Si avvicina l’estate. E con essa, molto probabilmente, la libertà dal Covid. O almeno la libertà dalle più severe norme anticontagio. E dei giovani, che stanno per chiudere un anno scolastico davvero particolare, cosa ne sarà? La passeranno la “linea d’ombra”? E in caso affermativo, quali emozioni proveranno? Cosa si sentiranno di fare? Domande queste non dovute soltanto al fatto che ho un figlio adolescente che sta per concludere anch’egli un anno scolastico davvero anomalo, ma anche alla rilettura proprio del capolavoro di Josep Conrad La linea d’ombra (edizione Einaudi con la splendida traduzione di Maria Jesi). D’altronde i classici stanno sugli scaffali delle nostre librerie domestiche proprio per questo: rinfocolare un’intuizione, ridestare una suggestione, confermare una visione. La storia raccontata in questo breve romanzo è piuttosto semplice. Un giovane ufficiale di navi mercantili si sente fuori posto. La vita di mare inizia a sembrargli noiosa. Una routine fin troppo pesante. Ed è proprio la pesantezza di questa noia che si trasforma in uno slancio verso qualcosa di nuovo, diverso, ma soprattutto inaspettato. Scende a terra. Si “riposa” come fanno i marinai: in un alberghetto di poche pretese di fronte al porto. Aspettando un segno del destino. Che puntualmente arriva. Il responsabile della Capitaneria di porto lo investe del titolo di capitano allo scopo di affidargli una nave che ha bisogno con un urgenza di un comandante. Visto che il vecchio comandante è morto. Il giovane voleva sì rinunciare al mare e cambiare vita, la prospettiva di una simile responsabilità (governare una nave) gli fa però cambiare idea. E si butta con slancio “oltre quella linea d’ombra”. Esce insomma alla luce. Abbandonando l’ombra della giovinezza più spensierata. Insomma si tuffa nella vita.
Ovviamente il primo comando riserverà sorprese. E Conrad tratteggia da par suo (che tra l’altro quella vita molto romantica e avventurosa l’ha davvero vissuta per più di tre lustri) una storia di mare trascinante e quasi ipnotica. “Di un libro di Conrad – ebbe a scrivere Cesare Pavese, che ne curò una delle prime edizioni italiane (l’originale uscì in Inghilterra nel 1917) – non si ricorda in genere né il personaggio né l’evento. Si ricorda il tortuoso, tenace, disperatamente vero e accorato gusto del rievocare, del soffermarsi sotto un caro e remoto orizzonte mentre un sogno, un’angoscia, un rimorso stringono il cuore”.
Questo racconto è un piccolo capolavoro e un grande romanzo di formazione. I giovani lettori di oggi possono provare il brivido di un’avventura marinaresca sì memorabile ma soprattutto finemente raccontata. E magari possono dare un nome a quello struggimento interiore che gli fa desiderare di saltare oltre la linea d’ombra. Oltre la quale, però, quando il giovane comandante arriva finalmente in porto dopo che la sua avventura si è finalmente conclusa, il mondo è cambiato. “Dovete sentirvi davvero molto stanco” nota il capitano Giles che si ferma ad ascoltare il racconto del giovane capitano alla sua prima uscita da comandante di una nave. “No – è la sua risposta – Non stanco. Ecco, capitano Giles, come mi sento: mi sento vecchio. E debbo esserlo diventato. Tutti voi, qui a terra, mi fate l’effetto di giovincelli spensierati che non hanno mai avuto preoccupazioni in vita loro”. Che poi è esattamente ciò che prova chiunque realizzi in coscienza di essere passato oltre la linea d’ombra. Si gira, infatti, e alle sue spalle vede quelli più piccoli di lui che ancora si baloccano nella felice irresponsabilità.
Sarebbe bello che i giovani di oggi leggessero questo libro per dare un nome alle proprie inquietudini ma anche per acquistare la consapevolezza che è bellissimo baloccarsi nell’adolescenza più spensierata e altrettanto bello, però, capire di essere diventati grandi e capaci di grandi imprese.

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