Nei giorni più duri del lockdown saltavano all’occhio alcune “modifiche” del nostro habitat. Una di queste era la pressoché totale assenza di aerei sopra le nostre teste. Cieli vuoti. E, nelle belle giornate, anche insolitamente puliti. A molti è venuto da pensare a quanto l’inquinamento e la nostra società consumistica stiano intossicando in maniera irreversibile il nostro futuro. E probabilmente è vero. A me, però, è venuto in mente un libro che avevo letto proprio trent’anni fa (1990). E un sorriso di divertito compiacimento ha segnato il mio ricordo di Il professore va al congresso  di David Lodge (Bompiani). Una volta terminato il periodo più nero della prima ondata ho deciso di riprendere in mano quel volume e la rilettura ha offerto un piacere e un divertimento intatti, se non accresciuti.

Il libro mi era tornato in mente perché in buona sostanza racconta le vicende di alcuni accademici di letteratura inglese che girano il mondo per partecipare a convegni e simposi. Il mondo sotto le ali degli aerei su cui si imbarcano senza sosta sembra piccolo. In poche ore questi aerei coprono grandi distanze e il “villaggio itinerante degli accademici” trasporta senza sosta le sue meschinità, le sue piccole ambizioni e i suoi amori in giro per il mondo. Un mondo piccolo. Un piccolo mondo come bene riassumeva il titolo originale (Small world ) che solo da noi in Italia non è stato possibile sfruttare visto il già affollato scaffale dei titoli sotto  le stesse due parole (Fogazzaro e Guareschi su tutti).

David Lodge, l’autore, è uno che conosce perfettamente quel piccolo mondo, per averlo frequentato per tanti lustri. E ne ha fatto materia di un godibilissimo e ancor oggi divertente romanzo.  E il primo pensiero, mentre tiravo fuori il volume dalla libreria, è stato proprio questo: “un bellissimo libro che non si potrà più scrivere”. In effetti  il mondo ha subito un grande cambiamento grazie al Covid 19 e uno degli effetti più evidenti è l’uso parsimonioso degli aerei di contro all’uso più che generoso del tele-lavoro e delle teleconferenze.

Ovviamente il romanzo di Lodge non ha nulla a che fare con la nostra pandemia e con le nostre paure. Si tratta di una commedia degli equivoci, piena di agnizioni, colpi di scena e quêtes, che fanno di questo romanzo un “romance accademico” come lo ha definito il suo autore. Dove per accademico si intende sia l’ambientazione della storia sia il suo rispettare una tradizione e un canone molto preciso: che assume dentro di sé i connotati del poema epico  cavalleresco e del romance. E il motore di questa giostra, che si muove a ritmo continuo lungo le orbite terrestri segnate dai voli di linea intercontinentali  è la vanità delle aspirazioni umane che nel gruppo degli accademici di professione è particolarmente sviluppata.

Il signor Lodge (anzi il professore emerito) doveva, però, fare qualcosa di più elaborato. Non poteva limitarsi a un romanzo che ridicolizzasse i tic e le nevrosi degli accademici. Ha fatto della trama stessa del romanzo un percorso a chiave di critica letteraria e di teoria della letteratura tanto che una dei protagonisti (l’inafferrabile, enigmatica e bellissima Angelica) rappresentasse agli occhi dei lettori, come a quelli di tutti i suoi inseguitore tra le tappe di questo viaggio senza fine, la metafora del vano tentativo di esaminare la realtà intrinseca del testo, di possederne una volta per tutte  il significato. In Angelica, proprio come in un testo di alta letteratura, possiamo trovare soltanto noi stessi con le nostre paure e i nostri desideri, non l’opera in sé. Per aiutarci ad accettare con filosofia la nostra impotenza (lasciando comunque libero corso al nostro piacere) lo stesso Lodge ci spiega che “leggere significa abbandonarsi a una traslazione infinita di curiosità e desiderio, da una frase all’altra, da un piano all’altro del testo. Esso ci si rivela, a non ci si lascia possedere e invece di sforzarci di possederlo dovremmo trarre piacere dalla sua provocazione”.

Ma chi è Angelica? All’inizio del racconto la troviamo come attenta partecipante a un convegno sulla poesia di T.S. Eliot. La sua giovane età e la sua bellezza distolgono molti conferenzieri dai loro argomenti di studio. Il più giovane e inesperto di loro (un irlandese molto cattolico e ingenuo) ovviamente se ne innamora perdutamente e la storia della fuga di lei e della continua ricerca di lui fa da cornice delle tante storie di accademici e amanti che popolano questo “piccolo mondo”.  Di fatto, l’obiettivo di Lodge ricalca perfettamente quanto uno dei decani dello studio della letteratura inglese che si incontrano in queste pagine (Morris Zapp) dice a proposito del romanzo: “Il vero romano è un genere di narrativa che si trova ancor prima della novella borghese. È pieno di avventure, di coincidenze, di sorprese e fatti straordinari; è ricco di innumerevoli personaggi, che si sono persi o sono stati stregati, o vanno errando alla ricerca l’uno dell’altro, oppure del Graal o di qualcosa del genere. Naturalmente spesso sono anche innamorati”. Elementi, questi, che ci consentono di allenare costruttivamente la nostra immaginazione  per non lasciarci disarmati di fronte alle frustrazioni che la realtà oggi ci offre e che è bene esplicitata da un personaggio del romanzo che parla del suo deludente soggiorno a Honolulu: “La realtà è piuttosto deludente da quando hanno inventato la tv a colori”. Ecco perché leggere Small world: per non arrendersi mai alla delusione di una realtà troppo esplicitata; per cercare sempre nei libri e nei romanzi, la parola che ci faccia volare.

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