C’est ne qu’un début…
I consigli sulle strategie d’investimento arrivano sempre puntuali al termine di ogni consultazione elettorale di particolare rilevanza. Non potevano, perciò, mancare in occasione della vittoria di Emmanuel Macron su Marine Le Pen per le presidenziali francesi. Le principali banche d’affari offrono suggerimenti abbastanza omologati che così possiamo sintetizzare: si tratta di una vittoria per l’Europa perciò conviene puntare sulle azioni del Vecchio Continente (visto che quelle Usa stanno diventando costose e la Fed sta rialzando i tassi), mentre sul mercato obbligazionario bisogna continuare a cogliere le opportunità di rendimento. Gli esperti di Pimco, tuttavia, sottolineano che gli investitori dovrebbero evitare di pensare che il pericolo populista sia ormai alle spalle perché «il contesto economico è ancora fragile e caratterizzato da incertezza politica, perciò si raccomanda cautela».
L’omologazione (sia detto senza offesa per alcuno) è generata dall’uso di metodi statistici abbastanza similari tra un istituto e l’altro, mentre la valutazione di tipo politico è legata al fatto che il mondo della finanza da anni ha compiuto una scelta ben precisa: quella dell’integrazione europea senza e senza ma. Poi sta a ciascuno di noi valutare se questa legittima preferenza possa esercitare una sorta di condizionamento sulle politiche pubbliche o se, piuttosto, il capitalismo contemporaneo non cerchi proposte interessanti su cui scommettere. E, diciamocelo francamente, lo statalismo di Le Pen e il sovranismo fideistico (ossia senza dimostrazioni valide di come l’iperinflazione post-euro sia sostenibile e superabile senza default multipli) non sembrano esserlo, mentre il protezionismo «old style» di Trump per ora ha retto il test di Wall Street.
In mezzo a tanto «conformismo» macroeconomico c’è, però, una voce fuori dal coro che, secondo noi, vale la pena di essere ascoltata. quella di Salman Ahmed, Chief Investment Strategist di Lombard Odier IM. Innanzitutto occorre partire dai fondamentali macroeconomici: il rapporto debito/Pil della Francia era al 96% alla fine del 2016, contro il 68% in Germania, il 132,6% dell’Italia e l’83,5% per l’Ue nel suo complesso (89,2% per l’area euro). La disoccupazione è del 10,1%, contro il solo 3,9% in Germania, l’11,8% in Italia e l’8,2% per l’intera Ue (9,7% per Eurolandia). La piattaforma economica di Macron è molto «market friendly», osserva Ahmed, in quanto «non intende aumentare l’età pensionabile, ora a 62 anni, né ha promesso di abbassarla a 60 anni come ha fatto Le Pen». Inoltre il neopresidente vuole tagliare il bilancio pubblico di 60 miliardi di euro in modo da portare il deficit/Pil della Francia nei limiti dell’Ue, cioè sotto il 3 per cento. Macron, però, vuole anche abbassare la corporate tax dal 33,3% al 25% e spendere 50 miliardi di euro in cinque anni sulle misure fiscali pro-crescita come gli apprendistati e le infrastrutture.
«Con la Francia c’è un problema: spende troppo e spende male». L’allarmante dichiarazione il giorno dell’elezione di Emmanuel Macron a presidente della repubblica, viene dal presidente dell’Unione europea, Jean-Claude Juncker, secondo il quale in Francia tra il 53 e il 57% del Pil diventa spesa pubblica. Juncker ha ammonito che Macron non può fare affidamento sulla buona volontà dei partner europei troppo a lungo: «La Francia deve raggiungere un accordo con gli altri, la Germania non è sola nel chiedere una politica di stabilità».Una sottolineatura che evidenzia come Matteo Renzi potrebbe aver sbagliato i calcoli nel volersi intestare assieme a Macron la guida dell’asse antirigorista dell’Europa del Sud contro Frau Merkel sia perché Francia e Spagna hanno compiuto progressi significativi sul lato delle riforme sia perché lo stesso neopresidente si è preoccupato di rinsaldare le relazioni privilegiate con Berlino.
Non è detto che, tuttavia, Macron abbia calmato la rabbia degli elettori che hanno scelto Le Pen o Jean-Luc Mélenchon. «Dobbiamo anche ricordare che En Marche!, il movimento fondato dall’ex ministro dell’Economia, non è un partito politico organizzato ed è improbabile che otterrà la maggioranza alle prossime elezioni parlamentari il prossimo mese», aggiunge Ahmad. «Un Parlamento severo sul lato della spesa pubblica potrebbe lavorare con Macron sulle riforme pensionistiche e sui tagli fiscali delle imprese, ma frustrare i suoi piani sociali», sottolinea. O, più semplicemente, potrebbe profilarsi un periodo di stallo politico e di conseguente crescita economica lenta. «In entrambi i casi Le Pen o il suo successore alla guida di quello che diventerà il Front National si ripresenterà con argomenti ancor più forti fra cinque anni: questa è forse la cosa fondamentale da tenere in mente», rimarca Ahmad. «Macron è fortunato ad entrare all’Eliseo in un momento in cui la politica monetaria può risolvere alcuni problemi indipendentemente dalla politica, ma questo vento soffierà per mesi, non anni». Ecco perché potrebbe valere il motto dei sessantottini francesi C’est ne qu’un debut («È solo l’inizio»): il malessere popolare incanalato nella protesta non ha trovato una vera e propria rappresentanza all’Eliseo e potrebbe trovare nuove forme di espressione non necessariamente nelle urne. In ogni caso, conclude Ahmad, «bisogna compiere progressi concreti per affrontare i problemi di coloro che sono rimasti indietro a causa della globalizzazione, senza compromettere la competitività della Francia».
Wall & Street