Mediterraneo: “Mare nostrum” o “mare alienum”?
“Mare nostrum o mare alienum?”, titola l’ultimo numero di Eurasia, la rivista di studi geopolitici diretta dal professor Claudio Mutti e giunta al suo 58esimo numero, fresco di stampa. Una domanda non priva di interesse, perché quello che gli europei del sud e i nordafricani hanno sempre considerato come il “loro” mare, dalla fine del secondo conflitto mondiale in avanti è divenuto un avamposto strategico per una potenza, per l’appunto, aliena: gli Stati Uniti
“Quello che i Romani chiamavano mare nostrum – spiega il professor Mutti – è oggi un mare alienum, in quanto la sovranità degli Stati rivieraschi è fortemente limitata dall’egemonia di una potenza extramediterranea: gli Stati Uniti d’America. Gli Stati Uniti e la NATO, l’organizzazione militare nata in seno al Patto Atlantico ed egemonizzata dalla potenza statunitense, mantengono infatti decine di basi militari in tutto il bacino del Mediterraneo – da Malaga a Sigonella ad Alessandria d’Egitto a Smirne a Cipro – mentre in Marocco si trova l’Usafricom e in Egitto il NAMRU-3 dell’US Navy. Nel cuore del Mediterraneo, a fianco dell’aeroporto di Napoli Capodichino, è situata la base della Sesta Flotta degli Stati Uniti: la Naval Support Activity di Napoli; lì si trova anche il Comando della United States Naval Forces Europe”.
Un mare, il Mediterraneo, che è, insomma, sempre meno dei… mediterranei. E, tra le potenze mediterranee, si può annoverare anche la Turchia, che recentemente si è fatta sentire in Libia. Quello libico è certamente uno degli scenari centrali del “Mare nostrum”…
“Quindici anni fa – prosegue Mutti – sul primo numero di ‘Eurasia’, dedicato appunto al tema della Turchia, scrivevamo che questo paese, qualora fosse stato tenuto fuori dall’UE, sarebbe stato più facilmente utilizzato dagli USA ed avrebbe rappresentato un serio fattore di destabilizzazione nei confronti dell’Europa, perché avrebbe mantenuta alta la tensione nei Balcani. All’epoca non era possibile prevedere che la Turchia avrebbe dato una mano agli USA proteggendo quel terrorismo settario che ha distrutto la Libia ed ha cercato di fare altrettanto in Siria. Pretendendo di estendere la propria egemonia su territori che appartennero all’Impero Ottomano, la Turchia svolge così un ruolo subimperialista, che potrà essere archiviato solo quando Ankara si vedrà costretta a prendere sul serio l’intesa stabilita con la Russia e con l’Iran”.
Uno scenario invece che, almeno apparentemente, sembra aver perso di centralità, è quello della Palestina. La striscia di Gaza si affaccia sul Mediterraneo e in questo numero di Eurasia al tema è dedicato ampio spazio.
“Il ‘piano del secolo’ – spiega in proposito il direttore – presentato il 28 gennaio scorso da Benjamin Netanyahu e Donald Trump (nonché dal genero e senior advisor di quest’ultimo, Jared Kushner) richiama inevitabilmente alla memoria i documenti con cui venne sancita la formazione delle riserve indiane all’epoca in cui venne consumato il genocidio delle popolazioni autoctone del Nordamerica. Il cosiddetto ‘Stato’ palestinese previsto dal ‘piano del secolo’ dovrebbe infatti consistere in un’entità pseudopolitica ulteriormente frammentata sotto il profilo territoriale e smilitarizzata nei suoi confini; per di più, questo ‘Stato palestinese’ dovrebbe interdire il ritorno ai Palestinesi profughi! Quanto all’entità sionista, essa verrebbe rimpinguata con la valle del Giordano ed altre aree della Cisgiordania ed avrebbe Gerusalemme come propria ‘capitale eterna e indivisibile’, mentre una capitale palestinese troverebbe spazio in un sobborgo periferico della città”.
Il numero precedente di Eurasia, il 57esimo, era dedicato all’Africa. Ebbene, la parte settentrionale di questo continente si affaccia proprio sul Mare Nostrum. In un tempo non lontano, cioè prima del 2011, le nazioni del Maghreb erano un faro di stabilità. Oggi la situazione è molto differente…
“In realtà la stabilità del Maghreb arabo era stata turbata già prima del 2011 – spiega ancora Claudio Mutti – poiché l’Algeria conobbe un lungo periodo di instabilità politica durante gli anni Novanta. E se in Algeria non attecchì il movimento eversivo esploso nel 2010-2011, che nel Maghreb rovesciò il governo di Tunisi e nel Mashreq quello del Cairo, ciò fu dovuto al fatto che gli Algerini, oltre ad assistere agli effetti catastrofici prodotti dalla “primavera araba” nella vicina Libia, non si erano ancora ripresi dal trauma di una guerra civile che aveva fatto 200.000 morti. Oggi sappiamo quale impegno e quante energie siano state profuse da diversi organismi statunitensi per sostenere le ‘primavere arabe’, cosicché lo studioso di geopolitica è fortemente tentato di mettere in relazione questo evento coi criteri geostrategici formulati dall’americano Nicholas Spykman; costui indicava ai politici statunitensi l’esigenza di mantenere in uno stato di disunione e di perenne instabilità il ‘territorio costiero’ (il Rimland) dell’Eurasia, nel quale rientrano per l’appunto anche le sponde meridionali del Mediterraneo. Secondo Spykman, infatti, “chi controlla il territorio costiero controlla l’Eurasia; e chi controlla l’Eurasia controlla i destini del mondo”.