IMG_0022Rapporto tra deficit e PIL, conti in ordine, compiti a casa. Questa sciatta e scialba narrazione dell’Europa, asfittica e aziendalista, da ragioniere, non funziona. Lo si è visto con l’emergere dei populismi, che hanno fatto dell’Europa, vista la sua insussistenza politica, il bersaglio privilegiato di ogni male. Ultimo esempio il caso della nave Diciotti.

L’Europa insomma, non se la passa bene, è risaputo. Ma, oggi come oggi, sarebbe un peccato quasi mortale il permettere che il “malato” ci lasci le penne. Il perché ce lo sta insegnando la Germania che, per la prima volta forse, sta lanciando timidi segnali di volersi fare carico di un’egemonia anche politica sul continente, acquisendo sacche di autonomia rispetto all’eterno convitato di pietra, gli Stati Uniti.

Russia's President Putin listens to German Chancellor Merkel during a meeting on resolving the Ukraine crisis at the Kremlin in Moscow

A dimostrarlo il recente incontro di Angela Merkel con Vladimir Putin a Schloss Meseberg, che ha cementato ufficialmente il tentativo di riavvicinamento di Berlino a alla Federazione Russa dopo anni difficili. Un rapporto quasi naturale quello tra Germania e Cremlino, che però è sempre stato la spina nel fianco della Casa Bianca, la quale ha sempre avuto come obiettivo il tenere separata l’Europa occidentale, sotto la sua influenza dalla fine del secondo conflitto mondiale, dalla sua controparte orientale, dal cuore del grande continente eurasiatico, ricco di materie prime (e testate nucleari).

Così mentre Trump, pur se osannato dai sovranisti europei, al di là delle sceneggiate di Helsinki, poi si trova a non avere grande libertà di manovra rispetto al deep state statunitense (prova ne sono le nuove sanzioni contro Mosca), che lo tiene in scacco anche con la minaccia dell’impeachment relativa alla vicenda del Russiagate, l’odiata (sempre dai sovranisti) Merkel invece lavora alacremente per una rinnovata ostpolitik, che prospera nella frattura con gli Stati Uniti sui dazi, sul gasdotto North Stream 2 e sulla questione iraniana.

L’obiettivo di lungo termine, forse, se lo è lasciato sfuggire il suo ministro degli Esteri, il socialdemocratico Heiko Maas, pur noto in passato per la sua posizione filo-atlantista. A luglio aveva parlato della necessità di arrivare a un'”Europa sovrana (…) che non sia più integralmente dipendente dagli Stati Uniti“. Ad agosto addirittura Maas ha parlato, in un comunicato che poi la Merkel ha, con un certo imbarazzo, definito come “non concordato“, di un sistema di pagamenti alternativo al circuito Swift e indipendente dagli Stati Uniti. Mai, in Europa, ci si era spinti a tanto. Una linea di pensiero allineata con quella russa e cinese del progressivo superamento del dollaro. Mai parole di questo tipo erano state pronunciate, per giunta da un moderato, nel vecchio continente.

Smentite a parte, è evidente la voglia di autonomia di un’Europa (o meglio, per ora, di una Germania) che non vuole più sottostare ai chiari di luna d’oltreoceano. I tempi di Obama, in cui l’integrazione euroatlantica a discapito dei rapporti con Mosca sembrava correre senza freni, sembrano lontani.

ATTACCARE L’EUROPA ORA È ASSURDO

Se la Germania lotta per l’autonomia europea, assurdo sarebbe, da parte delle emergenti forze sovraniste, abbandonare e attaccare l’Europa proprio in questo momento. Perché, che sia chiaro, il primo grosso problema di sovranità europeo è proprio quello dei rapporti di forza con gli Stati Uniti. Non quello dell’Euro. Eppure questo sta accadendo.

Il perché, tornando all’origine del discorso che qui si sviluppa, è da individuarsi anche e soprattutto nella narrazione lacunosa, inadeguata, da impiegati d’ufficio, da borghesi piccoli piccoli che i difensori del comune progetto europeo cercano di vendere. Oggi i movimenti che vogliono salvare l’Europa devono capire che senza uno strumento di pari potenza rispetto a quello dei populismi, ossia senza una grande visione, non si può pretendere di guadagnare consenso popolare a un progetto visto, oggi come mai prima, lontano e distante.

LA GRANDE VISIONE

E allora, abbandonando l’inutile retorica della responsabilità (mai nella storia dell’umanità i grandi progetti sono stati partoriti da “responsabili”, ma sempre, semmai, da irresponsabili, da menti folli, visionarie e coraggiose, da Alessandro Magno a Bonaparte), così come quella, penosa e debolissima, dei diritti civili, serve un grande sogno. Un sogno davvero coraggioso. Che però, nell’epoca della crisi di sistema del capitalismo finanziario anglosassone e della sua egemonia, non deve più essere eresia.

Quale potrebbe essere questo sogno? L’unico possibile, pur se da proiettare su un lungo, anzi lunghissimo, periodo. La grande Europa federale. Da Lisbona a Vladivostok. Il progetto geopolitico accarezzato da Napoleone, da Hitler e (in fondo) anche dall’Urss, al netto di ideologie condannate dalla storia e dei loro tragici risvolti, può essere ancora il traguardo a lungo termine da perseguire per chi sogna il continente europeo, inclusa la grande Russia, come una superpotenza del mondo. L’Europa politica in luogo dell’Occidente americanizzato. Una realtà costruita su quattro millenni di storia, cultura e tradizioni comuni. Difficile, aleatoria, praticamente impossibile da realizzare. Ma in grado di far sognare. Con buona pace di miopi nazionalismi e populismi. Ecco, se è consentito dare un consiglio a chi l’Europa unita vuole salvarla, questa può essere la visione in cui credere e far credere. Da promuovere con convinzione. Altro che responsabilità, accoglienza e diritti civili.

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