I “camerati” della Lega: neri per caso?
In principio fu il celodurismo e “io un accordo con chi va con i fascisti non lo firmerò mai, in questo caso addio”, era il 1994. Poi, con “loro”, ci cadde dentro. In principio bisognava salvare la Lega dall’estinzione. Il carroccio di un tempo ha mutato volto. Dall’indipendentismo, dal federalismo ad una rivisitazione in chiave nazionalista, e non solo. Meno quartierismo, più penisolismo. Insomma, la vecchia generazione del “Roma Ladrona”, storicamente capitanata dallo Sciur Bossi, ha inevitabilmente allentato il passo prima culturale, strutturale poi elettorale, per fare spazio a Matteo Salvini, uno che, evidentemente, ha l’hobby dei (riusciti) restauri e l’armadio pieno di Tshirt. Immigrazione, sovranità, lotta a “questa” Europa, basta Euro. Apriti! Oh cielo ‘nero’.
Ma allora la destra italiana, canonicamente intesa, cos’è diventata? Tra il significato simil-conservatore, populista e autarchico salviniano e quello delle destre consuete di casa nostra quale differenza sostanziale rimane? La profonda storia culturale, valoriale, identitaria.
Dunque cos’è destra oggi? E, a questo punto, cos’è la Lega, oggi? Non c’è il rischio di non capirci più niente?
L’abbraccio con Giorgia Meloni, poi, quello bilaterale con CasaPound. Dalle dichiarazioni del vicepresidente Di Stefano – in una recente intervista a Lettera43 -, che si dice pronto alla “lista unica con Salvini” ad un non più giovane piemontese da guerra come Mario Borghezio il mediatore; direzione destra radicale, sociale, popolare e nazionale, fino alle parole di Gianluca Iannone, in un messaggio preelettorale per le scorse Europee:” Ho scelto e vi invito per questa volta a votare Lega con preferenza a Borghezio nella circoscrizione centrale […]per le posizioni antieuro, per le posizioni contro immigrazione, per i referendum contro la Fornero e la legge Mancino. Perché ho sentito Salvini parlare di orgoglio italiano). Eppure, la secessione rimane uno dei sogni hot della base leghista, quanto meno di una sua buona metà rimasta per necessità, forse per coerenza, legata alla logica primordiale, alla Secessione, al federalismo.
Poi ci fu “Patriae”, movimento politico-culturale nato per essere ponte tra il mondo della destra e la Lega Nord. Il contenitore perfetto per tanto “cameratismo 2.0” – ormai in piena diaspora, tanto da andare a finire anche nei quartieri del 5Stelle; dopo le dichiarazioni di Di Battista padre, poi, non osiamo immaginare… – e per tentare, anche tramite questo, come nuovo canale, l’apertura, in termini di consensi, ad un bacino nazionale di sopravvivenza e rilancio importante; vedasi le scorse europee nel centro (122.509 indicazioni, pari al 2,14%) e nel sud (43.393 preferenze, pari allo 0,75%), realtà territoriali orfane di una destra organizzata, sanguigna, battagliera e culturale che comunque vede nella Meloni e nel sistema FdI-An un forte spiraglio.
Poi la vicinanza al Front National, in ambito estero e le posizioni “esterne” che tutti già ben conosciamo.
La ristrutturazione ha funzionato. L’impensabile si è palesato. L’apertura a destra su tematiche tipiche e nazionali, ha fruttato nella circoscrizione Centro e persino Sud, nonché ha garantito allo stesso Salvini il fatto di essere il candidato con più preferenze a livello nazionale, ben 331.381.
Intanto vi è una destra, secondo il pubblico ludibrio, quasi non più utile, distratta, troppo aperta al ‘compromesso’, troppo muffa per “cavalcare la tigre” della contemporaneità dal cui piatto, però, troppi paraculamente hanno fatto una ricca “scarpetta” per poi buttare il piatto stesso.
Ma è l’incipit culturale che fa movimento o il movimento che fa cultura e visione? Ed ancora, è il risultato che fa schieramento o lo schieramento che fa risultato?
Anche da questo inatteso posizionamento della Cenerentola del nuovo centrodestra, si astrae la deriva postideologica del nostro sistema politico e, giustappunto, culturale. Rinnovamento della specie, d’accordo. Rinascimento partitico, va bene. Rinvigorimento dei ranghi, perfetto. Prematura scomparsa del classico sistema ideologico, ci siamo. Però, non si rischia di esagerare un pochino in nome della credibilità e della coerenza storica e valoriale oppure chissenefrega della teoria, evviva la pratica ed il reazionismo durissimo ai guai d’Italia?
Senza facile moralismo ‘d’area’, non vi è contrasto forte in questa nuova Lega, frettolosamente innalzata a paladina della nuova destra? Un po’ secessionista, un po’ nazionalista, un po’ “Roma Ladrona”, un po’ “Roma generosa”, visti gli ultimi risultati utili, un po’ fuori dal centrodestra, un po’ in lizza per il suo scranno più alto, un po’ sociale, popolare e nazionale, un po’ intransigente, vecchio stile (in un intervento, Alessandro Morelli – direttore di Radio Padania – al Congresso nazionale Lega Nord 2014:” Abbiamo bisogno di una Lega che veda sventolare la bandiera con il Sole delle Alpi e forse un po’ meno tricolori […] forse vedere dei leghisti che sventolano un tricolore è un po’ troppo”), un po’ cameratesca, un po’ indipendentista.
Certamente non è – quantomeno del tutto – colpa degli elettori di destra se, negli ultimi vent’anni, l’area – dalle idee chiare, dal passato nitido – si sia fatta trascinare prima nel berlusconismo, quasi dimenticando padri e la strada di casa, poi nel populismo pieno, nonostante tutto da non demonizzarsi per forza o da non constatarsi meramente come maledizione di questi tempi. E viene anche da chiedersi, proprio come ha fatto Francesco Storace: “se le colpe sono state di Fini, perché senza Fini non ci si riesce ad unire? Senza Fini, siamo più compatti o meno compatti? Se il “traditore” era lui, perché senza il “traditore” i “puri” non riescono a marciare uniti?”
Una figura liquida, quella di Salvini, fluida come il panorama politico tutt’attorno. Ma c’è un manuale vero e proprio, che inquadra non il fenomeno ma il metodo: è “Il metodo Salvini” (Sperling & Kupfer, 2015, pp.252, Euro 19,00) di Francesco Maria Del Vigo e Domenico Ferrara, entrambi giornalisti de Il Giornale, con ricca prefazione di Vittorio Feltri. Tentare di capire se la Lega e Salvini siano, a questo punto, neri per caso oppure no. Ne “Il metodo Salvini”, il Matteo padano a trecentosessanta gradi, dalla radio alla tv passando per le piazze e i social network. Il leader 2.0, che ha unito la crossmedialità ai comizi, Internet alla stretta di mano ed un approfondimento interno sulla virata a destra, sul rapporto con Casapound – con intervista a Gianluca Iannone – e con Marine Le Pen.
Quesiti sullo sfondamento a destra che si è posto anche Antonio Rapisarda in All’armi siam leghisti. Come e perché Matteo Salvini ha conquistato la destra (Aliberti, 2015, pp. 240, Euro 16,00) con prefazione di Pietrangelo Buttafuoco. Un libro indagine in cui l’autore “ricostruisce in maniera puntuale l’ascesa di Salvini e della nuova Lega” – come riporta l’Huffington Post – “Al centro di questa ricostruzione c’è un’interpretazione di fondo ossia che Salvini e la sua Lega siano oggi la nuova vera destra in Italia, l’unica competitiva realmente. Esternamente per la vicinanza con il Front National, grande protagonista recentemente in Francia, entrambi alleati contro le burocrazie di Bruxelles, l’invasione degli immigrati, i grandi colossi bancari, internamente per la capacità di aver saputo trasformare la Lega in un vero partito nazionale, innestandolo senza difficoltà in aree del Centro e del Sud e nello stesso tempo saldando alleanze con le diverse realtà della destra minoritaria, neo o post fascista, che rimasta orfana e frammentata potrebbe trovare nella nuova Lega un contenitore per esercitare il proprio peso”.
Al momento siamo tutti orfani del buon senso e dei padri, del legame indissolubile con un’identità realmente a destra e sempre più figli dell’utilitarismo. Le assonanze non bastano, per dire “destra” ci vuole di più.