Un popolo su chiamata unito dallo sport e dall’odio
Premesso che anche a me piace molto il 1942. In quell’anno di grazia la Roma vinse il primo scudetto della sua storia e siccome da queste parti, c’è da dirlo, quantomeno per onestà, non si portano a casa molti tricolori, ognuno dei tre conquistati è monumento alla fede, figuriamoci il primo. A parte questo, però, non credo mi sarebbe piaciuto più di tanto nascere o già essere grandicello nel ’42. Troppa tensione emotiva, i raid aerei, la terra da lavorare con le mani, i fratelli da crescere. Il lutto facile. Non mi piacerebbe, in fondo, neanche fare il viaggiatore del tempo. Troppo ben abituato, troppo poco collegato alla purezza di quei giorni, alla semplicità che diventa necessità, per sopravvivere a quei tempi duri come la pelle di un cinghiale, taglienti come una lama calda.
Eppure era immaginabile. Non si aspettava altro che avviare la danza primordiale, la tribù doveva essere, ed è stata anche questa volta. Scoordinata e pesante. Il rito è lo stesso, immutato nelle italiche lande: spezzato il collo alla selvaggina, la si lancia qualche metro più avanti, poi, loro arrivano. Di fronte all’assenza concettuale della giovane Alice Sabatini, neo eletta Miss Italia, non fu satira, ma cattiveria (vedi foto) – e per quei pochi per cui fu satira vera: grazie ragazzi, continuate così -. Non ironia ma indelicatezza assoluta, espressa in una sgraziata farsa popolare. Pubblica gogna, senza stile, torna ad affacciarsi la teatralità e la sottile (ma neanche tanto) malignità di un mezzo popolo parassita e parassitato, incattivito dai denari sempre assenti, da un Cristo fatto emigrare, da una coscienza nazionale infilata sotto al culo. Un popolo che o si fa sport o non è. Lo scatto, la corsa, sgomitando per essere i re del pubblico ludibrio telematico, social, nell’avventarsi come bestie sulla carogna di una povera crista, consapevolmente fenomeno di marketing, simbolo di un’Italia svanita e svilita, priva di estetica e di una nitida immagine di sé. Come negli sfondi del Verga, quelli de la “Libertà” tra ‘la folla che spumeggiava e ondeggiava’, ‘tra scuri e falci che luccicavano’, laddove ‘il sangue fumava ed ubbriacava. Ammazza! ammazza!’
Ammazza qui, ammazza la, la rivoluzione, a Bronte durante quei fatti, non avvenne. I suoi sobillatori vennero tutti sterilizzati, chi in gattabuia, chi morto ammazzato, giustiziato dai soldati di Bixio, venuto a reprimere il bagno di sangue di un popolo che era stanco e rotto, che pensava di essere libero uccidendo e che invece si racchiuse attorno allo sbigottimento del carbonaio a cui “mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: – Dove mi conducete? – In galera? – O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la libertà!… “
Non per scomodare Verga, ma per astrarne parte dell’essenza verista, quasi brutale. Se sono le piccole spese che fanno fallire l’azienda, allora sì che la nostra gente ora è libera. Finalmente si è soffiata, anche oggi, la coscienza sulle spalle della povera crista diciottenne di turno, si è liberata di qualche frustrazione veloce. E negli avvoltoi scatta impulsivo, istintivo il moralismo solo quando gli si scatena contro il capro espiatorio da sbranare, la selvaggina col collo rotto sotto i piedi. Grettamente, (molto poco) cordialmente.
Nessuna apologia. Non verso la giovane conterranea della provincia di Viterbo, né verso i miei connazionali o, dato l’ attuale attaccamento ai valori nazionali, alla scarsissima abitudine all’italianità, coinquilini.
Tra F35, Renzi lo straordinario retore illusionista, l’Europa strozzina, il Jobs Act, i deliri della Boldrini, le prese per il culo ai Marò e quanto altro nel grande teatro delle maschere, non resta che pensare: sbranata pubblicamente una ragazza ingenua ma onestamente diciottenne, riaccesa l’attenzione verso un baraccone scaduto, pieno di muffa, quasi inutile come il concorso di Miss Italia, pronti nuovamente a millantare rivoluzioni e a spalmare vaselina sull’orifizio anale.
Non dovrebbe stupire che la nuova reginetta di bellezza (woooww!) apra bocca e gli dia fiato. Scontato, quasi banale.
Previsto. Dovrebbe preoccupare che a dare fiato alle trombe e alla bocca sia ad esempio il nostro (…) presidente del Consiglio o magari della Camera dei Deputati o qualche Ministro, spesso scadendo nel ridicolo, nell’esaltazione delirante. Proprio come accaduto al ricciuto Angelo Branduardi che, giocandosi la chance di fare più di 100.000 likes e più di 20.000 condivisioni su Facebook, rincorre il buonismo etico e militante, in un’esaltazione della bellezza a suo modo, fino a paragonare Alice Sabatini con la giovane campionessa Beatrice Vio, vincitrice dell’oro ai Mondiali paraolimpici di scherma, ospitati dall’Ungheria, purtroppo costretta sulla sedia a rotelle dalla mancanza di gran parte degli arti inferiori. Demagogia portami via, giustizia fai da te, lacrime a rotta di collo, paragone forzatissimo.
Giungla.
Comunque, domani è un altro giorno, un altro pensiero, un’altra preoccupazione. Un altro caprone.
Forse non frega nulla a nessuno di chi abbia vinto Miss Italia. Non sarà una filosofa empirica, né più bella di Miss Moldova, eppure è italiana e donna, due questioni da non dare per scontate, oggigiorno.
Certo, se poi mi considera Micheal Jordan il miglior personaggio storico allora…