No, in Svezia non è tutto come prima. E chi finge di ignorarlo sbaglia
No, in Svezia, nonostante quanto affermato dal sistema mediatico mainstream, non hanno vinto i partiti tradizionali. È vero, le elezioni hanno visto ancora una volta al primo posto, con oltre il 28% delle preferenze, i socialdemocratici, come accade ininterrottamente dal 1917. Eppure questa volta sarà difficile per loro mettere insieme un Governo, dato che la coalizione di centrosinistra (che include anche la sinistra e i verdi) conta 144 seggi, contro i 143 della coalizione di centrodestra, costituita da moderati, liberali e cristiano-democratici. Insomma, nessuno ha una maggioranza. Forse determinanti saranno i seggi assegnati al partito nazionalista dei Democratici Svedesi, che con quasi il 18% delle preferenze incrementa notevolmente il bottino rispetto alla tornata precedente (oltre cinque punti percentuali) e che, pur non avendo vinto, ha fatto segnare un risultato più che significativo.
Significativo perché, a prescindere da qualsiasi assurda valutazione tesa a sminuire il risultato finale della destra nazionalista, segnala che, anche nel Paese simbolo della socialdemocrazia nordica, della tolleranza, delle pubblicità politically correct di Ikea, l’immissione massiccia di immigrati degli ultimi anni (la Svezia è il Paese europeo che, in percentuale rispetto al numero di abitanti, ha accolto il maggior numero di richiedenti asilo) è stata rigettata dalla popolazione.
Diversi sono i fattori da considerare per questa reazione. Non secondario è quello socio-economico. Sebbene in maniera magari inferiore rispetto ad altri stati del vecchio continente, grazie probabilmente al proverbiale ed efficiente welfare state, anche la Svezia ha sentito gli effetti della crisi economica globale. E così, mentre il PIL pro capite svedese non ha più raggiunto, dopo il grande crack della finanza del 2008, i livelli del periodo 2001-2008, e il PIL nominale è in costante calo dal 2014, la popolazione continua ad aumentare. Il motivo ce lo spiega la fondazione di studi europei GEFIRA: la continua immissione di migranti con alto tasso di fertilità. Secondo uno studio da loro condotto, infatti, l’alta fertilità delle donne svedesi (2,1 figli a testa, sopra il tasso minimo di sostituzione di due figli a coppia) sarebbe principalmente da imputare a donne nate all’estero. Le donne nate in Svezia, secondo un dato ufficiale, avrebbero infatti un tasso di soli 1,6 figli a testa, il risultato di 2,1 sarebbe dunque una media.
SOSTITUZIONE ETNICA IN CORSO
Si tratta, praticamente, di un processo di sostituzione etnica. Processo che ha subito un’impennata negli ultimi anni, con l’esplosione delle crisi migratorie. Se nel 2010, il 14,3% della popolazione svedese era di origine straniera, nel 2017, solo sette anni dopo, il dato è pari al 24,1%!
L’AUMENTO DEGLI STUPRI NON È CASUALE
I risultati di questo processo, ovviamente, si sono fatti sentire anche sul versante della sicurezza. Secondo dati del Consiglio Nazionale per la Prevenzione del Crimine, nel 2017 si sono avuti 7.230 casi di stupri, 667 in più dell’anno precedente pari ad un aumento del 10%. Chi sono questi stupratori? Secondo uno studio realizzato a ottobre 2017 dal ricercatore indipendente Patrik Jonasson, su 4.142 processi giudiziari relativi ad aggressioni sessuali nell’arco temporale che va dal 2012 al 2017 i dati parlano in maniera chiara: il 95,6% degli autori di stupri ha origini straniere (prevalentemente Medio Oriente e Africa) così come nel 90% delle violenze di gruppo. Insomma, che piaccia o meno al mainstream, i numeri dicono chiaramente che la scelta di importare un numero massiccio di immigrati in un breve lasso di tempo per “pagare le pensioni” non è sostenibile e ha un impatto devastante sulla coesione sociale di un Paese, per quanto questo possa essere all’avanguardia in termini di servizi sociali e qualità della vita. Figurarsi in quelli, come Spagna, Grecia o Italia, dove la situazione socio-economica ha subito un netto peggioramento negli anni della crisi.
L’EUROPA CHE SI GIRA DALL’ALTRA PARTE NON HA FUTURO
È chiaro, come già detto da queste colonne, che i partiti tradizionali dell’agone politico comunitario e anche il sistema mediatico loro connesso dovranno, in vista delle prossime consultazioni europee, dunque tenere conto di questo dato, piuttosto che liquidare come “populismo” o “razzismo”, qualsiasi istanza che chieda una rigida regolamentazione dei flussi migratori. In gioco, con l’emergere di movimenti nazionalisti, c’è la sopravvivenza del progetto geopolitico europeo, già vittima di notevoli squilibri economici. Continuare a non capire la situazione significherebbe consegnarlo definitivamente alla storia.