Da un lato la notizia che i bambini piccoli, negli Stati Uniti, si stanno ammalando di più (di raffreddori) da quando hanno smesso di indossare le mascherine. Perciò i medici parlano di immunità compromessa.

Dall’altro la volontà di vaccinare contro il Covid (per la prima o seconda-terza volta) i bimbi più piccoli, altrimenti denominati “serbatoi di virus”, untori in grado di far ammalare (ma due anni fa si diceva uccidere) i nonni. Questo succede in Italia.

In mezzo alle due notizie c’è l’Oceano. Da una parte i medici si chiedono come mai i bambini siano diventati così cagionevoli. E, guardate, alla fine la conclusione è che troppe protezioni fanno male. “L’immunità si indebolisce se non è stimolata – ci spiega l’epidemiologo Stefano Petti – , sembra un paradosso ma è così. Vivere in assenza di microbi è come trovarsi con una gamba ingessata: tolto il gesso la gamba deve riprendere a funzionare”.

Ma nel Paese capofila delle strategie vaccinali prevalgono altre riflessioni. Come mai i piccoli sono sfuggiti alla campagna di iniezioni a tappeto? Si chiedono alla Sip, Società  Italiana di pediatria.

“Fra i 5 e gli 11 anni la copertura finora raggiunta con le dosi previste resta molto bassa” ha sottolineato la presidente della Società italiana di pediatria (Sip) Annamaria Staiano, “è vaccinato solo il 38% dei bambini”.

La Staiano osserva che da quando si sono riaperte le scuole i contagi hanno segnato un’impennata – toccando il 14,9%- perciò i bambini rappresentano un serbatoio per il virus: possono sviluppare l’infezione e anche trasmetterla”.

Tanto basta alla Sip per spingere le iniezioni anche sui più piccoli e chiedere di rivalutare il ripristino delle mascherine.

La situazione richiede però un approfondimento: è un bene o un male che i bambini si ammalino di Covid?

“Un bambino infettato, in genere, ha sintomi lievi (o nessuno) e guarisce in fretta  ottenendo un’immunità duratura – ha chiarito il pediatra Eugenio Serravalle – Va considerato, poi, che vaccinare un guarito riduce la durata dell’immunità”.

Il buon senso, dunque, porterebbe un genitore a salutare di buon occhio l’infezione del figlio sano perchè questa si risolverà con una malattia lieve o asintomatica capace di proteggerlo anche nelle fasi della vita in cui potrebbe avere un decorso più grave.

La Sip pare però più preoccupata del potenziale contagioso dei bambini definendoli “serbatoi”.

Spiega Serravalle: “La maggior infettività è nei due giorni che precedono i sintomi, fino al quinto giorno dalla loro comparsa. Il bambino sarebbe contagioso per una settimana se si infetta, altrimenti non lo è mai. Nessuno studio ha rilevato virus vivi oltre il nono giorno di malattia, nonostante cariche persistentemente elevate”.

Il pediatra ribadisce che bambini e adolescenti contraggono il Covid in forma meno grave rispetto agli adulti. A maggior ragione da quando è in circolazione la variante Omicron. Uno studio retrospettivo che ha usato i dati delle cartelle elettroniche di 577.938 pazienti con Covid, negli Usa, ha riscontrato che nei bambini con meno di 5 anni infettati con Omicron, il rischio di accesso al pronto soccorso è stato del 3,89%, il rischio di ricovero dello 0,96%.

“Chi incoraggia la vaccinazione pediatrica paventa il rischio per i piccoli della sindrome infiammatoria multi sistemica PIMS-TS associata all’infezione da Sars Cov 2 – prosegue Serravalle – ma si tratta di una condizione molto rara, di incerta ma possibile associazione la cui reale incidenza rispetto alle infezioni da Sars Cov 2 è difficile da definire a causa della sottostima complessiva delle infezioni che, in questa fascia di età sono spesso asintomatiche o con sintomi lievi”.

Sulla circolazione dell’infezione

Serravalle osserva: “L’elevata circolazione virale e la notevole diffusibilità di Omicron hanno determinato una maggiore frequenza di infezioni, prevalentemente asintomatiche (sino al 75% dei casi, senza differenza nella proporzione tra non vaccinati e vaccinati con doppia o tripla dose), quindi non diagnosticate, o lievi nei bambini: ciò rafforza la convinzione che, in generale, sia controproducente impedire l’infezione da Sars-CoV-2 nei bambini perché li espone al rischio di contrarre la malattia in età più avanzate, con maggiori possibilità di decorsi più gravi, e produce un’immunità naturale persistente.

Il SARS-CoV-2 si sta endemizzando e vanno ridiscusse, in base a dati scientifici, le strategie che consentano lo sviluppo dell’immunità naturale nei gruppi a minimo rischio di forme gravi di COVID-19, poiché allo stato delle conoscenze l’immunità acquisita con l’infezione naturale è più robusta e duratura di quella vaccinale. Ciò dà un vantaggio individuale al bambino, ma anche alla sua famiglia, ai nonni e all’intera comunità”.

Per concludere: dopo l’esperienza degli ultimi due anni è il momento di costruire sui dati le decisioni di politica sanitaria. L’insistenza, se è troppa, diventa come una costrizione: sospetta.

 

Tag: , , ,