L’Abbazia di Chiaravalle

La culla del Grano Padano

Di Stefano Passaquindici e Chiara Valcepina

 

 

 

 

 

 

 

 

Milano, confine Sud Est, a cinque minuti (in automobile) da piazzale Corvetto sorge l’Abbazia di Chiaravalle (fondata da San Bernardo di Clairvaux nel 1135), che nei nostri tempi è ancora popolata dalla Comunità monastica cistercense tradizionale. Il nome vero è: Monastero di Santa Maria di Chiaravalle.

Il 10 ottobre del 1134 giunsero in Lombardia i primi monaci cistercensi provenienti dalla località di Moiremont, vicino a Digione (da cui prende il nome un’altra abbazia, quella di Morimondo), che si stabilirono a Coronate presso Pieve di Abbiategrasso.
Un altro gruppo di cistercensi, provenienti invece da Cîteaux, giunse all’inizio del 1135 a Milano, ospiti dei benedettini di sant’Ambrogio, in sostegno di papa Innocenzo II contro l’antipapa Anacleto II.
La disputa papale venne risolta a favore di Innocenzo II grazie all’intervento di Bernardo di Chiaravalle, che decise inoltre di bonificare la zona paludosa a sud della città (chiamata Roveniano o Rovegnano) e di fondarvi una nuova abbazia; lasciò quindi sul posto un gruppo di frati con lo scopo di raccogliere fondi utili alla costruzione della chiesa.
Il 2 maggio 1221 il vescovo di Milano Enrico I da Settala consacrò la chiesa a santa Maria; nell’angolo nord-ovest del chiostro si può trovare, scritta in caratteri semigotici, la lapide posta in quest’occasione che riporta:
« Nell’anno di grazia 1135 addì 22.1, fu costruito questo monastero dal beato Bernardo abbate di Chiaravalle: nel 1221 fu consacrata questa Chiesa dal Signor Enrico Arcivescovo milanese, il 2 maggio, in onore di S. Maria di Chiaravalle. »

La storia dell’abbazia proseguì tranquilla nei secoli fino alla cacciata dei monaci da parte della Repubblica Cisalpina nell’anno 1798; è in quell’anno infatti che la chiesa diventò parrocchia del paese vicino e i beni dell’abbazia vennero venduti, dando così il via alla demolizione del monastero. Rimasero intatti soltanto la chiesa, una parte del chiostro piccolo, il refettorio e gli edifici dell’ingresso.
Nel 1861, per far spazio alla linea ferroviaria Milano – Pavia – Genova, il Chiostro Grande del Bramante (ma più verosilmilmente dell’Amadeo)[senza fonte], pur costruito sul solo lato adiacente all’abbazia come visibile da stampe d’epoca, venne distrutto.
È solo nel 1894 che l’Ufficio per la Conservazione dei Monumenti comprò l’abbazia dai privati che l’abitavano e iniziò il restauro del complesso, prima affidandolo a Luca Beltrami, poi nel 1905 a Getano Moretti, a cu si deve il restauro della torre nolare, nel 1926 con il ripristino della facciata originaria eliminando le superfetazioni barocche, nel 1945 (e seguenti, fino al 1954) con ulteriori restauri e la ricollocazione del Coro Ligneo nella navata centrale, che era stato spostato nella Certosa di Pavia per precauzione.
Nel 1952 tornarono i cistercensi nell’abbazia, grazie all’intervento del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, riprendendo il possesso del monastero a patto di riuscire a terminare i restauri entro 9 anni e, in questo modo, ottenendo l’uso dell’abbazia e delle terre a essa adiacenti per i successivi 29 anni, rinnovabili.
Tra il 1970 ed il 1972 si effettuarono i restauri degli affreschi del tiburio e, dal 2004, sono in corso i restauri degli affreschi della torre nolare e degli edifici dell’ingresso

Un luogo mistico e misterioso (dove convivono Arte e spiritualità), meta non solo di credenti, ma di tutte quelle persone che amano il silenzio e la pace interiore. Qui, se hai un taccuino nello zainetto, scrivere una poesia ti viene spontaneo. Qui, se stai leggendo un libro, le pagine scorrono a decine, sia che lo si legga rispettosamente all’interno della chiesa, sia che lo si legga nel verde alle spalle della struttura, posta all’ingesso del primo cortile, che ospita il negozietto che vende oggetti religiosi e prodotti naturali.

A tal proposito facciamo attenzione, perché sia il negozietto, sia il punto di ristoro, chiudono dal 9 al 27 agosto.

Chi visita l’abbazia per la prima volta, per caso, ci torna; ci porta la famiglia, gli amici e ci tornerà per sempre.

L’abbazia è un classico esempio del primo stile Gotico; permangono alcune parti romaniche. L’area in cui fu fondato il monastero era in origine paludosa, assolutamente senza colture, fuori dalle mura di Milano. Di quella struttura non rimane nulla, e i lavori dell’attuale edificio iniziarono nel 1150.

Seduti in raccoglimento all’interno dell’abbazia, durante un giorno qualunque della settimana, lo sguardo talvolta sfugge sul fondo della chiesa, sulla lunga fune collegata alla campana.

Il campanile è chiamato affettuosamente “Ciribiciaccola”. Questo nome viene da uno scioglilingua popolare milanese:

“Sora del campanin de Ciaravall gh’è una ciribiciaccola con cinqcentcinquantacinq ciribiciaccolit”… E con questo termine (in Italiano: “ciribiciaccolini” s’intendevano forse i frati dell’abbazia o, forse, i piccoli della cicogna che lì nidificava e i suoi piccoli, sbattendo il becco, facevano il verso: “Ciri, ciri, ciri”.
A volte, quando ci si trova in controluce, la vista della fune è quasi impercettibile.

Oggi, purtroppo, il campanile è avvolto da ponteggi. Ma una volta restaurato sarà ancora più bello da ammirare in armonia con il corpo dell’Abbazia.

L’Abbazia va visitata tutta perché è davvero piena di sorprese e di gioielli da scoprire.  Ma un’attenzione particolare merita il coro ligneo
Stupendo esempio di arte lignea è il coro, appoggiato ai muri della navata centrale, intagliato da Carlo Garavaglia (autore di opere pregevoli a Milano, ma pressoché sconosciuto) a cavallo degli anni 1640-1645.
Interamente in noce è composto da due file disposte parallelamente su due livelli: il primo composto da 22 stalli per i monaci, il secondo livello, più in basso, da 17 posti. I pannelli intagliati rappresentano episodi della vita di san Bernardo, accompagnati da puttini, lesene e incastonati in piccoli scompartimenti.
Ogni figura è diversa dalle altre, caratterizzata in modo mirabile e rifinita in ogni più piccolo particolare, sia per quanto riguarda le persone sia per i dettagli dei paesaggi e dei più semplici elementi di sostegno: ad esempio sono degni di nota i puttini che sorreggono i capitelli ai lati del coro o l’angioletto che sorregge un timpano intagliato con le figure dei Santi.

Le due tradizioni legate all’ottima bonifica dei terreni e al lavoro dei monaci narrano di un’acqua “che non gela mai”; di quelle paludi che divennero talmente fertili da produrre una crescita del 30% in più di foraggio se paragonato alla media precedente. Questo aspetto contribuirà a dare gloria alle vicende militari dei Visconti, perché sarà possibile andare in guerra con due mesi di anticipo.

Sul sito ufficiale dell’abbazia potrete trovare tutta la storia del “Caseus vetus”, il “formaggio vecchio o invecchiato”: il Grana Padano. Citiamo: “…con l’opera di bonifica compiuta dai monaci cistercensi e il conseguente diffondersi dell’allevamento del bestiame, divenne prioritario trovare una soluzione per non sprecare la ricca disponibilità di latte fresco, alimento cruciale nella dieta medievale.”

Non trascurate di fare anche un giretto tra le case del centro della località.

Per maggiori informazioni:  https://www.monasterochiaravalle.it/

 

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