La quarantena, si è detto a ripetizione in questi giorni, è la condizione ideale per leggere. Chiusi in casa, con le pareti impenetrabile baluardo per il Covid 19, abbiamo tutto il tempo per leggere e rileggere. Prendere in mano i nostri amati classici o sondare le ultime novità, le lunghe giornate chiusi in casa offrono enormi possibilità. Eppure… Eppure non è così semplice. I lettori appassionati hanno anche sognato in passato di restare chiusi in casa a leggere. La realtà però ha travolto anche i nostri sogni più infantili. E ora leggere è diventata un’operazione tutt’altro che agevole. In tanti hanno lamentato la mancanza di concentrazione, l’assenza della necessaria dose di serenità per perdersi nell’universo parallelo proposto dalle pagine di un libro. Confesso di aver avuto la stessa difficoltà. Per fortuna in alcuni casi sono riuscito a navigare  tra le pagine senza troppo sforzo. E quindi mi trovo qui proprio per consigliare un libro che non ho avuto difficoltà alcuna a leggere in questi tempi di bollettini  funebri e di coercizione. Non è un classico bensì una novità fresca di stampa. Ho fatto in tempo a comprare Prima di noi di Giorgio Fontana (Sellerio) in un supermercato prima che il governo costringesse i gestori dello stesso a isolare gli scaffali di articoli “non di prima necessità”. Sapevo poco di questo romanzo. Avevo letto alcune recensioni positive, ma a convincermi  ad acquistarlo – lo confesso – è stata la mole. Quasi novecento pagine! Mi sono detto: “è quello che ci vuole. Chissà quando tornerò a comprare libri”.

La storia della famiglia Sartori, dalla fine della prima guerra mondiale agli anni Dieci di questo nuovo secolo, è stato il controcanto ai bollettini della Protezione civile. Grazie alle storie di Gabriele e Renzo Sartori, dei loro figli, agli amori imposti o sbagliati, alle seduzioni delle ideologie novecentesche, ai rigurgiti della Storia e alle sue invasioni nel privato di questa famiglia di origine friulana e contadina, i giorni sono volati. Mi sono ritrovato con numerosi coinquilini attraverso i racconti e le esperienze dei quali ho ripercorso a volo d’uccello  il nostro Novecento. Loro – i personaggi – volevano più che altro fuggire dalle trappole del destino. Volevano evitare di mettere il piede nella traccia lasciata da chi li ha preceduti. Con la presunzione di scelte più audaci e più oneste. E invece… a fine libro ci si ritrova ancora a desiderare di rivedere nonni e padri e fratelli maggiori per capire meglio chi siamo e chi potremmo diventare. Lo stesso Fontana (già autore di un romanzo fortunato Morte di un uomo felice, che nel 2014 gli è valso il Premio Campiello) presenta questa saga familiare come una grande sfida. Nel romanzo, spiega l’autore, nato a Saronno nel 1981, “ogni membro dei Sartori sperimenta una difficoltà radicale di stare al mondo: che desideri rivoluzione, pace, fede o conoscenza, la luce della certezza gli è sempre negata o la rifugge; ma non per questo smette di lottare. Ognuno è animato dalla volontà irriducibile di distinguersi da chi lo ha messo al mondo: essere poeti, partigiani, anarchici, fotografi, cantanti o filosofi è innanzitutto un modo per combattere l’eredità dei padri”.

La lunga corsa attraverso la storia dei Sartori si ferma all’ultima generazione, quella che i sociologi chiamano la net generation. Le loro fragilità e la mancanza di prospettive sono un sincero paradigma di quanto succede anche fuori dalle pagine di Prima di noi. La precarietà come condizione costante rende i loro stessi desideri volatili e incerti. E la metafora che costruisce lo stesso Fontana mi sembra tra le immagini più indovinate del romanzo. “Per quasi un secolo la famiglia Sartori aveva costruito una nave partendo dal poco legno disponibile: di generazione in generazione era uscita dal fango e dall’oscurità alzando alberi, tessendo vele, rinforzando lo scafo e accumulando cordame. E infine ecco lei, l’ultimo elemento del processo, una decorazione lignea apposta sulla prua, perfettamente modellata ma in fondo inutile – e con gli occhi aperti sullo scoglio contro cui si sarebbe infranta”. La giovane Letizia, pronipote di Maurizio Sartori, il fante friulano sopravvissuto all’orrore del primo conflitto mondiale, non trova un suo ruolo nel mondo (come tanti della sua generazione, purtroppo) ma solo il suo posto all’estremo della catena familiare. Sarà lei però a chiudere la saga con un grande gesto d’amore. E di gesti d’amore oggi ne abbiamo ovviamente molto bisogno.

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