Il “nuovo” Trump e i rapporti con l’UE e la Russia: uno sguardo d’insieme
Insediata da una ventina di giorni, la seconda amministrazione americana guidata da Donald Trump sta già creando scompiglio e polarizzando il dibattito a livello globale. Le sparate di The Donald, dall’annessione della Groenlandia a quella del Canada, passando per l’acquisto di Gaza si aggiungono ai vecchi cavalli di battaglia “trumpiani”, come i dazi contro UE e Cina, e alla volontà di ristabilire un dialogo con la Russia di Vladimir Putin. Capire quanto vi sia di concreto, nelle minacce e nelle promesse dell’inquilino della Casa Bianca e quanto possa essere invece contestualizzato nel quadro di una spregiudicata strategia negoziale, rischia di essere complicato. Quello che è certo, però, è che tentare di analizzare la nuova presidenza con le categorie che venivano utilizzate fino al 2021 (cioè fino alla conclusione del primo mandato del tycoon), come molti stanno tuttora facendo, rischia di essere sbagliato. Il mondo, infatti, è profondamente cambiato da allora. L’onda lunga della pandemia Covid-19 e le guerre in Ucraina e Medio Oriente hanno scosso l’ordine globale a un livello la cui portata non sarà misurabile se non nel medio e lungo periodo. Lo stesso Trump rappresenta, oggi, interessi e forze parzialmente diverse da quelle che ne avevano lanciato la prima cavalcata, forze che sarebbe assolutamente illusorio ritenere possano essere contenute e controllabili da un singolo “uomo forte”.
SE L'”ILLUMINISMO OSCURO” E I SUOI CAPITALI RIMPIAZZANO L’ARMAMENTARIO WOKE
Se il primo Trump, l’outsider che si appoggiava inizialmente all’enigmatico consulente Steve Bannon ma che fu poi costretto a scendere a patti con figure di establishment del Partito Repubblicano più tradizionali, quali John Bolton, Mike Pompeo e Nikki Haley, si proponeva (almeno in termini di propaganda) come portavoce della cosiddetta “internazionale sovranista”, alternando, però e nei fatti, una confusa retorica anti-sistema con consolidate modalità di gestione del potere di impronta neocon, quello attuale sembra invece enormemente rafforzato nel suo rapporto-scontro con le élite del Great Old Party, tanto da potersi permettere una maggiore autonomia di manovra, forte del supporto della sempre più influente corrente Maga (“Make America great again“) e, soprattutto, dei potenti esponenti della Silicon Valley che, sulla scia di Elon Musk, sono saliti sul “carro del vincitore”. Proprio Musk rappresenta la chiave di lettura più interessante del trumpismo rivisitato, che, attraverso la vicinanza del patron di Tesla ma anche del co-fondatore di PayPal e investitore di Facebook Peter Thiel, strizza l’occhio all'”illuminismo oscuro”, ossia a quella corrente di pensiero anglosassone che, come sorta da una distopia cyberpunk degli anni Novanta, fonde al proprio interno elementi di futurismo transumanista, reazionarismo ed elitismo anti-democratico e che, proprio come in un racconto distopico, pare oggi in grado di realizzare piani di dominio fantascientifici grazie a immense disponibilità di tecnologia e capitali. Ciò che, comunque, accomuna il “nuovo Trump” al “vecchio” è la volontà di rilanciare e conservare l’egemonia americana, superando però e al contempo le strutture e i rituali del globalismo mondialista figli di quella medesima egemonia. L’eccezionalismo americano, in Trump, non si concreta nel progetto di una “pedagogia del mondo” a colpi di rivoluzioni colorate e propaganda progressista a cavalcioni dell’USAID, del National Endowment for Democracy e di molte altre strutture similari ma anche del cosiddetto “capitalismo woke”, ma in una volontà di potenza basata su una retorica e una prassi muscolare, improntata a un pragmatismo negoziale scevro da motivazioni ideologiche e fantasie palingenetiche.
UCRAINA: DAVVERO POSSIBILE UN’INTESA CON MOSCA?
Proprio su queste basi, potrebbe essere trovato un terreno d’intesa con Mosca, anche se potrebbe non bastare a risolvere le divergenze in merito all’Ucraina. A rilevare questa differenza di scenario, rispetto a quanto accaduto con Biden, recentemente e tra gli altri, anche il vicedirettore del Centro per gli studi comprensivi europei e internazionali dell’HSE University di Mosca, Dmitry Suslov, che in un’intervista con Fanpage.it ha dichiarato che “per la tradizione del Partito democratico, l’eccezionalismo rappresenta l’idea che gli Stati Uniti siano un faro di valori universali, la ‘città splendente sulla collina’ destinata a trasformare il mondo. Ma la versione di Trump è molto diversa. Per lui, si tratta solo di affermare la grandezza americana: primato economico, dominio militare ed egemonia globale. Niente valori liberali.(…) E questo è positivo, perché legittima la politica di potenza che la Russia promuove e ha sempre promosso: un mondo governato da alcune grandi potenze che intrattengono relazioni competitive e/o cooperative tra di loro. Senza stupidaggini liberali” (il termine “liberali” va qui letto nell’accezione di “liberal“, Nda).
IL CROLLO DI OGNI ILLUSIONE SULL’UE, AVANGUARDIA DEL MONDIALISMO
“Stupidaggini”, quelle sprezzantemente liquidate da Suslov, che, invece e per contro, rimangono l’ideologia di riferimento dell’Unione Europea. La quale, se nel corso della prima presidenza Trump aveva strizzato l’occhiolino a Mosca (arrivando, addirittura e per il tramite del presidente francese Emmanuel Macron, a ipotizzare collaborazioni in ambito militare), oggi ha interrotto con Putin ogni dialogo, avendo trasformato il sostegno all’Ucraina in uno schieramento di civiltà, dalla parte (nelle idee dei burocrati di Bruxelles) dell’Occidente democratico e progressista contro la “barbarie” delle autocrazie eurasiatiche. Sotto la guida di Ursula Von Der Leyen (e come chi qui scrive già ipotizzava nel 2019) l’UE ha abbandonato ogni velleità di autonomia rispetto al cosiddetto stato profondo di Washington in generale e ai centri direttivi del mondialismo in particolare, facendosi avanguardia di progetti dirigisti a forte valenza ideologica come quello sulla transizione ecologica: le illusioni e le maschere sono cadute e l’Europa unita si è confermata da un lato come semplice riproposizione in abiti civili della NATO e, dall’altro, come longa manus di consessi anglo-mondialisti come il World Economic Forum, già “patrono” del “Grande reset”. Ruoli che, in fondo, l’UE ha sempre avuto, poiché probabilmente costituita a tal fine, a dispetto di chi si era illuso in senso opposto nel quadriennio tra il 2017 e il 2021.
QUALI SPONDE PER BRUXELLES?
Persa definitivamente la Russia (che ormai pare condividere con Trump la volontà di indebolire l’UE, verso la quale il Cremlino ha apparentemente perduto qualunque aspettativa), l’Europa comunitaria, assediata internamente dai sempre più influenti “falchi atlantici” come i Paesi del Baltico e la Polonia (questi ultimi alleati naturali del trumpismo), potrà trovare, nel suo difficile rapporto con la nuova Casa Bianca, la sponda del Canada, del Regno Unito e financo, su certi dossier, della Repubblica Popolare Cinese, la quale ha sempre promosso il rispetto del multilateralismo e, soprattutto, di quella globalizzazione economica (contro ogni dazio) che è stata uno dei principali motori della sua ascesa.