per esprimere un’opinione. E anche la radio.
Quando era piccola, mia figlia Petra divideva i sentimenti per i maschi in due categorie: amare di capelli, o amare di faccia. Amare di capelli significava farsi prendere da un lato superficiale, svolazzante, effimero. A lei piacevano i bambini biondi, ma li trovava poco affidabili. Amare di faccia, invece, significava basare i propri sentimenti su elementi più verificabili: l’espressione del viso racchiudeva molti più dati di quella persona. In televisione diventiamo tutti “di capelli”, a prescindere se ne abbiamo ancora in testa oppure no. Se vai in tv e lasci da parte il narcisismo, non buchi lo schermo, oppure devi chiamarti Giuliano Ferrara: il suo Otto e Mezzo aveva un’autorevolezza più radiofonica che televisiva.
Anche con la scrittura scatta la diffidenza del lettore quando si toccano le coperte di Linus. Gli americani ci hanno salvato nell’ultima grande guerra calda, e poi anche in quella fredda. Ma dal 1945 a oggi sono passati gli stessi anni che separano il Congresso di Vienna dall’invenzione dell’automobile: un nuovo ordine continentale sarebbe opportuno per non arrivare a scadenza dei 100 anni di geopolitica post napoleonica.
La spettacolarizzazione della politica estera è un ulteriore velo dei Maya occidentale (qui): la pagliacciata di Boris Johnson a Kiev, le comparsate di Volodymyr Zelensky nei parlamenti mondiali, e anche l’influenza dei pur bravi Måneskin che fanno vincere “Casatschok, il ballo della steppa” (qui) al Festival di Torino (in realtà all’Eurovision di Torino hanno vinto gli ucraini Kalush, ma per un baby boomer come me, l’associazione con il tormentone di Dori Ghezzi del 1969 è automatica). Quando gli artisti si ergono a maître à penser, diventano la versione occidentale del realismo socialista. L’arte che si presta a una causa tramite slogan, non attraverso un ragionamento compiuto, è come un fuoco di paglia che provoca danni in un contesto infiammabile come quello odierno.
Ieri, in occasione della visita in Italia della Prima Ministra finlandese Sanna Marin, Mario Draghi ha pronunciato parole importanti: bene la Nato, ma insieme a una complementare difesa europea. Locomotiva tedesca, dunque, con pennacchio francese* e vagoni italiani, spagnoli, portoghesi, e pochi altri. L’importante è che su quel treno viaggino insieme tutti gli europei di una nuova entità più piccola della Ue attuale. C’è la nuova, inquietante, abitudine a dividere anche gli individui (non solo le nazioni) in buoni e cattivi: ucraini di qua (anche quelli uncinati), russi di là e banditi da ogni concorso. Con questa nuova pericolosa tendenza, l’importante è che il treno europeo non si trasformi un giorno in tradotta per gli euro-deboli-carne-da-cannone verso il fronte: «Visto che siete insolventi, e non fate nemmeno i compiti a casa, rendetevi utili, andando a fare la guerra. I cannoni sono un gentile omaggio di noi euro-forti».
Insomma, la nuova Europa sia più simile a una confederazione che a un agglomerato con cittadini di serie A e di serie B, regolati dallo spread tra Bund tedeschi e titoli di Stati spazzatura.
* “Locomotiva tedesca con pennacchio francese”, citazione del 2011 di Mario Seminerio alla Versione di Oscar, su Radio 24.