Avrebbe avuto origine in un hotel di Londra, il Mayfair, il progetto di The Movement. Una vera e propria “internazionale populista”, che farà base a Bruxelles e di cui il regista è e sarà Steve Bannon, ex tante cose: ex banchiere in Goldman Sachs, ex produttore cinematografico, ex Chief Strategist della Casa Bianca per Donald Trump nonché ex animatore della rivista americana online Breitbart, punto di riferimento di quell’alt right che ha sostenuto l’ascesa dello stesso Trump.

A dare conto dell’iniziativa è stato il The Daily Beast. Nel lussuoso albergo londinese sarebbero stati presenti, insieme a Bannon, rappresentanti dello Ukip britannico di Nigel Farage, del Rassemblement National francese di Marine Le Pen, i fiamminghi del Vlaams Belang, i nazionalisti svedesi e finlandesi e, infine, Paul Gosar, parlamentare statunitense repubblicano del gruppo del Freedom Caucus, una fazione estremamente conservatrice del Great Old Party, vicina al movimento ultraliberista dei Tea Party. Ma al nutrito gruppo potrebbero unirsi la Lega di Salvini, i nazionalisti polacchi e il premier ungherese Orban.

BESTPIX - Steve Bannon Joins Alabama Senate Candidate Roy Moore At Campaign Rally

Il progetto di Bannon, allontanato misteriosamente dalla Casa Bianca ma sempre legato a The Donald di cui, nonostante qualche screzio documentato, tesse spesso e volentieri le lodi, punta già alle elezioni europee del prossimo anno e, sebbene non in maniera così dettagliata, era già emerso da alcuni approfondimenti sulla stampa in occasione della visita che questi fece a Roma dopo le elezioni politiche per incontrare i dirigenti della Lega e del Movimento 5 Stelle e perorare la causa della nascita di un governo giallo verde, poi effettivamente realizzatosi.

Lo scopo del programma di Bannon è quello di ottenere un terzo dei rappresentati dell’emiciclo di Bruxelles, risultato non improbabile coinvolgendo anche la Lega di Matteo Salvini. Nelle intenzioni del suo promotore, The Movement dovrebbe coordinare le attività dei partiti sovranisti e conservatori, raccogliendo al contempo fondi per le loro attività di comunicazione anche collaterali. Vuole essere, in sostanza, una replica di quel che George Soros, con la sua Open Society Foundation, più o meno fa già attualmente con i movimenti di sinistra e i socialdemocratici europei.

Francia: elezioni locali, nel sud Fronte nazionale in testa

Un target che, non casualmente, si sposa perfettamente con la strategia politica dello stesso Trump. Si devono ricordare le dichiarazioni dell’ambasciatore americano a Berlino, Richard Grenell, che poco più di un mese fa affermò la volontà di supportare gli emergenti partiti populisti e conservatori del vecchio continente. E bisogna poi dire che Trump, ad oggi, pur avendolo allontanato, ha seguito in maniera quasi pedissequa le “prescrizioni” del suo ex stratega di riferimento, incluso il trasferimento dell’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme. Secondo il libro “Fire and fury” dello scrittore Michael Wolff, una raccolta di retroscena sulla presidenza del tycoon di New York, sarebbe infatti stato proprio Bannon a suggerire questa mossa, prevedendo poi una cessione della striscia di Gaza all’Egitto e della Cisgiordania alla Giordania.

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ISRAELE UN ALLEATO, CINA E UE I NEMICI

E proprio Israele ha per Bannon, che si definisce orgoglioso di essere un sionista cristiano, (e Trump) un ruolo fondamentale. Lo stato ebraico, che sotto la leadership sempre più etno-nazionalista di Benjamin Netanyahu ha recentemente approvato una legge (criticatissima) che trasforma il Paese in “Stato nazionale degli ebrei”, è un alleato (e un suggeritore) prezioso nella lotta al JCPOA, l’accordo sul nucleare iraniano sostenuto da Russia, Cina e Paesi europei, da cui gli Stati Uniti sono usciti con decisione unilaterale, oltre che sulla Siria. Nel mentre Netanyahu sta stringendo contatti sempre più forti con i Governi nazionalisti dell’Europa centrale, in particolare con l’ungherese Viktor Orban, definito da alcuni il “Trump europeo” e invitato nei giorni scorsi con tutti gli onori a Gerusalemme, e mostra simpatie per i populismi di destra. Simpatie sempre più ricambiate.

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Se Israele, per Bannon, in virtù delle “comuni radici giudeo-cristiane“, è un imprescindibile alleato, la Cina è invece il nemico assoluto, con il quale, parole testuali di Bannon medesimo, è in atto una guerra. L’espansione dell’influenza economica cinese ne fa la principale minaccia all’egemonia della superpotenza statunitense, che si riflette nella guerra commerciale di Trump a Pechino, che ha visto pochi giorni fa la minaccia da parte americana di un nuovo maxi pacchetto di dazi per la cifra monstre di 500 miliardi di dollari.

L’OBIETTIVO: SEPARARE L’EUROPA E MOSCA DA PECHINO (E TEHERAN)

E qui si svela forse l’intelaiatura fondamentale del Bannon-pensiero. Per evitare il saldamento di interessi tra la Cina e la Federazione Russa, spinto anche dalle scellerate decisioni della precedente amministrazione democratica sull’Ucraina, e tra queste e l’Unione Europea a guida tedesca, gli Stati Uniti devono tentare un riavvicinamento con il Cremlino, in modo da fermare sul nascere l’asse eurasiatico (costituito anche dall’Iran). Necessità da cui probabilmente derivano l’incontro di Helsinki tra Trump e Putin e l’invito a quest’ultimo per recarsi a Washington. A ciò si accompagna la necessità di dare scacco all’egemonia di Angela Merkel e della Germania sull’Unione Europea e poter così minare dalle basi l’attuale costruzione comunitaria.

Sullo sfondo di tutto questo c’è un’Europa che, nel 2019, potrebbe trovarsi quindi con due dei suoi tre principali gruppi parlamentari, socialdemocratici e populisti, suggeriti e teleguidati, pur se su fronti opposti, da “apprendisti stregoni” dagli Stati Uniti: il globalista Soros da un lato e il suo acerrimo nemico Bannon dall’altro. Una prospettiva inquietante, a prescindere dalle idee.

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