Anche solo svegliarsi al mattino è diventata una fatica.

“Il 16 maggio potrebbe essere la data giusta per la fase 2?”, “Se l’andamento non cambia, potrebbe essere, come potrebbe essere prima o dopo, dipende dai dati” ha risposto Borrelli ai microfoni di Rai Radio 1 sottolineando che al momento la situazione è stazionaria”.

Lanciato lì, così, senza arte, né parte, senza ulteriori spiegazioni, come un decreto qualunque, su un Facebook qualunque. Lanciato in faccia agli italiani disperati, internati, isterici e con le tasche sempre più vuote. Tirato lì, così, con la solita confusione, in piena sondocrazia: io, la butto lì, in Radio, in un’intervista mattutina e non in una conferenza stampa, poi le agenzie e i giornali riprendono la dichiarazione e vediamo come reagiscono gli italiani. Tirato lì, così, senza altre spiegazioni, senza ulteriore supporto economico annunciato e concreto, tra mille cose iniziate e in vago corso d’opera (chissà quando mai arriverà l’elemosina dei 600 euro ai poveri sudditi autonomi), senza una parvenza di istituzionalità, senza formalità, senza alcuna precauzione psicologica e mentre vagheggia nelle televisioni e sui giornali un altro incubo, lanciato lì anch’esso, senza un accertamento scientifico preventivo, ovvero che il virus potrebbe diffondersi nell’aria.

Appena pochi giorni fa è stato annunciato l’ennesimo, seppur necessario, sacrificio: chiusura totale fino al 13 aprile. Appena poche ore fa.

Un gioco sulla pelle tesissima degli italiani.

CI SIAMO ROTTI I COGLIONI! CI SIAMO ROTTI I COGLIONI!

BASTA, BASTA con questo offensivo stupro psicologico, fatto di confusione e improvvisazione (vogliamo parlare del caos “circolare ministeriale” sui genitori e i figli a spasso insieme?), di tempi sbagliati. Tutto quasi casuale. Riesco anche io a governare così, del resto, nell’epoca dei Di Maio…

Siamo qui a resistere, e lo faremo. Quanto è vero il cielo. E non ce ne avete passata una, signori. Avete multato chi compra il vino, ci avete rimproverato oltre ogni limite. Avete instillato il dubbio dell’infame come via preferenziale per la civiltà d’emergenza anche alla più innocua casalinga. Come figli stupidi da ammaestrare nella consapevolezza di un ritardo, senza che però nessun possa dire al padre che gli dà gli schiaffi che gli sta facendo male. E non dite che lo fate per noi. Perché per qualche pugno di idioti che fanno i festini a base di una vita morta, seppur viva in attesa di morire, come a Pozzuoli, vi sono milioni di povere bestie che vogliono salvarsi dalla Bestia. E hanno paura, mentre sono ligie al dovere. Hanno paura dell’ignoto perché da troppi anni gli è stato insegnato a non ragionare più del vuoto, a non considerare la morte, a salvare il corpo che tanto si fradicia. E non sanno più come regolare le loro emozioni, a cosa dare priorità, se alla giornata o alle bare incastrate su un camion mimetico.

Ma questi figli stupidi se lo chiedono, e forse, oltre ogni differenza, superando ogni diffidenza, se lo chiedono: è forse giunta l’ora di rifondare un’intera classe politica, che tradotto significa, è forse giunta l’ora di rifondare un’intera classe di uomini? Uomini da declinare nella resistenza, uomini da declinare al potere. Il potere di cosa, poi? Di un fantasma geografico come l’Italia? Dalla quarta potenza mondiale, all’elemosina dei 25 miliardi, dei ritardi, del Mes appeso a un filo? Potere di che cosa, di grazia? Senza più una forza industriale. Un Paese delocalizzato, altrove, in fuga. Verso dove si risparmia, verso lidi in cui la burocrazia non è una malattia compresa nel prezzo dell’essere cittadino senza santi in paradiso, una vera disgrazia in Italia. Lo stesso potere che ha umiliato la sanità italiana?

Burocrazia: cinque modelli di autocertificazione. Un decreto a fine settimana annunciato via Facebook e poi reso attivo nei giorni successivi. Un sito istituzionale fondamentale, come quello dell’Inps, che va in crash con un’ondata di disperati, senza che nessuno, nelle settimane precedenti, abbia provveduto a rendere adatto il portale a sostenere uno sforzo così grande, senza una chiara, chiarissima e insistente comunicazione del fatto che non esisteva nessun click day.

Chiara, chiarissima, insistente comunicazione.

Invece solo sbadigli, accenni, spesso fuori dalle sedi istituzionali.

Voi non li sentite i vostri figli. Voi non lo sentite il polso debole dei vostri figli ammalati che rallenta. Non le percepite le loro economie sciogliersi nelle bollette, i loro risparmi fottersi. Non li sentite perché non siete del mestiere, siete lì per caso. Per il caso italiano dei furbi e dei fessi, che sommati partoriscono l’inconcepibile al governo, come già accaduto. Potete dispiacervene, certamente, mentre vi si gonfiano le vene della fronte e pulsano sangue, sempre più veloce. Certo, quello sì. Ma ognuno può sentire qualcun altro piangere. Ciò che serve, ora, è un padre. Un padre per chi non ce l’ha più. Un padre che a un figlio sappia comunicare quando tutt’intorno brucia. Brucia tutto. Sappia comunicare, non con decreti raccontati a metà su una pagina facebook, in attesa della metà che arriverà il giorno dopo. Sappia comunicare con un minimo di precauzione psicologica, di serietà istituzionale, specie sulla scelta dei tempi. Sappia comunicare una via una speranza. Sappia raccontare gli avvenimenti del giorno. Sappia spiegare quei dati del cazzo, ogni giorno forniti come necrologio, che neanche nel 1917. Sappia spiegare perché di tamponi non ne vengono fatti abbastanza. Sappia uniformare la voce degli scienziati, dopo opportuno brainstorming, affinché davanti ai cittadini arrivi una sola voce, forte, chiara, che illustri cosa fare e cosa fa crepare. Sappia spiegare ai media che ora non è il momento di far politica – che si fottano le urne! – e che non si può crea terrore psicologico. Sappia mantenere una linea stabile.

Un padre che aiuti a creare un equilibrio psicologico.

E allora, forse, signori del governo, una domanda potreste farvela: non è che si rischia di rompere i coglioni? Con la quarantena? Con la sicurezza? No, anche se forse… I coglioni si stanno rompendo con la pochezza di un rapporto nullo che lega il popolo al suo Stato, manifestata appena possibile. La prima forma di sovranità è ricordare che una sovranità popolare esiste. Certo, si fa presto a dimenticarlo quando nelle mire del parlamentarismo basta accroccare una maggioranza di governo che garantisca il godimento muto di un Presidente della Repubblica immobile che ha i capelli fuori squadro perché, ahimé, i barbieri sono chiusi mentre crepano gli italiani. I coglioni si stanno rompendo con la pochezza e la miseria, con l’improvvisazione. Con un dilettantismo insopportabile. Asfissiante anche per il più coglionazzo di noi italiani.

“Scordatevi Pasqua e Pasquetta: a casa”, Borrelli dixit, solo poche ore fa. Io rispetto, ancora e nonostante tutto, lo Stato come massima istituzione, perché così mi è stato insegnato. Ma anche nelle più basilari società l’eleganza viene insegnata per rivolgersi al prossimo. Specie se il prossimo decide di non reagire con violenza d’ogni sorta a questa situazione generale, specie se il prossimo sta in casa a rispettare le ordinanze di uno Stato che a tratti rischia di sfiorare l’imbarazzante, da oltre venti giorni. Specie se il prossimo sta compiendo sacrifici.

Ma che cazzo è, oh?  Quanto manca la serietà dell’istituzione? Quanto? Perché mai rispettiamo ciò che ci dite? Per la cieca fiducia nella superiorità della scienza, dettata dal fantoccio Stato? Per il minimo buon senso che ancora, forse, ci fa considerare il culo in pericolo.

Perché mentre la burocrazia si muove come orizzonte fisso per chi non la fantasia di una visione e si rinnova nella sua pochezza autocertificata, la vita va avanti. E c’è chi non può piangere chi è andato avanti, perché infetto o perché il semplice cimitero del paese è chiuso e i morti caldi si frescano nell’indifferenza; c’è l’ansia dei giovanissimi che scoppiano nella loro impossibilità di estendersi nel fisico, nel comunicarsi al mondo reale; ci sono madri separate dai figli. C’è una natura di insetti e animali che vive e si muove poco, nella gabbie. Gabbie continuate che ci salveranno forse la vita, oltre ogni alternativa immaginabile? Ci sono famiglie che non hanno quasi più i risparmi. C’è il lavoro in Italia praticamente immobile.

Ce la salveranno, signori del governo? Noi abbiamo il dovere di obbedire, ma anche il diritto di non sapere, di non capire, di non capirci più un cazzo. Siete voi al governo. Lo avete voluto voi il governo di questo posto.

L’atto più nobile che possa condurvi alla storia senza peccato, sarebbe la vostra uscita di scena. Rigorosa, dignitosa, la vostra umile ammissione di colpa: ero nel posto giusto al momento sbagliato. Ma non vi coglie la paura? Chi controlla i controllori se non la coscienza?

Li senti i nervi Borrelli, li senti palpitare come tutti noi, sotto pelle. Pulsare, uno per ogni morto. Uno per ogni vita abortita sul più bello, o sul più brutto. Per la sicurezza nazionale. Li senti i nervi che ribollono e la pressione che si alza? C’è il sangue di una nazione che ribolle. E mentre il podista è l’assassino.

L’eleganza di Stato è andata a farsi fottere, fin dalla fine della seconda Repubblica. Quando il più misero onorevole di merda, almeno, sapeva abbinare un pantalone a una giacca, leggendo la diplomazia nella cravatta.

Mentre le circolari si domandano anch’esse cosa volevano significare, se i bambini possono essere portati al guinzaglio, o se i cani possano uscire coi genitori, dove, quando, di quanto, anche la Resurrezione della Pasqua si fa più autentica mentre viene sovrastata dalla voce grossa della scienza che prende il posto di ogni Assoluto, lo azzera, azzerando il sacro, quel sacer che è ponte tra gli uomini finiti e l’indefinito. Questa Pasqua che sarà risurrezione, che il governo voglia o meno, e che ci avvicina ai primi cristiani, ci riporta all’autenticità ancora non macchiata del desiderio di un Dio genio della lampada, da evocare solo quando l’aereo sta cadendo; una Pasqua da festeggiare nelle catacombe, nella purezza e non nella paura, in silenzio, perché Borrelli il miracolato non senta. Una Pasqua annichilita da una dichiarazione di salvifica scienza. Mai accaduto.

Dove cazzo è lo Stato? Nei seicento euro di elemosina agli autonomi? Non dico sia facile fare il padre di un figlio giovane e malato. Non dico che tizio al governo potesse essere meglio di caio. Figurarsi. Ciò che lamento è l’assenza degli uomini, pesante come la morte.

Ogni parte del mondo meriterebbe dei bergamaschi.

Perdonerete lo sfogo.
Finito il lamento. Torno in galera.

Ai fratelli andati avanti dico con la forza della mente che vinceremo la Bestia, anche e soprattutto per voi

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