Sommessamente, pacatamente, ma con gentile fermezza, Luca Goldoni ha aperto un dibattito circa un tema che in tanti hanno finora affrontato con leggerezza e voluttà ma mai con profonda serietà come l’argomento – a detta dello stesso Goldoni – richiederebbe. Pochi giorni fa sulle pagine del Corriere Goldoni ha invitato i lettori a schierarsi decisamente a favore di Jerome K. Jerome ai danni di Pelham G. Wodehouse. Il primo, per l’autore di Chiaro e tondo e Appena ieri. Come non siamo cambiati (editi entrambi da Mondadori), è il rappresentante ideale della letteratura umoristica britannica, mentre le opere del secondo – a un’attenta lettura – non sono poi gran cosa e tanto meno fanno ridere o sorridere. Goldoni ovviamente fornisce argomenti oggettivi, riguardanti la natura stessa dello stile umoristico del primo e del secondo, aggiungendo come ulteriore garanzia della validità della sua scelta il fatto che mentre l’eroico Jerome K. Jerome partì come infermiere volontario nella Prima guerra mondiale, il buon nome del secondo sia stato spesso messo in discussione non solo dalle sue predilezioni vacanziere (osò addirittura andare in vacanza in Francia alla vigilia dello scoppio del conflitto del 1914) ma anche dalla sua contiguità con il potere nazista, visto che ebbe l’audacia di accettare di partecipare a una trasmissione radiofonica nella Berlino del Terzo Reich per ottenerne in cambio la libertà di cui era stato privato.

Considerazioni che Goldoni fa a margine della notizia che Guanda (da sempre editore dei testi di Wodehouse) ha deciso di mandare in libreria una nuova edizione de Il mistero del cappello e Niente di serio (quest’ultimo atteso per i primi mesi del 2014).

Noi crediamo che un dibattito simile sia quanto meno opportuno per tutti coloro che si stanno affannando in questi giorni pre-natalizi a girare per i corridoi delle librerie in cerca di un adeguato regalo per figli o nipoti o per figli di amici. In fin dei conti ciò che manca ai nostri ragazzi – spesso si sussurra a mezza voce – è il senso dell’umorismo che solitamente arriva quando si è immagazzinata sufficiente esperienza di vita e capacità di analisi. E soprattutto quando si è maturata dentro i cuori una sufficiente tolleranza. Quindi il regalo assume anche un fattore educativo. Come a dire: “Questi libri sono per voi, divertitevi!” mentre si pensa magari che alla fine qualcosa, ridendo, impareranno pure.

Ed è proprio così. I libri della saga di Jeeves (il celebre maggiordomo nato dalla penna di Wodehouse che riesce a ridicolizzare il suo nobile datore di lavoro proprio sugli argomenti privilegiati dalla casta di quest’ultimo: intelligenza, savoir fair, eleganza e rigore,  e che in Italia hanno un attento editore in Mario Polillo) possono farci sorridere però ci insegnano molto. Soprattutto sulla tolleranza che va usata nei confronti degli ottusi e svagati bellimbusti di cui pare infestata buona parte della Londra di inizio Novecento.

Stessa cosa si può dire per i goffi protagonisti del celebre Tre uomini in barca (troppe le edizioni in commercio per poterle elencare qui), che ha reso immortale non solo il nome di Jerome Klapka Jerome ma anche la navigabilità del Tamigi.

A nostro modesto avviso l’umorismo del primo (Wodehouse) è più raffinato e comunque legato a doppio filo alla stessa lingua utilizzata. Tanto che sono molte le università nelle quali si continuano a dare tesi di laurea e  commissionare ricerche sulla lingua usata da Jeeves e su quella del suo datore di lavoro (Bertie Wooster), come standard di un inglese ormai scomparso e tanto in voga negli anni Venti e Trenta del secolo scorso.

Per quanto riguarda Jerome K. Jerome e segnatamente il suo capolavoro sopracitato, si può solo aggiungere che è il perfetto regalo di Natale. Non solo ci si divertirà moltissimo a leggere le spassose avventure di tre pionieri della vita all’aria aperta, che per rigenerarsi dallo stress accumulato nella frenetica vita lavorativa della City londinese decidono di discendere il fiume Tamigi a bordo di una barca-rifugio per quello che oggi verrebbe chiamato campeggio nautico.

Nel corso della spassosa narrazione Jerome offre anche pillole di storia inglese (ovviamente rielaborata per favorire il sorriso) e largheggia in perle di saggezza che alla fine, quando il divertimento si è placato, restano placide nella nostra memoria. Ecco un paio di esempi giusto per far venire l’acquolina in bocca: “Non riesco proprio a sopportare di star fermo mentre un uomo si danna l’anima nel lavoro, devo per forza alzarmi e sovrintendere, girargli in torno – mani in tasca – per suggerirgli il da farsi. Non posso farne a meno. E’ la mia natura energetica”. Per non dire poi del senso della felicità che risiede secondo Jerome in uno stomaco pieno. “Come ci si sente bene a stomaco pieno, così soddisfatti e in pace col mondo! C’è chi però mi dice che anche una coscienza netta può renderti soddisfatto e felice. Può essere, ma uno stomaco pieno riesce altrettanto bene a ottenere il risultato, e riempire lo stomaco è sicuramente più facile e a buon mercato”. Jerome, come ha ricordato Luca Goldoni, ha conosciuto gli orrori della Prima guerra mondiale, per fortuna gli sono stati risparmiati gli strali della censura del politicamente corretto. Eppure proprio questa frase di Jerome sembra assolvere il suo collega Wodehouse. Alla coscienza netta meglio anteporre la libertà e uno stomaco pieno.