Da Inno alla gioia (la sua) quando s’insediò all’Eliseo, a moto di gioia (la nostra) a ogni suo nuovo salto mortale pur di non uscire di scena.

Emmanuel Macron è come la pulce sul palcoscenico: non si vede dalla platea – anche perché non esiste – ma s’intuisce attraverso l’arte del mimo che ne riflette le evoluzioni in aria, tra capriole, tuffi carpiati e piroette.

Macron fu l’ultimo grande esemplare di “convergenza parallela” tra destra e sinistra. Francia e allo stesso tempo Europa. Poeta con i soldati, e soldato con i poeti. Amico di Putin della prima ora, et en même temps amico di Zelensky nella seconda.

A modo suo, il presidente jupitérien è riuscito nell’intento di mettere d’accordo russi e ucraini, non nella risoluzione del conflitto come aveva sperato, ma per due neologismi a lui dedicati. Secondo l’antropologo Emmanuel Todd, in Russia, macronit vuol dire «parlare ininterrottamente e invano». In Ucraina, macroniti significa «esprimere preoccupazione senza fare nulla».

Giunto al crepuscolo, Macron scoprì la doccia scozzese: freddezza ostile in patria, bagno di folla calorosa all’estero. Il 23 Settembre 2025 rimase imbottigliato nel traffico di Manhattan per il corteo blindato del suo omologo americano. Anziché aspettare, scese dall’auto e proseguì a piedi verso l’albergo, lasciandosi cullare dai passanti che lo riconoscevano.

Dopo quell’esperienza inebriante, la locuzione latina “nemo propheta in patria” assunse un secondo significato: non solo “nessuno è profeta nella propria patria”, ma anche “il pesciolino Nemo attraversò l’oceano e diventò leggenda”.

 

PS: l’immagine è ispirata a Keith Haring.

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