1570527521-lapresse-20190924144130-30560801Dopo otto lunghissimi anni, si apre un nuovo capitolo dell’interminabile conflitto siriano. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan, dopo averlo annunciato per tempo, è intervenuta militarmente in Siria, dove avrebbe, come riportato da alcune fonti, effettuato dei primi bombardamenti nella fascia a sud-est dei propri confini, nella zona di Al-Malikiyah, località situata nella provincia nordorientale di Hasakah, preparandosi a invadere l’area. Lo scopo dichiarato è quello di creare una “safe zone” a est dell’Eufrate, controllata attualmente dalle milizie curde dell’YPG, ostili ad Ankara e considerate dall’esecutivo turco un’organizzazione terroristica. “Safe zone” alla quale dovrebbero essere destinati un milione di rifugiati siriani oggi presenti entro i confini della Turchia.

I curdi così, sono stati abbandonati al proprio destino dagli Stati Uniti d’America, che hanno scelto di mollare il campo, lasciando via libera, in quell’area, alle ormai prossime incursioni turche. L’amministrazione americana guidata dal presidente Donald Trump lo ha annunciato, come è nel suo stile, in maniera del tutto inattesa domenica sera, dopo, secondo quanto riportato, una telefonata tra “The Donald” ed Erdogan. E, nonostante lo stesso Trump abbia poi affermato, con un tweet, di essere pronto a “distruggere” l’economia turca qualora Erdogan dovesse compiere azioni “oltre i limiti“, la sostanza non cambia di molto.

Soltanto ad agosto Stati Uniti e Turchia avevano firmato un meccanismo di sicurezza per la stabilizzazione del confine meridionale turco, con la creazione di una zona cuscinetto tra le truppe turche e quelle curde, garantita proprio dagli USA. Un accordo che, secondo la posizione ufficiale della Turchia, non ha prodotto i risultati sperati. E così è arrivata la svolta.

Comunque, posto che già un anno fa gli americani, sempre per bocca di Trump, avevano dichiarato l’intenzione di ritirare completamente le proprie truppe dal teatro siriano, cosa di fatto poi non avvenuta (e che quindi anche in questo caso sarà da verificare…), la scelta dell’inquilino della Casa Bianca sembra avere delle conseguenze immediate abbastanza evidenti. Su tutte quella di mettere in difficoltà la delicata partnership turco-russo-iraniana, prospettiva che ovviamente non può che fare piacere dalle parti di Washington.

Nonostante le rassicurazioni di Ankara circa il rispetto dell’integrità territoriale della Repubblica Araba Siriana, infatti, quello della Turchia sarebbe pur sempre lo sconfinamento di un esercito membro della NATO dentro i confini di uno Stato sovrano che, di fatto, si trova a essere alleato sia di Mosca che di Teheran. “In questo caso è molto importante evitare qualsiasi azione che possa creare ostacoli alla risoluzione della crisi siriana. Sappiamo che si stanno aprendo alcune prospettive, comprendiamo che la strada da percorrere è molto lunga e difficile. Ma al momento è completata la formazione della commissione costituzionale siriana, in presenza di tempistiche e date già determinate, è molto importante astenersi da qualsiasi passo che possa compromettere la normalizzazione”, ha dichiarato al proposito il portavoce del presidente russo Dmitry Peskov. Anche la Repubblica Islamica dell’Iran ha espresso sostanzialmente la medesima posizione, per voce del Ministero degli Esteri.

Senza contare che, a creare ulteriori tensioni tra Mosca, Teheran e Damasco da un lato e la Turchia dall’altro potrebbe sopraggiungere la tentazione, da parte dei curdi, di stringere un’alleanza con il presidente siriano Bashar Al Assad. Un’eventuale rottura tra Erdogan e Putin rischierebbe di mettere in discussione il già complesso processo di pacificazione del teatro siriano, incrinando nel contempo l’avvicinamento della Turchia al fronte eurasiatico. Turchia che, ad oggi, come ha confermato ancora Donald Trump su Twitter, rimane “un grande partner commerciale degli Stati Uniti”…

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