Malnutrizione linguistica. Diarrea semantica e logopedia: aiutateci a dire sovranismo. Sovranismo chi è? Sovranismo perché? Sovranismo dov’è, ma soprattutto, sovranismo cos’è? Chi lo considera un oltraggio al pubblico ufficiale, tanto che lo vorrebbe condannare a un pubblico riservato, visto l’insistente e brutale meccanismo dell’unico pensare concesso, proveniente dagli ambienti trinariciuti e oltranzisti, altrimenti detti “a ripetizione in loop”, fragilissimi esponenti di una delle peggiori versioni della sinistra nella storia: quelle con cui non si può neanche dialogare. Sovranismo è interesse nazionale, che corre dall’Ilva e verso ogni ragazzo fuggito all’estero, quanto in ogni piccola, grande azienda che chiude nel silenzio, o che viene acquisita da mani straniere; sovranismo è tutela del concetto di sovranità, anzitutto costituzionale, secondo cui nazione e popolo sono uniti non da una semplice definizione su Wikipedia, ma da un destino più ampio che compone un’identità e gode del volto dei padri, di una propria storia, di una propria memoria, di un innamoramento spirituale, danza rituale che ogni popolo compie, che sfocia in un grande amore chiamato Patria. È “nesso di civiltà, evocando Scianca, grazie al quale ogni popolo è assegnato a un luogo e per il quale una forza spirituale tutela questo radicamento. Sovranismo non è l’italiano scemo urlante, non è la riesumazione della salma di Mussolini, non è nazionalismo, né è populismo, non è salvinismo, né melonismo, nell’accezione dell’estremo culto del capo.

Tanto è stato scritto sul cosiddetto sovranismo. Continuo a sentire il bisogno di travalicare l’esperienza accademica sui paroloni, e sulle citazioni, utili comunque al costrutto generale, sui blocchi di conoscenza che si esprimono ma non intersecano, si ampliano e si manifestano ma non riescono a fondersi, tra scrittore e scrittore, tra testa e testa, tra volontà di visibilità e giusta crescita professionale. Alla fine, ingloriosa, della storia, e mi si perdoni quest’incredibile guantata in faccia ai maestri, ritengo che due sole siano le questioni iniziali capaci di salvare e attivare, renderlo efficace insomma, il sovranismo, fondendo veramente pensiero e azione, per evitare che il titolo di questo pezzo prenda vita, tra miseria e delusione: se il sovranismo non avrà la forza di maturare, si estinguerà. Ma è pur vero che nemo propheta in patria.

Dunque, senza ulteriore indugio, nel mio ragionare, vivere in primissima linea, scrivere, pensare, studiare e confrontarmi con ottime materie grigie sul sovranismo, abbozzo un bivio disegnato a mano.

E FAMOLO STO SFORZO, NO?

Lo sforzo di codificare il sovranismo in un movimento culturale, di declinare il sovranismo in un movimento culturale, sottraendolo dalla mera figura di reazione antiallergica alle follie del progressismo e dell’estremo culto liberalista. Insomma, tanto per parlare di mercato, nella bilancia commerciale, rieducare il proprio elettorato alla militanza e alla cultura (politica), e non solo a ritwittare il capo; un po’ meno empatia esplosiva, dunque, e più ragionamento applicato sopra le cose; un po’ meno Salvini, un po’ più Dominque Venner. Per movimento culturale s’intende, anzitutto, la reale capacità di aggregare e non disgregare un mondo orfano e traumatizzato, lasciato solo, incredulo, barcollante tra i calcinacci di grandi espressioni politiche e ideologiche cadute, nella lunga notte della destra – e nel buon senso di una certa sinistra moderata e intelligente che riesce ancora a sviluppare spirito critico con cui avviluppare tra le fiamme quell’antifascismo ingozzato a forza e infilato ovunque, anche per richiedere un passo carrabile a Parma, che sempre più pare solo una giustificazione d’esistenza. Anche i vecchi comunisti che iniziano a mancarci tanto, usavano strillare un tempo, nell’amplesso della dissidenza, “Patria o muerte”. Alcuni spunti -, riproponendo il triste modello, ora al suo picco alto, che fu ed è della “destra feudale”, affetta da consorteria, meritocrazia a targhe alterne, amicizie e controamicizie, cerchi magici, temi utili e temi inutili. Feudi da difendere, per cui vendersi, corrompersi, dimenticare. Spesso, tagliando col rasoio di Occam, nel mondo dei puri sovranisti, quando non servi più, vieni semplicemente gettato, dimenticato. Buio. E va ricordato che la storia la fanno gli uomini e che quindi molti cambiamenti epocali non riescono a realizzarsi proprio per l’umana incapacità di superare certe umanissime brutture. Certi miseri vizi che solo un demonio santo come Céline – di cui consiglio eroticamente la lettura di “Louis-Ferdinand Céline. Un profeta dell’apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze”, edito da Bietti, a cura di Andrea Lombardi – avrebbe potuto saper strappare con le sue mani, come inservibile carne marcia: “l’individuo perde la propria coscienza. Che si tratti di francesi, gialli o rossi, è l’istinto di conservazione a dominarli. Ne sono avviluppati, hanno chiuso. Basta qualche chiacchiera, qualche farfugliamento, grandi vanità, una decorazione, accademie: eccoli soddisfatti”.

Successivamente, occorre plasmare l’idea di concepire e trasferire le fasi culturali (parola non ad cazzum et usum accademicum, ovvero quelle legate alla coltivazione dell’uomo sovrano che lo rendono indipendente in primis dai vizi del mondo odierno, impermeabile, e ne esaltano la curiosità, gli studi, i ragionamenti, lo spirito critico, l’esperienza, le visioni, le sensazioni, ovvero la formazione), quindi il concepimento, appunto, e la trasformazione in azione politica di concetti e temi propri della difesa dell’identità nazionale – accuratamente decorticata dagli eccessi isolanti del nazionalismo, rimandendo, quindi, adeguata al tempo e agli spazi del mondo -, anche volutamente dimenticati perché non ritenuti utili ai fini commercial/elettorali, come la Bellezza e l’arte, capaci di far crescere e leggere il mondo ben più di ogni abbuffata di conoscenza dimostrativa. Infine, solo infine, la trasmissione all’elettorato, perché tutto non rimanga questione, tradotta male o per nulla dal salvinismo o ridotta al salvinismo e affini, degli addetti ai lavori, degli operai culturali: questo partecipa alla creazione reale dell’uomo sovrano di se stesso contrapposto all’uomo replicante e perfetto modello moderno. Dunque, la cultura non può rimanere fatto privato di una casta di operatori, ma deve tornare a essere maturità del sovranismo e opposizione ideale al mondo avverso. Finanche capacità di dibattito con gli oppositori intelligenti e di costruzione del mondo, non di mera opposizione.

Un mondo che si dice sovrano non può non coltivare, in primis, l’uomo sovrano di se stesso, che non è un replicatore di tweet del capo, di parole del capo, non è un cristiano malfatto a immagine e somiglianza del gran Messia. Egli è uomo e in quanto tale deve assumersi le responsabilità della deriva o della crescita del proprio tempo, della politica, della propria nazione e del dibattito. A partire proprio dall’idea che l’assunzione di responsabilità, anche verso la propria dignità politica, civica e culturale, in un mondo che vuole discolparsi da tutto, nascondersi nel gregge della virtualità e scaricare colpe, è un atto eroico, di per sé. Sovranismo culturale è, ad esempio, dissenso e reazione, superamento della protezione altrui, della pigrizia sociale, coltivazione, compresa la pratica della Bellezza e dell’arte, l’idea di estendere il creato e di non essere finito nell’apparato della Tecnica; è assunzione di responsabilità e combattività, fin nelle più piccole manifestazioni a noi prossime, specie socialmente, è strada del ritorno verso gli uomini integri (secondo crismi e processi a cui dedicherò un altro spunto e a cui, due anni fa, ho dedicato un agguerrito pamphlet, uscito in allegato proprio con Il Giornale in tutte le edicole, “Torniamo uomini”), è nel rallentare il tempo e la velocità imposti dal sistema, è nell’astenersi dal belare sul social sotto a ogni trend e nel forzarsi al non rispondere a ogni banale e distrattiva provocazione ideologica, è nel rapporto con la felicità, che non è meramente soddisfazione tangibile e materiale, è nella coltivazione di ogni forma di Ulteriorità, di spiritualità. Ma è anche nel pretendere di più dai propri rappresentanti, che non sia solo uno strillo, la politica take away col menù del giorno; è nel ragionamento sopra le cose, nell’approfondimento del proprio apparato critico, nella coltivazione di una semantica diversa rispetto a quella imposta dalle misere logiche comunicative, anche giornalistiche, che funzionano a livello di mercato del consenso. È questo e molto, molto altro. È una costruzione verticale, capace di espandersi in costrutti politici, antropologici e ideali ben più complessi della rissa attuale.

Si pende dalla labbra del leader, che è sempre più sovrano. Ma sovrano non deve essere il leader, bensì il suo popolo. In ogni caso, se il leader dirà al suo popolo che la cultura – e non l’atto di darsi un tono, ma un processo salvifico – deve tornare diffusamente di moda, allora l’input partirà e, forse, la cultura tornerà di moda. Per farla banale.

Sarebbe terribile relegare il sovranismo a una mera conta di voti, nazionali ed esteri, a una questione squisitamente parlamentare, politica, partitica, di leadership.

NO SPAZI, NO PARTY

E poi un punto finale. Tenere a mente che l’unica rivoluzione culturale possibile e realmente efficace è quella dell’occupazione degli spazi. Occupazione degli spazi dopo la fase formativa, e quindi dopo aver gioiosamente srotolato e realizzato il punto 1, il più difficile, per evitare l’effetto “primi vent’anni di governo del centro destra”.

Il cittadino, o altrimenti l’uomo sovrano di se stesso, ha un grande ruolo che non può delegare al leader di turno; egli deve dedicarsi la vita, e la battaglia se ritiene di doverne combattere una, egli deve mutare ruolo. Il ruolo del militante, oggi salvifico più di ieri, tempo in cui rappresentava, forse, un esercizio stilistico animato dalla forte passione, mentre oggi, il cittadino militante, il cittadino soldato deve combattere contro la censura, la negazione, l’estinzione forzata di una visione opposta a quella liberal-progressista che rischia di relegare le sue visioni a una dimensione privata. Che sia dalla più piccola associazione culturale, fino alle urne, nei luoghi della generazione del pensiero, della formazione, della quotidianità, non dovrà sentirsi sconfitto in partenza e sarà costretto a contrastare quella generazione della cultura di massa, quel sentire comune su cui le sinistre hanno saggiamente messo le mani anni or sono e su cui si rigenerano anche quando sono cadavere politico.

Due punti, solo due spunti, per carità, che andrebbero ben approfonditi e, giustamente, sviscerati. Molto realismo?

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