La stesura di questa sorta di diario pubblico di un lettore appassionato (quale io considero me stesso) offre un grande vantaggio: il continuo confronto con lettori altrettanto appassionati (e spesso ben più preparati di me). L’ultima lettera che ho ricevuto riguarda lo spinoso tema del politically correct. Me la spedisce Albert2017 sollecitando una mia opinione sulla questione. Vale la pena riprodurla (e lo faccio con il consenso dell’interessato) perché offre spunti davvero notevoli.

 

Gentile dr. Borgia,

gradirei la sua opinione a proposito di un fenomeno sgradevole – anzi odioso! –   che purtroppo sembra in crescita: la censura dei vecchi libri (soprattutto inglesi) , in nome del “politically correct”. Mi spiego meglio. A me piace leggere i testi originali, e ho comprato le edizioni in inglese di parecchi dei romanzi e saggi più noti. Ebbene, sono rimasto indignato (credo sia la parola giusta) nel notare le censure e le modifiche che negli ultimi anni sono state effettuate sui testi originali, per eliminare termini ritenuti “offensivi” rispetto alla mentalità  del 21° secolo. Le faccio alcuni esempi. Io ho l’edizione inglese del capolavoro di Agatha Christie “10 piccoli indiani”. Nell’edizione originale del 1939 – come noto – l’isola in cui si svolge il racconto si chiama Nigger Island, e l’autrice chiama “negretti” i protagonisti della filastrocca. Tuttavia, nelle edizioni inglesi attuali (Harper/Collins, Penguin, etc.) quei termini ritenuti “razzisti” sono stati ridicolmente modificati. Quindi Nigger Island è diventata un’improbabile “Soldier Island” = isola del soldato, modifica che peraltro deforma e travisa  totalmente l’opera originale, nella quale la Christie aveva scritto chiaramente che quell’isola aveva quel nome perché la sua forma somigliava al profilo negroide di una testa. Ma quel romanzo è stato amputato e deformato anche in altre parti. Ad esempio, all’inizio la Christie fa dire ad uno dei suoi personaggi (Lombard): “gli ebrei non li puoi ingannare sulle questioni di denaro, gli ebrei sanno.” Ebbene, anche questa espressione originale è stata assurdamente censurata e cambiata ed è diventata: “non puoi ingannare uomini come quello sul denaro, loro sanno”. A me pare che quest’opera di modifica e censura delle edizioni originali dei capolavori letterari possa essere definita in un solo modo: pura imbecillità. Infatti è noto a qualsiasi lettore che la mentalità e la cultura dei decenni e dei secoli scorsi era diversa da quella attuale. Se leggo un romanzo o un saggio  degli anni ’70, ad esempio, troverò sicuramente l’espressione “handicappato”, anziché disabile come si usa oggi, ma a quell’epoca era del tutto normale. Se leggo i romanzi di Giorgio Scerbanenco degli anni ‘60 – ad esempio – scoprirò che a quell’epoca i gay venivano definiti “invertiti”, e noterò che lo scrittore manifesta una evidente omofobia nei loro confronti.  Ma 50 – 60 anni fa quella era la mentalità corrente, e quelli erano i termini che si usavano. Ma ovviamente ciò non mi autorizza a censurare e deformare le espressioni degli scrittori di quell’epoca!  Se leggo Dickens, ad esempio, scoprirò che nel XIX secolo  il lavoro minorile era del tutto comune, e le punizioni corporali dei bambini da parte di genitori e maestri erano considerate un normale sistema educativo. Che facciamo? Censuriamo e cambiamo tutto David Copperfield e gli altri grandi romanzi di Dickens, perché non sono “politically correct”?  Ma allora dovrei censurare anche la Divina Commedia, perché magari gli islamici si “offendono”, vedendo che Dante manda all’inferno Maometto, sottoponendolo ad un supplizio che lo deforma nel corpo.

La lettera tocca punti molto sensibili della questione. E ovviamente, da lettore appassionato qual è, Albert 2017 si mostra offeso nella sua intelligenza quando afferma che tutti i lettori sanno che la mentalità di oggi è differente da quella di un secolo fa o di qualsiasi altra epoca e che non hanno certo bisogno di essere accompagnati da un tutor nella lettura.

Ciò che mi sento di aggiungere su questo tema si può racchiudere in poche frasi. Intanto serve una premessa. Il ricorso a questo artificio del politically correct è dovuto al fatto che viviamo in un’epoca popolata da gente piuttosto suscettibile che convive fianco a fianco di altra gente poco propensa a tenere comportamenti rispettosi della diversità. Ecco perché, soprattutto nel mondo anglosassone, si fa grande uso di questo artificio retorico. Diciamo che, come tutte le cose che nascono per un valido motivo, finisce per recare più danni che vantaggi se utilizzata da persone prive di misura e di buonsenso.

Poi c’è da sottolineare quel passaggio dove Albert2017 parla della smaliziata cultura del lettore appassionato. Capacità questa che gli fa tranquillamente intuire il senso ultimo delle parole al di là e al di sopra della lettera. Ed è qui che voglio soffermarmi. I romanzi, i libri in generale, servono per emanciparci. Per renderci persone più colte e più aperte. Come diceva Umberto Eco, leggere moltiplica a dismisura la nostra esperienza perché ci fa vivere tante vite (migliaia) oltre la nostra. Ecco perché diventiamo, con un profondo uso della lettura, persone migliori o quanto meno più sensibili. Di sicuro diventiamo più acculturati. Quindi stride lo zelo delle case editrici che mettono le foglie di fico sulle loro opere d’arte nude. Perché mai? Sembra quasi che, operando in questo modo, ci vogliano tenere a uno stato di beata irresponsabilità. Di immaturità perenne. Ma come? Non ci volevano emancipare proprio attraverso i libri? Cosa significa questa forma di censura se non impedirci di mettere alla prova la nostra maturità conquistata proprio parola dopo parola, pagina dopo pagina, “vita” dopo “vita”?

Oltretutto il lettore vuole il testo originale non solo per rispetto della propria intelligenza ma anche per rispetto della creatività dell’autore. La sua “cifra stilistica” non può essere emendata. Perché questo finisce inevitabilmente  per snaturarla. E va poi ricordato che autori come Agatha Christie, Giorgio Scerbanenco o Charles Dickens non possono più difendersi dalle “libertà” che si prendono i loro editori di oggi.

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