Saviano, Grillo, il lavapiatti, l’Europa: Brexit, chi vince e chi perde
Tra il serio e il faceto. Brexit: chi vince e chi perde?
Vince il senso di autodeterminazione del popolo inglese. Un sentimento insito nel genoma di ogni nazione che torna ad affacciarsi alle desolate lande dell’Europa dei mercanti, di cui se n’era dimenticato il senso.
Vince il local. Perde il global, per una volta. Perde l’élite.
Perde Renzi, come pedina dell’asse europeo. Il suo “i figli hanno bisogno di Europa”, pronunciato durante la forzata omelia post voto stamattina, stona fortemente con l’impossibilità di rallentare seriamente i flussi migratori, con i cervellini tricolore in fuga, con gli stessi figli d’Italia, col portafoglio vuoto, il portfolio pieno, che si fanno un curriculum grosso così e che possono soltanto permettersi di sognare un figlio ed una stabilità economica, un contratto ed un mutuo. Perde l’inglese di Renzi, quello dello “shish” del “de de de de”. Io vi prego: non fate che Renzi chiami Farage, Cameron o chiunque anglo sia. Con il suo inglese rischiamo di ritrovarci in guerra prima di subito.
Perde (e preoccupa, considerato che rischia di diventare il partito di governo nei prossimi cinque anni) il 5Stelle: antieuropeisti, europeisti e di nuovo antieuropeisti, marxisti, leninisti, cinofili, liberisti, stakanovisti: liberarsi dalla pesantezza dell’anacronismo, ci può stare, non avere dei riferimenti culturali fondanti, idem, ma avere le idee chiare, è obbligatorio. Ora in parte a festeggiare, in parte a dire che l’Europa si cambia rimanendoci, parola di Beppe Grullo. Prima con Farage, oggi in garage.
Perdono i giovanotti trombaioli della generazione Erasmus. Perdono i lavapiatti furbacchioni. Dal ’68 al ’69 di Jan Palach, per dirla con Gian Micalessin: “giovani e #brexit. Accettare diktat di vecchi burocrati in cambio di voli a prezzi stracciati e studi all’estero non mi sembra grande ideale”.
Perché hanno votato per Brexit i poveracci, i disoccupati, gli operai, i pensionati. E i 18-24 anni? Hanno votato remain. “Tanto a pagare questi giovani filo-Junker ci pensano i babbei operai e i nonni che pagano di tasca loro i viaggi degli animatori della movida europea…”, per dirla, questa volta, con Alfio Krancic Adesso occorre spiegare alla generazione Erasmus, detentrice del futuro europeo, la trombaiola, l’alcolizzata a spese di Stato, la miscredente, quella di tutto il mondo è Paese, quella che si vergogna della Patria natia, quelli del Sorry for Berlusconi, la paracula, che quella dove stanno non è più Europa. Caro lavapiatti che hai mollato, che ti sentivi quel tantino più furbo degli altri coetanei che hanno scelto di restare per provare a riprendersi una terra, ora sei immigrato tanto quanto Re, Regina, principello, taxicab e la nazionale inglese agli Europei di calcio. Ora sei libero di vergognarti di questa casa e di quella. E quindi non ci rivolgiamo a chi lucidamente sceglie di cambiare vita, piuttosto a chi cerca “fottere” l’Italia per qualche mese, sentendosi furbissimo, rinnegando la terra d’origine, e poi te lo ritrovi a Fiumicino con la coda fra le gambe, il portafogli vuoto, la coerenza lasciata in Uk per rimettersi in fila a soffrire in Italia. Noi che abbiamo scelto di rimanere e battagliare, per non lasciare questa terra in mano a figli che d’Italia ed Europa non sono, siamo mica scemi? Onore alla coerenza, non alla convenienza, di chi resta e di chi parte.
Perdono gli xenofobi inglesi che tenteranno di suicidarsi una volta capito che anche loro ora sono extracomunitari.
Perde chi non avrà le palle di sfruttare il risultato inglese. Chi non avrà le palle di ponderarlo un proprio referendum nazionale. Perde chi banalizza, credendo che il referendum di ottobre sia identico a quello inglese. Il referendum di ottobre, almeno per noi eredi di Giulio Cesare, è la prima stoccata da portare a segno ma, al contempo, rappresenta l’inizio di un lungo percorso di ribellione civile a base democratica.
Perde Saviano, il guru del bel pensare, che rosica maledettamente: “Brexit: ha vinto il Popolo.
Me lo ricordo il Popolo, nel 1938, acclamare Hitler e Mussolini a Roma affacciati insieme al balcone di Piazza Venezia. Me lo ricordo il Popolo inebriato, esaltato, per la dichiarazione di guerra. Me lo ricordo il Popolo asservito, quasi isterico, al cospetto di ogni malfattore che abbia condotto l’Europa sull’orlo baratro. Me lo ricordo poi il Popolo che plaudiva quando al confino nel 1941 veniva mandato Altiero Spinelli, perché antifascista. A Ventotene, Spinelli, detenuto insieme a Ernesto Rossi e a Eugenio Colorni (antifascisti come lui) scrisse “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”. Quindi, a ben vedere, siamo sicuri che oggi il Popolo abbia vinto davvero?”. Democrazia a targhe alterne da tenere in immersione almeno 3 minuti nella retorica e nell’antifascismo di etichetta per assaporarne il profumo pieno. Perde Saviano e vince Margaret Thatcher, come ricorda saggiamente Daniele Meloni sull’Intraprendente: “si era scagliata contro l’Europa delle burocrazie impazzite, dei commissioner non eletti, del “Signor Delors” che “voleva – come disse lei in una seduta infuocata della Camera dei Comuni – fare della Commissione l’esecutivo della Comunità, del Consiglio dei Ministri il senato e del Parlamento europeo il corpo democratico” . I “no, no, no!” pronunciati con veemenza allora riecheggiano nel Regno Unito di oggi che, contro le élite, il mondo del business e delle banche, e la propaganda pro-Remain di quasi tutti i partiti, ha deciso di voltare definitivamente le spalle all’Unione Europea, all’euro, al Fondo Salvastati e a Schengen. Vince ancora una volta Margaret Thatcher. Vincono i sovranisti, in un trionfo del principio dello Stato-nazione che sembrava ormai una chincaglieria del passato, ma che andrà comunque ricalibrato nel mondo post-globalizzato dove gli organismi sovranazionali non sono mai stati così potenti e così screditati”
Perde Cameron. Dare dimostrazione di democrazia autoindicendosi un referendum, non sempre porta bene. Ma Vince l’idea che possa succedere anche da noi, ad ottobre. Renzi come Cameron.
Vince la democrazia, quel soave e leggiadro senso antico, dimenticato, di una X, messa in un giorno specifico, in un orario specifico, che fa sì che ancora ci si possa esercitare nel giuoco della sovranità popolare. Una X da rispettare.
Vince la speranza di un effetto domino.
Vince il coraggio, perde la sodomia, ia, oh
Perde l’Europa una connessione importante con la propria storia ma vince un’occasione per cambiare rotta, allontanandosi, per qualche attimo, dai mari della speculazione finanziaria. Puntare gli occhi altrove, alla sostenibilità della vita in the Ue, ad una visione di comunità che comprenda e non escluda le millenarie radici comuni. Verso l’abolizione dei soffocanti potentati interni che stringono come una cinghia, dalla grandezza delle vongole e degli ortaggi, alla regolamentazione dei Social Network.
Vincono gli ultimi britannici, ex romantici.
Perde, però, chi crede che l’Europa vada disintegrata tout court: dell’Europa va annientato, e di corsa, il senso disumanizzante e destrutturante delle coscienze e delle identità nazionali. Va abbassato urgentemente il tasso di globalizzazione e di materialismo, di massificazione e di sovranazionalità che schiaccia la sovranità propria dei popoli. Devastare l’Europa come terra dell’anima, ricreare uno scenario medievale può essere altamente nocivo, soprattutto in un momento storico dalle mille insidie che corrono senza sosta dalla politica estera fino a quella economica. Il nemico ascolta, sempre. Non perdersi nella nebbia di facili rivoluzioni ma ponderare i passaggi per ritrovare una casa a portata di uomo, di donna, di giovane, di famiglia.
Perde chi crede che non cambierà nulla, dalla Nato, ai mercati, ai rapporti diplomatici (dalla Russia e le sanzioni, agli Usa, fino all’Iran). Vince chi trova la strada migliore per evitare l’autodistruzione, pratica molto diffusa di questi tempi.
Vince, ed anzi, stravince la satira che sta impazzendo sul web. Fate un giro, fidatevi.