Se “frocio” lo dice la sinistra è civiltà. A tutti gli altri è vietato chiamare finocchi persino gli ortaggi
Non tutti i froci sono uguali. C’è il frocio della Cirinnà, quello della maglietta “Meglio frocio, che fascista”, ovvero quello di sinistra, e poi quello di tutti gli altri, “purtroppo” non al livello di Nostra Signora della libertà sessuale. Perché il frocio della Cirinnà, fatto passare per una provocazione bonaria e di lotta sulla sua pagina Facebook, fa subito convivialità, simpatia e diritti? Ancora una volta, i nostri amici compagni, vanno alla mensa Caritas con la borsa di Prada a dire ai poveri di tenere duro.
Quel frocio significa molto. In nome di una battaglia si può dire di tutto, perché il fine della sinistra è sempre cervellotico, guarda caso sempre indotto dalla “bassezza” umana e culturale altrui, capace di moltiplicarsi così tanto, che si trasforma in supereroina e va a salvare gli italiani. Si può dare del fascista a qualsiasi cosa non ci aggradi, si può invertire il senso storico, si può fare di tutto. Ma tu, tu che non sei un barone della civiltà, se dici immigrato, anziché migrante, sei un malato di mente. Seppure ti esprimi correttamente in lingua italiana. Ecco perché la battaglia culturale, oggi, contro l’egemonia dei sensi e della realtà, contro il parapetto di ferro del politicamente corretto è urgente, e non periferica, come la battaglia politica. Non esiste sovranità politica, senza sovranità culturale. Non si può essere sovrani di alcun ché se prima non si ha coltivato se stessi e il proprio pensiero critico per riconoscersi liberi dall’ideologizzazione imposta di qualsiasi cosa si muova.
Bei tempi in cui la sessualità era una dimensione privata e non uno strumento di guerra ideologica. E in quanto voce significativa della propria intimità, tutelata profondamente. Quando la pudicizia era “un’invincibile attrattiva”, evocando Anatole France, e favoriva l’eros, non lo uccideva, generando fascino e ignoto, continuazione e curiosità. Ma rispetto. Eros che è più ampia dimensione dell’amore e del sesso. Contribuzione dell’immagine individuale e sociale di sé. Bei tempi quando la sessualità non veniva scagliata contro il pubblico ludibrio, o il nemico numero uno, per intavolare una conversazione come premessa fondamentale, per vincere le elezioni, manifestare superiorità o rilasciare patenti di civiltà.
E il dramma contemporaneo è duplice e si arrotola convulso nella vita di tutti i giorni. Un’edera infetta che appesta la lingua e l’anima. L’anima dei tortacci loro, e ne hanno tanti a sinistra, specie quello di dimenticare. Come hanno sciacquato Gramsci dalla loro coscienza di lotta, in piena decadenza alla ricerca di un modello da imitare, di un leader che li salvi, di un martire da immolare a esempio attrattivo da immolare sull’ara dei consensi (come colei che denunciò, leggiadra, il barista perché esponeva una foto di Mussolini), e ora non sapendo più che pesci pigliare te li ritrovi verdi (di rabbia), dopo essere stati rossi e tanto bianchi, specie negli ultimi tempi. Costoro forse dimenticano che l’omosessualità non è un giochino militante, una misura a chi ce l’ha più grosso, a chi deve avere più diritti, ma una vita che spesso ha popolato i loro quartieri perché aperti alla tolleranza e svincolati da ogni confine, specie geografico, da Pasolini a Sandro Penna, di cui proprio Pier Paolo Pasolini sostenne la virtù poetica, pensandolo come il più grande poeta lirico del Novecento. Quell’omosessualità che è legata comunque all’altra dimensione, quella dell’amore, è diventata carne elettorale e demagogica per troppi, incredibilmente ridotta a un presa per il culo, sminuita, brutalizzata a un’idea di partito: seguimi, votami se vuoi rivedere i tuoi diritti. Sempre a sinistra. Gli omossessuali oggi dovrebbero essere diversi, scegliendo di non avere un padre putativo nei seggi elettorali.
E poi il dramma contemporaneo continua fino a scadere nell’altro grande disastro, quello della lingua. Molto semplicemente. Loro “frocio” lo possono dire, lo possono associare. Ci possono ridere sopra, addirittura. Tu, che non sei santo, barone della civiltà e privilegiato come loro, non puoi neanche chiamare “finocchi” gli ortaggi al mercato, pena la ripetizione delle Elementari e l’esilio. Ma soprattutto la negazione culturale: non ti è concesso coltivare te stesso, bruto fascista, e sviluppare un tuo proprio pensiero critico entro cui riconoscerti e riconoscere il mondo. La caccia alle streghe non vale per tutti. Ma non era stato creato un istituto, da Laura Boldrini, che controllasse la lingua e la conformasse agli standard etici “di genere”? Ma non era da incivili, razzisti e fascisti chiamare un omosessuale, “frocio”? Ora è da fascisti; poco fa era da primitivi, da indegni.
Ci usano la lingua contro a scopo intimidatorio. Quando hai dubbi nell’esprimerti, rinunci a farlo. E stai zitto, sei più malleabile. Hai perso la tua breve porzione di luce e di presente, quell’attimo per infilarti, per esprimerti in questa bolgia di social network, quotidiani, talk show e opinioni. Opinioni. Opinioni, che illudono la moltitudine di partecipare al presente, ma nella virtualità delle cose, secondo cui è solo una questione di tempo: il tuo lamento libero sarà prima archiviato e poi cancellato da un computer. Si vale il tempo di un algoritmo.
E dunque, stiamo perdendo miseramente la battaglia semantica, quella secondo cui il significato non è conoscenza e aderenza alla realtà, ma parcella di una visione ideologica. La via semantica all’esistenza attuale, dove il suono delle parole sono le parole stesse. Dove le parole non sono più importanti, alla Nanni Moretti, ma intercambiabili, costantemente interpretabili.
La battaglia semantica, la quale, per sua natura, non è un esercizio di stile dei migliori a scuola, ma lo svilimento infame dei significati e, quindi, dei concetti, che porta ad una pericolosissima relatività da applicare a qualsiasi cosa si muova. Ridicola. Quanto ci si può sentire fuori luogo nel dire «avvocatA» o «presidentA»? O quanto dovrebbe sentircisi esibendo una maglietta con scritto “Meglio frocio che fascista”, ridendoci su, come ha fatto Monica Cirinnà? Ci spieghi culturalmente le sue battaglie per il mondo omosessuale, piuttosto. Ci racconti della carne, del sesso, della pulsione; ci parli dell’eros e della perversione, del suono della voce sussurrata nella nudità, dell’eccitazione, dell’adolescenza. Non solo di politica. Le giustifichi al mondo e non solo col sentore del SUO presente. Cerchi un’implicazione storica. E si ricordi di non avere, lei e l’altro, Zingaretti, quattordici anni. Perché frocio non è più amichevole se viene da destra o da sinistra, e che si fottano le classificazioni con cui si potrebbe, oggi, nomenclare l’archeologia degli uomini furbi. O è frocio per tutti, o per nessuno. O frocio, in ogni sua accezione, è il passato dei primitivi, o il presente degli ipocriti. Nel ricordo della strumentalizzazione suprema, evocata facilmente da Pasolini, che dovrebbe rendere chiaro questo ragionamento. «Oggi la libertà sessuale è un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Risultato: la libertà sessuale “regalata” dal potere è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l’ossessione; perché è una facilità indotta e imposta…».
Cerchiamo di salvare la battaglia dell’anima, almeno, ricordando i versi di Penna, icona gay: «Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune». In questa icona poetica che arriva a raccontare l’amore con la sofferenza di un travaglio, tra pulsioni sessuali e doveri morali, una gestazione continua, in cui si apre il mito e la natura, vie di fuga dagli uomini storpi dentro. Chi è comune qui? E chi è diverso? La sinistra è davvero così diversa da tutelarci tutti? Da poter fare ciò che ritiene? La sinistra è davvero così diversa dalla “brutalità salviniana”, dalla “mostruosità dei fascisti” per insegnare a tutti come coltivare se stessi e sviluppare il proprio pensiero critico? Guai a chi è diverso essendo egli comune. Così comune da dire una cosa e farne un’altra, come indossare quella stupida maglietta. Ma soprattutto, chi è senza peccato scagli la prima pietra. E, hic et nunc, in questo tempo italiano, chi è davvero senza peccato? Chi può scagliare la pietra addosso a un muro qualsiasi e lasciare un graffio nel tempo per dire ciò che si deve dire e cosa deve significare?