L’attualità di un pensatore eretico: Thiriart e la “più grande Europa”
“L’impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino” sembra il titolo di un romanzo di fantapolitica o il soggetto di una serie TV alla “The man in the high castle“. Eppure, nonostante il sapore vagamente vintage, questo saggio di un pensatore eretico come il belga Jean Thiriart, fondatore della Jeune Europe, scritto nel 1984 (cioè prima della caduta del muro di Berlino e del crollo dell’URSS), vent’anni dopo il più noto “L’Europa: un impero di 400 milioni di uomini”, e recentemente tradotto e riscoperto dalle Edizioni all’insegna del Veltro, contiene elementi di incredibile attualità.
Oggi che, “il nemico russo ha rimpiazzato (dal punto di vista della strategia americana) il nemico sovietico”, “l’Europa è sempre il medesimo nano politico e, sempre più a rimorchio degli Stati Uniti” e che “la crisi economica cominciata con la crisi petrolifera del 1973 si è ulteriormente aggravata, mentre la scomparsa del comunismo ha provocato una capitolazione concettuale per quanto riguarda le alternative al liberalismo di stampo anglosassone, poiché anche il capitalismo renano si è dovuto inchinare davanti a Wall Street”, come scrive nella sua prefazione al libro Yannick Sauveur, questo volume che si concentra sul concetto dei grandi spazi geopolitici e sulla necessità dei blocchi continentali (al di fuori dei quali non può esservi per Thiriart alcuna indipendenza, ma anzi la cupa prospettiva di essere oggetto di guerre per procura, come il Vietnam della Guerra Fredda o i piccoli Stati italiani del 1400) e che ne prefigura uno europeo dall’Atlantico al Pacifico, merita, sapendo andare oltre i pensieri evidentemente anacronistici (come quelli che riguardano la possibilità di un conflitto militare di vasta portata) di essere letto e studiato.
Thiriart, pur essendo considerato uno dei padri del pensiero “rossobruno” (o, per meglio dire, “bistecca”, ossia “nero fuori e rosso dentro”, come spiega ironicamente l’autore stesso), non ha alcuna simpatia per l’ortodossia marxista, né per il sistema economico sovietico, a suo dire sclerotizzato e inefficiente. E’ piuttosto, lui che si definisce un “borghese liberale”, professionista e dirigente d’azienda, un comunitarista pragmatico. “Il comunitarismo – scrive infatti – del quale io sono il padre fin dal 1960 è una forma non marxista di comunismo”. E ancora: “la mia iniziativa di criticare l’URSS in un senso costruttivo, non deriva né da russomania, né da stupore per le stupidaggini marxiste. Per me l’URSS rappresenta l’ultima potenza europea indipendente”.
Ma, soprattutto, l’ultima potenza che poteva essere in grado, come la Macedonia nei confronti delle città stato greche dell’antichità, di realizzare l’unione del “pezzo unico” europeo, di realizzare il destino dell’Heartland eurasiatico: la “greater Europe”, capace di andare oltre l’Europa “divisa da nazionalismi diventati puerili”, l’Europa da Dublino a Vladivostok. Uno spazio geopolitico indipendente dall’influenza statunitense e dialogante da una posizione paritaria con quella che, già all’epoca, l’autore vedeva come una possibile potenza del futuro: la Cina. Incredibilmente attuali sono le motivazioni per cui, secondo Thiriart, l’URSS non avrebbe potuto realizzare con Pechino più di un rapporto di collaborazione (che comunque indica come necessario), in particolar modo il fattore demografico. Egli immaginava già il declino demografico russo e invece, per contro, il boom cinese, che avrebbe messo a rischio, con l’immigrazione, il futuro dei territori della Russia asiatica, in primis la Siberia. Anche se, dice, “nelle evidenze geopolitiche si inscrive molto meglio la collisione tra la Cina e gli Stati Uniti”, che non un conflitto tra Mosca e Pechino.
Numerosi sono comunque i pensieri preveggenti contenuti nello scritto di Thiriart. Solo per fare un esempio, Mosca, secondo l’autore, avrebbe dovuto diffidare dagli esponenti dei partiti comunisti dell’Europa occidentale, che vedeva come già pronti a prendere il ruolo di testimonial dell’influenza statunitense: quello che sarebbe poi effettivamente stato il destino del post-comunismo europeo. Anzi, secondo Thiriart la Russia all’epoca ancora sovietica avrebbe dovuto, per aspirare a un’integrazione con l’ovest e per sopravvivere alle proprie inefficienze, superare il comunismo marxista, traghettando se stessa verso una forma di nuovo comunitarismo. Anche per questo egli invita a un nuovo approccio ideologico: quello di realizzare nello spazio geopolitico europeo il “regno del Politico”. Di rendervi, cioè, la “politica immune dalla plutocrazia”.
Una visione, quella del pensatore belga, che, con l’Europa ancora scioccamente divisa in due da un rinnovato e incomprensibile clima da Guerra Fredda e con i destini dei popoli europei nelle mani di speculatori e agenzie di rating, è forse necessario riscoprire.