Il senso di responsabilità e di comprensione del problema è altissimo. Eppure, mi mancano i miei amici. Mi manca mio padre e mio fratello, isolati da me anche nella settimana Santa, la prima senza mia madre che ha deciso di splendere nel firmamento troppo presto.

Oltre ogni considerazione e polemica. Sto a casa, rispetto le leggi, ma non si può interrompere la semplice socialità per sempre. Non parlo della sacrosanta economia da far ripartire, qui parlo di altro. La psicologia è l’altra metà del cielo. Allora perché, magari dopo Pasqua, non permettere, (nel modo più sicuro e adeguato; non so, magari mantenendo l’obbligo di assembramento privato, parte delle nostre libertà, con un numero di persone minimo, distanziate e munite di DPI) di poter rivedere i propri cari, separati da noi, i nostri amici, le persone con cui condividiamo il viaggio e che ci fanno stare bene, pur mantenendo la distanza, indossando la mascherina? Solo così possiamo ricaricare la nostra anima, ridarci lo slancio, sfogarci, sfogarci, sfogarci. Semplicemente vivere un momento di serenità, di svago dalla pericolosa routine imposta, di divertimento, fuggendo dal terrorismo psicologico e dal precoce impazzimento. Va ricostruito in fretta il tessuto dell’anima e della psiche, assieme a quello economico.

Tutto questo non si può comprare.

Non chiedo altro, non chiedo la Luna, non chiedo di fare l’Erasmus come niente fosse, non pretendo di viaggiare in lungo e in largo facendo finta di niente. Non chiedo l’aperitivo al bar.

Sanissimi in un mondo di morti.

Ben afferma lo scrittore Andrea Di Consoli: “Il Covid-19 ha già vinto. Ha già vinto nelle teste. E ha vinto perché ha vinto il suo miglior alleato: la paura. Quando vince la paura? Quando le si permette di decidere su tutto. Ma quando la paura diventa una dittatura, un Paese è finito. Perché giorno dopo giorno ci si indebolisce, ci si chiude, si diventa diffidenti, terrorizzati, pessimisti, rinunciatari, paranoici, ossessivi, egoisti, aggressivi. Il Covid-19 ha instaurato una pericolosa dittatura: la dittatura della paura. Qual è la più grande colpa delle nostre classi dirigenti? Aver costruito, per paura, il governo della paura. Questa debolezza la pagheremo a caro prezzo. E non parlo solo di economia e benessere. Avere paura è sano, farsi comandare dalla paura equivale a suicidarsi. A fine emergenza saremo corporalmente vivi in un Paese moralmente morto”.

Il mio terrore è che forse potremmo perire nell’abitudine. L’indolenza che la paura ha sviluppato, la costante angoscia prodotta artigianalmente da una classe di uomini e politici del tutto casuale ha sviluppato una pigrizia che rischiamo di confondere per unica salvezza eterna. Commetteremo, alle porte della Santa Pasqua, l’errore più comune per l’uomo globalizzato di oggi, scambiare la felicità in soddisfazione tangibile, la salvezza della vita in esclusiva salvezza del corpo e dai dolori fisici, credendo inutile la salvezza della mente e dello spirito, sentendola inutile, non prioritaria. Il virus ammazza il corpo quanto la paura soggioga l’anima. Nella Pasqua il Cristo di spirito vinse la morte superando l’inutilità del corpo. Il mio terrore è che quando compreranno anche questa prigionia con i soldi per poterci campare, arrederemo il ghetto; creperemo imprigionati, tanto abbiamo tutto e ci faremo bastare due minuti di passeggiatina con insulti dello sceriffo voyeur incorporato. Quando patiremo il ricordo dell’altra vita, lo scienziato di turno ci dirà che un nuovo picco è all’orizzonte. Il mio terrore è che scambieremo una vita accontentata per una vita vera, giorno dopo giorno, più lontani, sempre più lontani, accontentandoci di non vedere più i genitori separati da noi, o i figli, i fratelli di una vita. L’idea di discolparsi da tutto per l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità, anche questo mi terrorizza, degli uomini casuali casualmente al governo. Loro “non possono avere colpa” se salvandoci c’ammazzano, disidratano ogni energia spirituale, ci sterilizzante in nome della paura. L’assumersi responsabilità veramente salvifiche degli individui, rischiando di commettere un lecito errore di lettura verso un virus sconosciuto? Ma scherziamo?! Costerebbe il potere politico, costerebbe il rinnovarsi alle prossime elezioni. Giammai!

E cresce il consenso di Conte e del governo, come salvatore della Patria, quel pater patriae che ci rese sanissimi in un mondo di morti. Recuperiamo i ruoli saltati, prima che sia troppo tardi. Chi nella società deve fornire speranza e ci coraggio, chi contatto con la realtà e chi brutalità, chi lucidità ed equilibrio mentale, lo faccia. Ma che tutto non si riduca alla dittatura della paura lasciata gestire in solitudine ai cittadini. L’emergenza psicologica cammina di pari passo con quella economica, seppur sia necessario rimanere in casa.

Le cose semplici reggono il tutto. Una proteina ha fermato la vita

La privazione della libertà, che non è quella di ubriacarsi al bar, ma qualcosa di ben più radicato e importante, l’avrei accettata da un generale degno del suo nome. Da uno statista. Da un uomo degno di guidare il nome Italia fuori e dentro le onde della tempesta. Trovo maledettamente offensivo, pericoloso, realmente catastrofico, dovermi privare della vita, anche nella prospettiva, non tanto nell’immediato, per colpa di un gruppetto di anonimi improvvisati. Individui che senza il continuo supporto di staff tecnici non avrebbero una visione, la lungimiranza e la conoscenza di uomini di Stato.

Io, per quel che valgo, aspetto e combatto. Non si vuole mettere in discussione, si vuole esprimere una seria preoccupazione, poiché ciò che facciamo ora riecheggia nel tempo, nel nostro tempo. Ma l’idea che a cavalcare la storia in uno snodo fondamentale ben più della caduta del muro di Berlino – il tempo saprà dircelo – e a decretare LA SOSPENSIONE DI DIO e della Pasqua (di cui scrissi nei primi giorni del virus) nell’assoluta e cieca devozione verso la scienza, sia questa particolare ghenga governativa, che della confusione, dell’improvvisazione (dai decreti, al sito dell’Inps, passando per le circolari ministeriali) e del terrore ha fatto voto, beh…mi fa ribollire il sangue.

Per fortuna i fedeli resistono e i non fedeli si domandano.

Ma, rito o non rito, al termine della lunga quaresima vi è la Pasqua. Al termine della nostra logorante quarantena vi sarà la Resurrezione. Costi quel che costi così sarà. Questi giorni ci sorprenderanno, mentre ci massacrano interiormente, mentre la sopravvivenza si scontra con la morte.

Questa quarantena, questa purificazione: la grande occasione di cogliere lo spirito. Se nel silenzio tombale della notte urbana, se nel rallentare dell’aritmia folle del sistema gli uomini oggi non coglieranno lo spirito, saranno rovinati. Più di ieri. Perché non avranno scuse. Per alcuni lo spirito di Dio, per altri quello dell’Assoluto che si rappresenta nell’arte, nella natura. Per alcuni la preghiera, per altri la meditazione. Tutti raccolti, poi, nel significato della morte.

Va limitata la rappresentazione più nitida della consistenza materiale degli uomini, dell’incontro terminato tra carne e spirito. Troppi italiani, come uomini del loro tempo, non vogliono altro che veder rappresentate le proprie necessità di sopravvivenza, non solo economiche, interrompendo, di fatto, ogni coabitazione con l’idea della morte. L’anima sparisce, in virtù di una marea umana di corpi in fuga dalla morte e da sé stessi.

Non è (tanto e solo) seguire la messa in casa dalla televisione o esserne partecipi. È la frettolosa inconsistenza attribuita con una frase d’agenzia al rito della Pasqua: “la Pasqua salta e non rompete i coglioni” evocando Borrelli. Simbolico. Un coito interrotto. La celebrazione più potente capace di donare speranza alle anime. Quella Pasqua che supera il Natale. Laddove il Natale è la manifestazione del Dio preesistente, la Pasqua è la conferma di Dio, il passaggio con cui si compie divinità in assoluto, poiché capace di risorgere a nuova vita. Quel Dio che fra tutte le potenze divine è riuscito a compiere lo sforzo più grande persino per un Dio: diventare uomo, diminuirsi per farsi comprendere. E nella Pasqua Dio si riappropria dei Cieli tornando da uomo a essere Dio. La Pasqua è la vittoria sulla morte e proprio in questi giorni dovrebbe essere celebrata con ancor più letizia.

A L’Aquila, nel 2009, molte chiese erano diroccate, piegate, distrutte dalla scosse. La mattina del 7 aprile, arrivando lì con la mia squadra (fui volontario, nell’atto più bello della mia vita che proprio oggi, 6 aprile, come ogni anno, ricordo con profonda commozione. L’Aquila ci cambiò tutti), notai una meravigliosa messa di campo. Un altare, un crocifisso, il Santissimo Sacramento, un sacerdote e decine di persone a pregare in mezzo alla campagna. Non importava dove, ma bisognava connettersi con Dio.

Cosa impedisce di pensare e praticare la Pasqua in questo modo, a distanza, in uno spazio ampio e controllato (magari replicando più spazi per sfoltire gli accessi), adesso, adesso che siamo prigionieri tre volte, nella carne, nello spirito, nella paura?

Bisogna uccidere la Bestia, che sia una proteina o che sia il terrore.

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