Numerose sono le polemiche che hanno visto come protagonista il recente Festival di Sanremo. Nel mirino dei critici sono finiti i contenuti ad alto tasso ideologico-propagandistico (e spesso di dubbio gusto) che hanno dominato la scena di quella che ufficialmente è ancora (o, per lo meno, avrebbe dovuto essere) la più importante manifestazione canora nazionale. Tuttavia non è una grande novità: l’intera produzione culturale occidentale sembra attraversata da una crescente mancanza di originalità e, per contro, da una sempre più invadente presenza dell’ideologia promossa da una parte (evidentemente molto influente) delle élite dell’Ovest del mondo.

Un’ideologia di cui si parla ampiamente nell’ultimo libro della saggista ed economista Ilaria Bifarini, intitolato “Blackout“. Un saggio che è già divenuto un caso di successo.

La copertina del libro “Blackout”

“Il festival della musica italiana – spiega l’autrice – già da tempo megafono della propaganda neoprogressista, quest’anno ha raggiunto uno dei suoi picchi di indecorosità, icasticamente rappresentato dalla simulazione di un atto sodomitico tra Fedez e uno dei cantanti in gara, andato in onda in prima serata davanti a un pubblico composto tradizionalmente da famiglie. Siamo di fronte al dilagare di un’ideologia dissacratoria, nichilista e autodistruttiva, che disprezza l’essere umano e le leggi della Natura e cerca di rovesciarle in tutti i modi, negando le identità di genere, la genitorialità, il senso della misura e del limite etico. Come spiego nel mio ultimo saggio, si tratta di un mostro partorito dal liberalismo occidentale, giunto all’apice del nichilismo, che rifiuta ogni legame col passato, i canoni estetici e le tradizioni culturali. Ne troviamo piena espressione nella furia iconoclasta della cancel culture, che si abbatte sui personaggi e i simboli della cultura occidentale e rilegge la storia secondo una lente colpevolizzante, per cui all’uomo bianco, etero, istruito, appartenente ai Paesi industrializzati, viene imputata la colpa di ogni male, reo di nefandezze e soprusi verso le minoranze. Queste ultime, finalmente risvegliatesi, dovranno ora ottenere il proprio riscatto, arrivando al paradosso di teorizzare una dittatura delle minoranze, dei diversi, come predica la wokeness. Allo stesso modo la questione ambientale si trasforma in violento fanatismo, divenendo un culto penitenziale ed espiatorio, basato sul dogma inconfutabile dell’origine antropica del cambiamento climatico, con un autolesionismo da parte dell’Occidente, in particolare dell’Europa, che altrove lascia sconcertati. Il comune denominatore di questa ideologia totalizzante, catechizzata dalle èlite globaliste in chiave gnostica e propagandata dal mainstream, è proprio il paradosso, il cortocircuito logico e cognitivo, un blackout mentale appunto. Siamo di fronte a un oscuramento dello spirito e della ragione, che minaccia la sopravvivenza della nostra civiltà”.

L’utilizzo dei media per veicolare gli schemi concettuali del pensiero dominante non è una novità. Solo che, rispetto al passato e a quanto avviene ad altre latitudini, l’impressione è che, in questo caso, si promuovano sempre più insistentemente, piuttosto che dei valori atti a conservare un certo tipo di status quo, dei disvalori nichilistici totalmente distruttivi. Nel mondo della cosiddetta controinformazione c’è anche chi parla addirittura di un culto luciferino delle élite occidentali. Solo complottismo?

“Il paradosso – prosegue Ilaria Bifarini – consiste proprio in questo: una parte della popolazione, sebbene per fortuna non maggioritaria come si vorrebbe far credere, ma che purtroppo comprende le nuove generazioni, aderisce come fosse una religione a un’ideologia che predica distruzione, annichilimento e depauperamento, sia spirituale che materiale. Alla base c’è una visione misantropica e malthusiana, che trova espliciti riferimenti nella vasta letteratura dei club mondialisti e delle stesse organizzazioni internazionali, nonché dei cosiddetti filantropi. Per scelta metodologica sono molto attenta a non cadere in possibili ricostruzioni dietrologiche o sensazionalistiche e riporto sempre le fonti delle analisi nei miei saggi. Effettivamente esiste una matrice luciferina, che ritroviamo come filo conduttore nel pensiero dell’èlite globalista e che ormai è stata sdoganata senza pudore dalla narrazione predominante, come testimoniato dall’esibizione di simboli e messaggi espliciti da parte del mondo dello spettacolo, addirittura in prima serata sul palco dell’Ariston. Un esempio lampante dell’influenza di questo credo tra le organizzazioni internazionali è rappresentato dalla Lucis Trust (derivazione di Lucifer Trust), associazione a carattere filantropico e spirituale che si ispira dichiaratamente al culto di Lucifero e ha una stretta collaborazione con l’ONU, che le riconosce uno statuto di organo consultivo, con varie istituzioni che si occupano di formazione e invita i suoi adepti a seguire gli incontri del Forum di Davos, designando i componenti quali ‘Membri illuminati del Gruppo dei Servitori Mondiali’ che operano per un bene superiore. Il nemico dichiarato, come testimoniato anche dalle pubblicazioni del Club di Roma, è la religione cristiana, che deve adeguarsi al nuovo spirito dei tempi. Bergoglio da questo punto di vista ha attuato un’apertura senza precedenti, tanto che la stessa Lucis Trust ne elogia l’operato”.

Esiste un rapporto tra queste concezioni del mondo e il Grande Reset, di cui hai parlato in un tuo precedente libro?

“Decisamente. Il Grande Reset di Davos non va interpretato soltanto come il tentativo, per fortuna scongiurato, almeno per ora, di attuare un governo biototalitario su scala mondiale basato sul terrorismo pandemico. È un progetto più ampio, che prevede un rafforzamento della cooperazione tra pubblico e privato, tra governi, grandi multinazionali e filantrocapitalisti per realizzare una nuova visione del mondo, da sempre portata avanti dall’élite globalista. Il potere e il carattere inedito di questa ideologia suicidaria che abbiamo delineato consiste nella capacità di penetrazione nell’opinione pubblica, forte di una macchina della propaganda e di una schiera di personaggi del mondo politico, industriale e dello spettacolo che se ne fanno portatori. Non solo prezzolati del sistema, ma veri e propri ipnotizzati, che hanno perso la facoltà di discernere la realtà dalla finzione, come sosteneva Hanna Arendt. Rispetto ai totalitarismi del passato non c’è però alcuna promessa di sviluppo, di benessere o di gloria, ma al contrario si predica la rinuncia, la cancellazione della storia, della cultura e persino della bellezza, in nome di un futuro di decrescita, economica e demografica, e di degradazione morale. Anche l’introduzione in Occidente dell’entomofagia, l’alimentazione a base di insetti, rientra in questa deriva ideologica sacrificale. In cambio viene offerto il diritto di scegliere chi siamo, se uomo, donna o ‘altro’, in una società totalmente liquida, nei legami e nelle identità. Per fortuna, come dicevo, è un’ideologia di fatto minoritaria, nonostante la grande risonanza mediatica e la colonizzazione di tutti gli ambiti della cultura e della formazione. Il rischio per le generazioni a venire però è enorme”.

L’impressione che chiunque provi ad avanzare una narrazione differente rispetto a quella, sempre più folle e fanatica, propagandata dal mainstream si esponga al rischio di una rigida e soverchiante censura, con ovvie conseguenze professionali, sociali ed economiche, è piuttosto forte. Forse è per questo che, di fronte a vere e proprie aberrazioni come quelle andate in scena sul palco dell’Ariston (basti pensare al volgare siparietto “fluido” tra Fedez e Rosa Chemical durante l’ultima serata), nel corso di un evento pagato con i soldi dei contribuenti, anche quei pochi che ancora percepiscono l’assurdità di tutto ciò non trovano il coraggio di opporsi?

Ilaria Bifarini

“Questa è la grande arma di difesa della narrazione: la censura, sempre più onnipervasiva e capillare, adoperata contro chiunque osi mettere in dubbio il discorso predominante. È il caso dei social network: dapprima hanno consentito a personaggi fuori dal coro di condividere la propria visione critica, raggiungendo un pubblico impensabile prima di allora, poi gli stessi padroni del discorso (pensiamo a Zuckerberg, che detiene una quota spropositata del settore) hanno avviato delle vere e proprie purghe, per cui è impossibile per chi è finito nel mirino della censura persino digitare determinate parole, come Covid, vaccino o gender, senza incappare nell’implacabile algoritmo. Così, chi non ha voce all’interno del mainstream, come in 1984 può essere vaporizzato da un momento all’altro per sempre. A me è successo con Linkedin, il cui profilo è stato cancellato definitivamente per aver riportato che l’aspirina evitava le ospedalizzazioni per Covid. Proprio durante il totalitarismo pandemico abbiamo avuto la massima dimostrazione di come sia impossibile per chiunque rivesta un ruolo di visibilità pubblica discostarsi dalla narrazione dominante: nessuno, neanche i più audaci dissidenti, hanno mai dichiarato in televisione di non essersi vaccinati. Si trattava di infrangere un tabù fatale, sarebbero stati probabilmente lapidati in pubblico, o semplicemente non sono stati ammessi nei salotti televisivi neanche per interpretare il fatidico ruolo di capro espiatorio. Emblematico, e triste, il caso della cantante Madame: se vuoi rimanere nel giro devi cospargerti il capo di cenere e incolpare persino i tuoi genitori. Contestare Sanremo per un artista equivale a condannarsi all’ostracizzazione perenne, così come per un giornalista o un opinionista. Tuttavia, la sinistra radical chic e neoprogressista che è andata in scena all’Ariston dovrebbe emanciparsi dalla propria supponenza di superiorità morale e intellettuale e non sottovalutare la disertazione delle urne nei giorni successivi da parte del suo elettorato”.

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