Se lanci una bombola, più che un rifugiato, sei un disgraziato.
La prossima volta, caro Sovrintendente Gargiulo, del 1° Reparto Mobile della Polizia di Stato – anche detto Mr. Pocopiùdimilleduecentoeuroalmese, quando vedi una bombola pioverti dal cielo, in nome della tolleranza, della festa dei popoli e di un mondo rinnovato, più maturo, emancipato e non-violento – un po’ come la libertà made in Usa che arriva dalle nuvole -, spalanca la bocca e sorridi a tutti denti, prima di perderli tutti; anzi togliti il casco e accogli la bombola della fratellanza, del domani migliore. Così, caro Sovr. Gargiulo della Polizia di Stato, qualche Ong, non se la prenderà con te dicendo che, quel giorno, a Piazza Indipendenza, o altrove, non si trattò di “inaudita violenza”, “di violazione di ogni principio umanitario, sociologico, religioso, politico, filosofico, calcistico, sportivo”.
PRETENDO DI CONTINUARE A DARE UN NOME ALLE COSE.
PRETENDO DI CONTINUARE A DARE UN NOME ALLE COSE.
PRETENDO DI CONTINUARE A DARE UN NOME ALLE COSE.
Non per soffiare sul fuoco, non per entrare nella polemica tecnica; ma per ribattere al trick ipnotico-linguistico-culturale dei cantori del mondo nuovo. Quello che col saio della legge, e il cordone virtuale addosso, processa chiunque voglia mantenere un contatto con la realtà, reagendo all’oppressione perversa a cui siamo sottoposti.
Alle olimpiadi dell’indecenza italiana arriva anche il lancio della bombola indoor. Dopo quello outdoor, presentato al comitato olimpico nel 2001, a Genova, da un ragazzo col passamontagna. In questa continua transumanza adolescenziale tra buoni e cattivi, giocando a chi ce l’ha più grossa (la morale, con cui salvare l’universo mondo da se stesso, dai fantasmi del passato, dai monumenti che lo rappresentano, da ogni stilla intima di identità storica e valoriale, come un ventenne che si ribella ai genitori), si palesa, lenta, lenta, una certezza: se lanci una bombola di gas alla Polizia, più che un rifugiato, sei un disgraziato. Qualunque sia il colore della tua pelle e qualunque sia quello della bombola. E non cedo in tentazione, mi libero dal male, parlando a te, UOMO, e tu sentirai, spero. Non parlo all’immagine di te, non parlo a ciò che altri vorrebbero che tu fossi. Non a chi vuole rappresentarti, e ti vuole riempire come un bignè, di sentimenti, informazioni, immagini, pretesti e parole – un esempio tra le centinaia, riportato da Granzotto, proprio su questo Giornale: “Un corteo – quello di domani pomeriggio all’Esquilino ndr -. pubblicizzato sul sito web del Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa. Movimento nato nel 1988 che sta dietro ai disordini degli ultimi giorni. Sarebbero loro ad aver addestrato e convinto gli occupanti a rimanere lì a ogni costo. L’accusa viene dalla Prefettura: «Le operazioni si sono svolte in condizioni di assoluta sicurezza, nonostante la prevedibile e decisa opposizione degli occupanti e l’azione di infiltrazione posta in essere dai movimenti di lotta per la Casa che ha indotto gli occupanti accampatisi in piazza Indipendenza a rifiutare sistemazioni alloggiative alternative, determinati a rimanere in strada fino alla manifestazione con corteo indetta dagli stessi comitati per sabato». Una tecnica che per i Comitati non sarebbe certo nuova. In un’inchiesta del Tempo risalente all’inizio dell’occupazione si documentava la presenza a via Curtatone di Luca Fagiano, uno dei boss delle «okkupazioni» romane e leader del Movimento per il diritto alla Casa, circolo vicino al Coordimento Cittadino. Nell’articolo si racconta come spesso i movimenti utilizzino i migranti per farsi scudo delle loro occupazioni e conquistare postazioni utili nella capitale. Tra l’altro i movimenti sono soliti chiedere il pagamento di una tassa alle persone che entrano negli stabili conquistati, una tessera periodica obbligatoria il cui importo può variare a seconda dei casi. Non solo. Ma gli «ospiti» sono anche costretti a presenziare alle manifestazioni organizzate dai movimenti e ai comizi dei politici amici. Tutta manodopera gratuita, che arriva anche in soccorso a far scudo contro i blitz delle forze dell’ordine negli stabili presi sotto sequestro” – ; non a chi ti muove come una marionetta dell’umanitarismo spinto, come la vittima da innalzare sull’altare della storia: ricordate i migranti? La seconda metà del 2000, l’era che migrava, che girava, che faceva tanti loop per rimanere sempre lì, o anzi, peggio ancora, per scavarsi, come una grande trivella, la fossa delle derealizzazione, dello staccamento dalla realtà.
Parlo a te, UOMO, che, a tuo dire, ti stavi difendendo. Chi lancia volontariamente una bombola del gas a un agente delle Forze dell’Ordine è un indifendibile delinquente. Che non fa rima con pace, colori pastello, bandierelle e fricchettoneria a scopo di lucro varia. Quella che va per la maggiore, ora, e partorisce nuovi Savonarola, pronti ad evangelizzare al suon di melassa uniforme, antireazionaria e plastificata lineare, anche i bagni dell’Autogrill. E, del resto, non che me ne freghi poi tanto, UOMO, da dove fuggi e perchè, in questo caso. Se lanci una bombola qui, ma da te fuggi, corri via, permetti ai pirati di una terribile avventura moderna di Salgari, di essere sfruttato come pezzo di carne da vendere al mercato, se qui fai la guerriglia, ma da te rinunci ad una rivincita sociale, dignitosa, che passi per le armi e per la legge, finanche per l’estremo sacrificio, come qui facciamo da secoli, nel bene o nel male, tu UOMO fatti due domande, prima di essere sovrastruttura, proiezione per conto di qualcuno, prima di farti addossare la pecetta del migrante povero e debole che non parla, né ha coscienza, da qualche Ong o da qualche onorevole paladino dei diritti. Sarà UOMO, che tu abbia il diritto di emigrare; sarà anche che tu abbia il diritto di non farlo, ma questa è un’altra storia, indicibile, impronunciabile e che ora, qui, mi varrebbe la gogna.
Ma trova una destinazione mentale. E ricorda che per me, prima di essere chiunque tu sia, da ovunque tu venga, sei UOMO; e in quanto tale ti considero. Giochiamo sul campo dell’uguaglianza coatta.
Perché non me la raccontate giusta, voialtri. E nella mia incrollabile visione umanistica, ne ho fatto anche un libro, l’ultimo uscito, proprio in allegato con Il Giornale, prima ancora che essere tutti pecetta da appiccicare sulla cartella “agenzia sociologica n…”, siamo uomini e donne. Compiamo processi di discernimento del reale e di noi stessi, che s’incrociano ben volentieri con una coscienza critica, un’intelligenza, una capacità di giudizio degli eventi, delle proprie azioni. Ebbene, anche così voglio vedere un immigrato (perché fino a prova a contraria, la guerra delle guerre, quella semantica, mi obbliga ad utilizzare il termine corretto, non quello culturalizzato – alla luce di qualche ominicchio attuale che ha la presunzione di stendersi sulla storia e fargli ombra -, ovvero politicamente corretto; ergo, chi si sia temporaneamente o definitivamente stabilito in un luogo diverso da quello di origine, in una singola azione diventa immigrato; chi continua a farlo, migra, quindi, migrante, in continuità), come un uomo che abbia coscienza di sé e del reale; non come un pacco umanitario appoggiato lì per sostenere il culo, stanco di contare i soldi, di qualche Ong, di qualche giornalista, di qualche perbenista, di qualche giornalista-perbenista.
Nelle piccole spese fallisce l’azienda. E nell’uomo si sta perdendo il nostro tempo, ancor prima che nelle idee, nelle pecette, nelle sovrastrutture ideali e religiose. Si spegne, lentamente, l’antico artigianato umano. E lì perisce la civiltà.
UOMO, parla, pensa, agisci. Punto. Come farebbe chiunque altro. Vuoi la mia terra? Prenditi la mia legge. Vuoi la mia bandiera, vuoi la mia cittadinanza? Prenditi le mie grane, le mie disperazioni; prenditi, anche tu, le file, la burocrazia, le telefonate sprecate, . Se avessi saputo com’era davvero, avresti scelto ancora l’Italia?
Che tu sia ivi immigrato per motivi economici (mettiamola così), o umanitari, con lo stesso processo di libero arbitrio che ti ha fatto scegliere se continuare a combattere la corruzione violenta ed endemica nella tua terra, rischiando anche la vita, o imbarcarti pagando un assassino bastardo che, forse, ti scaricherà troppo prima rispetto al primo scoglio, facendoti ammazzare come neanche un animale meriterebbe, dovresti leggere la realtà qui da noi. La fantastica utopia della disgregazione. Ma la colpa è di questo Paese, che non lo permette e ti permette di fare guerriglia in Piazza Indipendenza che così si chiama perché dietro un popolo ha lottato per la propria libertà, per autodeterminarsi; guarda un po’ te quando cazzo è curioso il mondo.
Se lanci una bombola contro la polizia non sei un rifugiato, sei un disgraziato. In attesa di aspettare che si pronunci il sindaco Raggi, sull’accaduto – a proposito, fa ben notare Maria Carla Sicilia sul Foglio: “Al Campidoglio manca, da anni, un piano per fronteggiare sia la questione dell’accoglienza sia quella abitativa e com’era prevedibile neppure la giunta a cinque stelle è riuscita a gestire le cose. “Mai più situazioni come Ponte Mammolo, senza un piano alternativo prima di uno sgombero”, aveva detto nel 2016 Laura Baldassarre, assessore ai Servizi sociali, all’indomani del suo insediamento. Una promessa rivolta alle associazioni che a Roma sono impegnate con i tanti migranti che ogni giorno arrivano e non sanno dove passare la notte. Non si era risparmiata neanche Virginia Raggi, quando in campagna elettorale ha partecipato a un confronto organizzato al Cinema Palazzo, spazio occupato di San Lorenzo. In quell’occasione, parlando a centri sociali e associazioni, il futuro sindaco ha avanzato la proposta di una carta dei “beni comuni urbani” che comprendeva, tra i dieci punti citati, anche la casa. Quello che da oltre dieci anni è un tallone d’Achille per la Capitale, Raggi l’aveva messo al centro del suo programma di governo, il settimo degli undici “passi per portare a Roma il cambiamento di cui ha bisogno”: il diritto all’abitare. Dove siano finite queste buone intenzioni oggi, dopo lo sgombero del palazzo in via Curtatone, non è dato sapersi” -.
PRETENDO DI CONTINUARE A DARE UN NOME ALLE COSE.
(Dal capitolo 1, L’uomo surgelato, di Torniamo Uomini, di Emanuele Ricucci, ed.Il Giornale, 2017)
“Quell’uomo ne ha uccisi venti, in un solo pomeriggio, gridando forte il nome del suo Dio. Dichiarazione di guerra. Egli voleva ammazzare con un preciso scopo, in un preciso modo. Li ha uccisi tutti. Tranne tre. Il caso lascia sempre dei sopravvissuti, perché aiutino a capire subito e a ricordare nel tempo. Essi hanno disperatamente cercato di dire al mondo che quell’uomo ha usato la scimitarra contro di loro, per tagliarli a pezzi. Quell’uomo gliel’ha detto chiaro: vi ammazzo in nome della mia terra, del mio Dio, della mia Fede, infedeli. Siete il mio contro, siete il mio cancro. Io sono contro di voi. Io sono. Tre soli sopravvissuti, ad urlare pazzamente ai giornali, agli amici, agli scettici, che quell’assassino aveva un nome, un cognome, un motivo. Che era tutto chiaro, evidente. Ma il mondo intorno a quei poveri tre non capirà. Non accetterà, in una lunga notte di menzogna. Quello non era un assassino, ma altro. Una fantasia, una paura, un’esasperazione, la rappresentazione di una nostra ossessione. Uno scudo per i razzisti. Fare finta di niente, reprimere la rabbia, negare in nome di altri scopi superiori, magari di Stato, che richiedono di farsi meno paranoie, di essere sempre meno uomini e più spettatori.
Confondere i significati, i limiti della realtà. Bisogna fare di più. Portare verso la derealizzazione, ovvero ad un «appannamento del senso della realtà» (N. Ghezzani) che passi per la pressione di chi gestisce il potere politico, della comunicazione, dell’economia, verso gli uomini, generando nuovi modelli comuni e distorcendo i significati che conducono ad una «diversa» visione delle cose. Un atto di perversione chirurgico che vada a smontare l’uomo partendo da esso: non facendolo più fidare di se stesso, della propria percezione del reale, relativizzando la semantica, i significati, ogni cosa, persino ciò che gli occhi vedono. Per la norma, un uomo che lima se stesso fino ad assomigliare ad un essere neutro, come Vinny Ooh, un ragazzo statunitense di 22 anni che ha speso oltre 50mila euro per trasformarsi in un alieno senza sesso, è un pazzo; per l’istituzione ideologica odierna è un uomo che sta esprimendo, invece, la propria libertà sessuale in consapevolezza.
Per capire quando inizia la rovina, bisogna rendersi conto di quel preciso momento in cui si smette di dare il giusto nome alle cose, di chiamarle col loro nome, specie quando è la legge non scritta dell’imposizione a chiedere di farlo, prima ancora di quella ufficiale che, nel frattempo, si sta organizzando.
E così, quando si dissoceranno i significati originali dei nomi, si smetterà di chiamare madre, una madre, Dio, l’Altissimo, gli uomini, uomini, il dolore, dolore, la guerra, guerra, un terrorista, terrorista, allora l’atto di autoannullamento sarà cominciato. Così come il perverso conto alla rovescia che porta allo smontaggio graduale degli uomini stessi, che passa per un’invasione civile, politica ed intima, soprattutto laddove risiede in ognuno ciò che permette di reagire alla rovina del mondo; che contiene gli anticorpi alla distruzione.
Quando a uno stupidino non si potrà più dire stronzo (Funari docet), perché facendolo si finirà in galera, allora forse si avrà idea di quanto la libertà che si credeva raggiunta è in realtà la ghigliottina che ci taglierà la testa e che noi abbiamo contribuito a costruire non andandoci a riprendere il tempo e lo spazio come cittadini, come persone, continuando a seguire le volontà di chi ci vuole massa molle, di chi ci ha detto che voteremo alle Elezioni, ma non ora che serve. Di chi ha annullato la Bellezza nel profitto. Innaturali, prodotti del politicamente corretto, stiamo perdendo la battaglia semantica, la quale, per sua natura, non è un esercizio di stile dei migliori a scuola, ma lo svilimento infame dei significati e, quindi, dei concetti, che porta ad una pericolosissima relatività da applicare a qualsiasi cosa si muova. Ridicola. […] La grande mistificazione. L’esasperante immigrazione? Una pacifica occasione di crescita e di tolleranza. Il contratto a tempo «determinatissimo»? Una giusta occasione per fare esperienza. Il terrorismo islamico? Fratelli che sbagliano, ammesso che siano musulmani. La crisi economica infinita? Solo un’occasione per dimostrare di non essere bamboccioni. La giustizia inesistente? La magistratura sa cos’è meglio. Il mercato del lavoro che ci rende solo numeri e mezzi di produzione? Il progresso deve avanzare. Non sarà la pigrizia dei lavoratori a fermarlo, la dignità è in quello che riesci a consumare e a produrre. Il sesso nelle mutande? Un pène o una vagina non possono definire chi sei. Salvare gli immigrati dalle acque e dimenticare le giovani coppie nazionali? Serve qualcuno che ripopoli questa terra senza figli. I confini, la cittadinanza?
Questione di burocrazia; per favore, cercate di uscire prima possibile dal Risorgimento che avete in testa. E la lista potrebbe continuare per molto. Prima ancora che ingegneri, architetti, studenti, operai, lettori, eruditi, gelatai, provate a dire «non è giusto!». A provare schifo e, poi, a farvi dare retta, studiando per una vita, combattendo al limite dell’emarginazione economica e sociale. Provate a non impazzire nell’illogicità, nella solitudine di voi stessi, etichettati come vecchi arnesi, provate a non impazzire nell’ira. Un italiano e un olandese, per il mondo di domani, non dovranno più essere diversi. Andranno limate le differenze, le sfumature, il raccolto di secoli di coltivazione umana, di sangue degli eroi che ha fecondato i campi, di danze e spade diverse. Di un modo diverso di chiamare Dio, di navigare il mare, di colorare le stoffe e creare la giustizia. Di vivere la violenza, il sesso, il pudore […]” CONTINUA…