“Io sono contro la libertà. La libertà è come catena, come blasfema e come pena. La libertà è un cancro”. Parole e musica di Emanuele Franz, giovane e brillante filosofo-editore friulano, anti-accademico (ha fondato un premio filosofico per chi non possiede titoli di studio) che nel suo L’inganno della libertà”, edito da Audax Editrice, affronta un tema scomodo.

Mai come oggi, nell’era che il pensatore russo Aleksandr Dugin (che ha scritto la prefazione al saggio) ha definito del “totalitarismo liberale”, è infatti difficile e sgradito il criticare la libertà. La libertà come intesa nel mondo occidentale, americano-centrico, liberista, per cui essa rappresenta lo scegliere di volta in volta di quale genere definirsi, il riprodurre bambini con la maternità surrogata oppure la facoltà di delocalizzare il lavoro dei poveri disgraziati in qualche regime schiavista, è una libertà falla667f0bd8cc1b5671ad4f8bbe722f4deb_Lce. E Franz la demolisce senza pietà alcuna.

E, se pure l’autore non è il primo ad avventurarsi in una critica all’accezione contemporanea di libertà, lo fa in maniera superba. Dove però il filosofo (per inciso, segnatevi il nome di questa brillante mente italiana, l’impressione è che se ne sentirà parlare a lungo)  riesce a far emergere tutta la sua potenza visionaria e la sua originalità è nella tesi di fondo del libro, che prevede, per l’uomo, la possibilità di essere veramente libero una e una sola volta nella vita. Una soltanto è, infatti, per l’autore, la reale possibilità di scelta per ogni uomo lungo il suo cammino mortale. Fatta questa scelta, le altre sono soltanto una conseguenza.

E quale è questa scelta così importante e, nel contempo, così terribile? Quella tra una vita “al servizio dell’autentico”, come la definisce sempre Dugin nella sua prefazione, oppure quella di una libertà falsa che, probabilmente, è quella seguita dalla maggior parte di coloro che vivono, per l’appunto, nell’era del liberalismo totalitario.

Dove si è liberi, anzi, liberissimi. Di pensarla come tutti gli altri.

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