Negare per affermare: la sfida al “mono-cognitivismo” pandemico di Emanuele Franz
Un libro sul Covid-19 il cui titolo è “Io nego”. Facile, facilissimo finire all’indice dei cacciatori di negazionisti. Il filosofo-editore friulano Emanuele Franz, patron della Audax Editrice e già autore di svariati saggi, tuttavia, non è tipo da intimorirsi di fronte alle minacce del “pandemicamente corretto”. E così ha sfornato quest’ultimo volume, che gode della prefazione del noto psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi (ha definito il testo “un atto di resistenza all’oscurantismo dei nostri tempi”) oltre che dell’apprezzamento di personalità come, tra gli altri, Vittorio Sgarbi, che ha riconosciuto all’autore “una autonomia di pensiero sempre più rara oggi”.
Ma che cos’è, allora, questo “Io nego”? Si tratta forse di una provocazione?
“Lo è, in effetti – spiega il suo autore – ma nel senso etimologico: dal latino provocare, dalla radice vocare, ‘chiamare’, nel senso di ‘chiamare fuori’, ed io non solo mi chiamo fuori ma chiamo fuori anche gli altri dal mono-cognitivismo. Generalmente, quando tutti la pensano allo stesso modo su un argomento è il momento di iniziare a sospettare che ci sia qualcosa che non quadra. Intendo dire che quando la medesima risposta viene fornita sia dal sistema che dagli oppositori al sistema stesso ecco che nasce la mia proposizione “Io nego” che, di per sé, almeno grammaticalmente, è una affermazione, l’affermazione della vita in contrapposizione a chi la vita la vuole scindere. Cerco di spiegarmi meglio. Tutte le norme per arginare questa pandemia sono volte a separare gli uomini, i corpi degli uomini. Niente strette di mano, niente assembramenti, niente aggregazioni né riunioni né baci né abbracci. In sostanza la sintesi è eliminata in favore della lisi. Pur tuttavia, in spregio a tutte le norme anti-Covid, la vita stessa è un assembramento, perlomeno di cellule. Infatti il corpo è un assembramento di miliardi e miliardi di cellule che volgono a una unità superiore. Lo stesso principio soggiace alla comunità di uomini, che, con il loro essere sociali, formano una unità vitale superiore, quella della comunità, radicata dal senso dell’appartenenza. Appare evidente che la divisione dei corpi, voluta da chi gestisce questa presunta emergenza sanitaria, è un dividere, dal greco, Diaballein, “diaballo”, διαβάλλω, il verbo greco antico da cui deriva la parola “diavolo”. Ed è a questo punto che io, come uomo di pensiero, intervengo con la mia negazione. Io nego infatti tale operazione divisoria, e affermo l’unità. Prima di me Gorgia, Plotino, e altri, hanno osato negare per arrivare a una Unità superiore”.
Già, ma questi sono pensieri da filosofo. Da “elevato”. E come vive dunque una persona di questo tipo il periodo di confinamento che, con l’unica eccezione dell’estate 2020, prosegue a fasi alterne ormai da un anno? Lo spiega ancora Emanuele Franz, che sostiene di aver affrontato il tutto “con la preghiera e la fiducia che esista un Piano che tutto porta al Bene, che tutto concorra al Bene, come diceva San Paolo nella sua celebre Lettera ai Romani. Indubbiamente non come lo slogan ‘andrà tutto bene’ del pensiero ricorrente, slogan peraltro ripreso dalla mistica Giuliana di Norwich, dopo averlo decontestualizzato e volgarizzato. Un uomo dedito alla filosofia sa che il Tempo, e in generale la storia dell’uomo e l’uomo stesso, sono un Progetto e che un cumulo di sassi accozzato casualmente, come un coagulo di nervi e carne, non può aver prodotto un Michelangelo, un Botticelli, un Mozart. Quindi con la Fiducia che un Senso ci sia. Tale sentimento che mi accompagna, accompagnò alte figure religiose della storia, come San Carlo Borromeo che nel 1576, in una Milano ammorbata dalla peste, opponendosi ai magistrati della città che avrebbero voluto proibire le processioni e le preghiere collettive dei fedeli diresse una processione a piedi scalzi nel centro della città nel pieno della peste. O ancora Teresa D’Avila, Santa, come è noto, che nel suo capolavoro ‘Il castello interiore’, avendo a mente che il Cristo toccava i lebbrosi con le sue stesse mani, diceva che: ‘L’apprensione di perdere la salute cede il posto alla convinzione che si potrà sopportare tutto con l’aiuto di Dio, poichè il naturale è congiunto al soprannaturale’. Oggi invece il Papato annulla la Messa di Natale, e vediamo Sacerdoti con mascherina e guanti, in Chiesa distanziamento sociale, Suore che non ti stringono la mano per paura del contagio, il Papa che invita tutti a vaccinarsi…possibile che il mondo della Fede, che più di ogni altro dovrebbe rappresentare la vittoria dello Spirito sulla materia, dia un esempio di terrore, di paura?”.
A proposito della paura, oggi sembra, sempre di più, che gli esseri umani si siano scordati un fatto quasi banale: cioè che la morte fa parte delle eventualità della vita. Sembra quasi che gli esseri umani abbiano rinunciato a vivere nell’illusione di non morire…
“In effetti – commenta Franz – con il Covid e dopo il Covid, ci siamo dimenticati che anche prima le persone morivano. Le norme anti-contagio dei nostri politici colpiscono elementi che da millenni caratterizzano la civiltà umana, come la stretta di mano, il linguaggio emotivo del volto, l’incontro, ma anche celebrazioni e ritualità universali e specifiche della specie umana. Basti pensare che certe forme espressive dell’uomo, come la sepoltura e il culto dei morti, sono fra le più antiche ritualità dell’uomo ed anzi, è accertato che lo sviluppo del pensiero simbolico ha origine da questa istanza metafisica e che è in ciò che la specie umana si distingue dalle bestie. Dunque io oso affermare che nella norma non vi è lo scopo di arginare una infezione, quanto quello di eliminare il Rito, il Simbolo. Ma senza questi l’uomo è al pari della bestia. Appare quasi inevitabile avanzare il sospetto che lo scopo ultimo della sanità scientista sia eradicare il pensiero simbolico e metafisico dall’uomo per farne un animale da laboratorio”.
Così, questo aver rinunciato a una libertà primaria, quella di movimento, potrebbe averla compromessa per sempre. Lo stesso può dirsi per la socialità.
“Il sistema – conclude il filosofo friulano – in sommo grado con questa gestione sanitaria, vuole eliminare i rapporti fisici fra le persone, e de-corporeizzarli al sommo grado, incitando alla virtualizzazione dei rapporti inter-personali fino all’estinzione del rapporto reale, carnale.
Noi ben sappiamo, come loro, l’importanza del guardarsi negli occhi, dell’abbracciarsi, del contatto vivo, degli sguardi: due polmoni che respirano la stessa aria nella medesima stanza sono un sistema di forze antagoniste alla divisione e alla paura poiché l’aria che esce da un seno ed entra nell’altro genera un’entità vivente terza che è più forte dei due che l’hanno respirata, e che è capace di scardinare il sistema che vuole disossare, dividere e controllare. Il respiro, e quindi il respirare assieme, è da millenni che è consacrato come energia vitale, dai Veda allo Pneuma, ed è esattamente qui che si vuole colpire: impedire che le persone si incontrino significa impedire che respirino assieme, ovvero che generino entità viventi capaci di resistere all’oscurità.
Per fortuna, concludo con ottimismo, dicendo che il respiro esiste anche senza polmoni, la luce del sole esiste prima degli occhi che la guardano, pertanto fintantoché vi sarà luce vi saranno sempre occhi nuovi che nasceranno, finché vi sarà il fiato dell’universo, nuovi polmoni sorgeranno atti a riceverlo”.