Una premessa non necessaria, per un’opinione non richiesta, e per questo maggiormente libera. Sono chiuso in casa, come voi, mentre rispetto alla lettera, seppur con evidente difficoltà, la quarantena. Ciò che leggerete non è un invito alla trasgressione – una provocazione? Forse sì -, ma, al contrario, la volontà di pensare che ancora sia possibile esprimere un’opinione per aprire un dibattito utile e concreto.

Una riflessione che spero possa giungere ai membri del Governo e alle massime istituzioni della Chiesa.

Solo l’idea che ogni giorno (avrei voluto scrivere “santo” ma è una definizione ormai abolita dal Ministero della Verità) si discuta in mille soluzioni e ipotesi di come fare ripartire il campionato di calcio, e non una idea, una data, una prospettiva certa di riaprire le chiese al culto, prorogando con la brutalità di un tempo marcio e senza orizzonti, la sospensione di Dio, fa tremare.

Francamente, inoltre, mi sono rotto i coglioni di vedere i credenti trattati, senza distinzione, come curiose bestie anacronistiche e inservibili, analfabeti non funzionanti incapaci di evolversi e di stare al mondo.

A quanto detto, si somma la necessità di spiegare che da un cristiano fai da te, da un adoratore di Cristo genio della lampada, da evocare solo quando l’aereo in cui viaggia sta precipitando, perché lo cacci fuori da guai, e da chi non pratica la Fede, non si possono accettare lezioni di teologia al cesso. Al cesso si può pregare, certamente, ma non ci si può comunicare con Dio, si può solo comunicare a Dio. Conviviamo tutti, fratelli, ma ognuno si tenga il proprio strazio, ma il rito e la liturgia non possono essere subordinati all’opinione. È impensabile passare da Craxi a Di Maio, figuriamoci da Sant’Agostino a Fiorello. Dio è ovunque, certamente, ma è nel Santissimo Sacramento che un fedele si comunica con lui, nell’ostia benedetta lo assume, ne diventa parte. E dove si trova l’ostia? In CHIESA! Cosa prevedono le Scritture? Di partecipare alla messa, che si tiene in…? CHIESA, in quel luogo ancora in piedi nella proliferazione dei non luoghi del presente, in cui un sacerdote officia il rito. E un sacerdote dove officia quel rito millenario? Al cesso? No, in CHIESA! E dove si svolge la confessione che può purificarci agli occhi di Dio? In CHIESA. Ma le chiese sono chiuse fino a data da destinarsi, ma soprattutto nella superficialità e nel disinteresse.

La Fede decristianizzata che oggi domina la via dello spirito, nient’altro è che uno strascico ideologico che ci portiamo appresso come la croce. Quella distruzione dei modelli di autorità, sessantottarda idea, che relativizza la domus, (la centralità di) ciò che ci è superiore, per ridurlo alla nostra misera dimensione, ogni volta, in ogni aspetto; ciò che ha ammazzato definitivamente il sacro, quel sacer il cui culto colma e traduce la distanza che intercorre tra noi e ciò che ci è ignoto. La sospensione di Dio non è più tollerabile. Pur essendo essa perfetta manifestazione di questo tempo, indica una crepa significativa della civiltà occidentale, dell’azzoppamento morale e spirituale, di un uomo disidratato, che ha interrotto ogni collegamento con l’Assoluto con quel sacro, appunto, che lo completava nell’unica dimensione che non riusciva a colmare con la propria carnale pochezza: l’ignoto. Ignoto oggi riempito da una sonda che atterra su Plutone, dalla Tecnica figlia della scienza, e non più dal dogma, dallo spirito, dall’Arte, come rappresentazione dell’Assoluto, dalla Natura, dalla Bellezza, come anche dal mito. Quell’ometto che crepa ogni giorno, convinto di regnare e partecipare, nella devozione incontrastata verso chi realizza le sue necessità di sopravvivenza, che confonde al felicità con la soddisfazione tangibile, l’assoluta e celere salvezza della carne, pur permettendo allo spirito di marcire. Il quadretto lo conosciamo a memoria. Ma qualcuno ancora resiste.

Il cristianesimo come abitudine di provincia, perché s’ha da fare, il Cristo personale, può svolgersi ovunque. La vera Fede, NO, seppur sì, evviva Spinoza, Dio è ovunque.

Dunque, migliore dei mondi possibili, migliore dei governi possibili, se i fedeli non vanno in Chiesa, la Chiesa vada dai fedeli, nella barbara impossibilità di Stato di tenere aperti i luoghi di culto, anche con gli ingressi contingentati e vigilati e gli orari ridotti, finanche ridottissimi:

Sogno sacerdoti autorizzati che passano di casa in casa a distribuire l’Eucaristia il giorno di Pasqua, nel rispetto delle norme di distanza e di contrasto al virus, ed anzi in piena armonia con le visioni e l’organizzazione dello Stato, come la scienza, di cella in cella in cui siamo costretti a comprimere la nostra vita, passa distribuendo le salvifiche mascherine. Se una il diritto a una pizza a domicilio può levigare le punte isteriche dell’anima in una clausura sfinente e durissima, figuriamoci la Comunione per l’anima impaurita di un credente. Ipotesi che non spetta a me perfezionare, ma solo estendere. Sogno, il Cristo dei campi, nella più pura manifestazione di povertà, che riporti agli esordi di quel cristianesimo puro, non unto e obeso, politicizzato, ideologizzato, troppo corrotto dalle vicende dell’uomo, e vedo una piccola radura, tante piccole radure, una croce, un altare da campo e decine di fedeli a distanza comunicarsi con Dio. A L’Aquila, nel 2009, molte chiese erano diroccate, piegate, distrutte dalla scosse. La mattina del 7 aprile, arrivando lì con la mia squadra (fui volontario, nell’atto più bello della mia vita che proprio ieri, 6 aprile, come ogni anno, ho ricordato con profonda commozione. L’Aquila ci cambiò tutti), notai una meravigliosa messa di campo. Un altare, un crocifisso, il Santissimo Sacramento, un sacerdote e decine di persone a pregare in mezzo alla campagna. Non importava dove, ma bisognava connettersi con Dio.

Modi per riconnettere, seppur in sicurezza – magari con l’ausilio di una pacifica vigilanza -, le dimensioni dell’uomo, per tornare a sentire il respiro della libertà, più profonda e intima libertà.

La Pasqua d’emergenza. La Pasqua – sempre che il fine teologo/faraone/decretatore extraparlamentare, Giuseppe Conte, ce ne conceda il vero significato che esula dalla schiavitù e dall’Egitto – è la conferma di Dio, il passaggio con cui si compie divinità in assoluto, poiché capace di risorgere a nuova vita. Quel Cristo che fra tutte le potenze divine è riuscito a compiere lo sforzo più grande persino per un Dio: diventare uomo, diminuirsi per farsi comprendere e realizzarsi. E nella Pasqua Dio si riappropria dei Cieli tornando da uomo a essere Dio, compiendosi. Provate a fissare con queste parole i capolavori di Matthias Grünewald, il suo Cristo che è sole che eterno si rinnova oltre le stupide vicende umane, altro che uomo finito, o la grazia nella potenza superiore di Piero della Francesca. La Pasqua è la vittoria sulla morte e proprio in questi giorni dovrebbe essere celebrata con ancor più letizia.

Cosa impedisce di pensare e praticare la Pasqua in questo modo, a distanza, in uno spazio ampio e controllato (magari replicando più spazi per sfoltire gli accessi), adesso, adesso che siamo prigionieri tre volte, nella carne, nello spirito, nella paura?

Sono solo due idee, praticabili per mezzo della volontà e della comprensione. Due idee che si possono, e si devono, perfezionare (ad esempio, gli over 65, la fasce cosiddette deboli, da tutelare maggiormente, potrebbero ricevere l’Eucaristia presso la loro abitazione, ma non partecipare alla messa da campo, a cui potrebbero partecipare tutte le altre categorie. Mantenendo la distanza, e in via eccezionale, si potrebbe impartire l’Eucaristia. Lo stesso valga per la confessione).

Solo idee, ipotesi, un sussulto. La dimostrazione che a qualcuno freghi qualcosa, in un tempo in cui ci si discolpa da tutto per l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità agli occhi della storia. Uomini piccoli non hanno spalle robuste per tenere il peso della storia, ma solo, forse, quello della contingenza, breve, fugace e dolorosa contingenza.

Sarebbe un’immagine di speranza, positività e forza, di rinascita, anche se simbolica, proprio alle porte della Pasqua, per ricomporre il suo vero significato. Un’immagine di speranza, positività e forza per chiunque, credente o meno. Tornare a pensare, anche se brevemente, la comunità e l’unione delle forze che fu del Rinascimento gran vanto: la centralità di Dio che convive nel genio politico degli uomini, senza esclusione.

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