L’obiettivo di qualsiasi conflitto dovrebbe presupporre prima o poi il ritorno alla normalità. Seguendo l’impostazione di americani e britannici, invece, la Russia assomiglia a quei reati di natura sessuale resi eterni dal Grande Morbo del politicamente corretto: fine pena, mai! Se uccidi qualcuno, dopo vent’anni sei fuori e puoi ricostruire la tua vita. Roman Polanski, invece, sarà mediaticamente colpevole fino all’ultimo dei suoi giorni, nonostante abbia scontato la sua pena e sia stato perfino perdonato dalla sua vittima.

La Russia è uguale. Diamo per scontato che Nord Stream 2 non entrerà mai in funzione, e che tutto il gas d’ora in poi lo importeremo da qualche altra plutocrazia, anzichè risolvere quello che c’è da risolvere, per ripristinare i contatti. Tutto questo ha i connotati della Guerra Santa.

L’invasione russa in Ucraina ha resettato l’opinione di chi prima del 24 Febbraio vedeva le ragioni della Russia, e molti di noi sono entrati in empatia con gli ucraini massacrati dai bombardamenti. Purtroppo, la geopolitica variabile dell’empatia rende mediaticamente difficile comunicare chi sia asserragliato a Mariupol. Nei cunicoli sotterranei dell’acciaieria non ci sono quelli con le svastiche tatuate? All’inizio della guerra era giusto distinguere gli ucraini dal due percento scarso di nazisti. Ora però quel due percento sembra che siano tutti lì, a Mariupol.

«La svastica è un simbolo antico!», sostiene in un’intervista Michail Pirog, il comandante del quarto Battaglione dei volontari nazionalisti della Azov. Vero! Ma a prescindere dalle reali intenzioni, le nostre opinioni, appena comunicate, non ci appartengono più. E’ il comune sentire che emette il verdetto: in Europa la svastica è quella nazista, e presumibilmente lo sarà ancora  per qualche secolo.

Qualunque opinione abbiamo di questa guerra, un argomento potrebbe mettere d’accordo tutti gli europei: in futuro con la Russia non dovremo mai  più trovarci nella condizione di udire il tintinnio delle armi nucleari.

Forse allarmato da quello che sta accadendo, Emanuel Macron ha proposto al Parlamento di Strasburgo una modifica dei trattati europei, avanzando l’idea di un’Europa a due velocità. Per ora il presidente francese dice di voler ingrandire la comunità, includendo l’Ucraina, ma potrebbe essere un artifizio retorico, simile all’approccio di Marco Antonio nell’incipit del Giulio Cesare di Shakespeare: «Amici, romani, concittadini, ascoltatemi. Vengo per seppellire Cesare, non per lodarlo». E’ la tecnica di fare un cerchio dialettico talmente largo, da stordire l’interlocutore fino a quando è troppo tardi per accorgersi che la posizione è esattamente opposta a quella iniziale. Il Marco Antonio di Shakespeare alla fine sarà andato lì proprio per onorare Giulio Cesare, e condannare Bruto. Il cerchio largo di Emmanuel Macron potrebbe essere quello di ampliare la partecipazione al mercato comune, per poi proporre un’unione politica a un gruppo più ristretto, composto da uno zoccolo duro di Paesi europei.

C’era una scena memorabile nel film-animazione Chi ha Incastrato Roger Rabbit: come si fa a scoprire se un cartone animato è nascosto nell’armadio? Si tamburella sull’anta un motivo noto, senza però concluderlo. Il cartone animato non potrà resistere, e dopo qualche secondo emetterà lui le ultime due battute, rivelandosi. E’ quello che è successo dopo il discorso di Macron, quando Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia si sono opposte alla modifica dei trattati.

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
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