Quei colonnelli che non saranno mai generali
Forse, questa volta, è stata tolta la plastica dal divano. Avete presente quella sottile patina triste, brutale ed impolverata che ogni zia tirchia e cagacavolo teneva sui divani per proteggerli dall’incombente usura del tempo e del deretano? Quel palliativo vecchio, muffoso e stantio che ricopriva l’elegante sofà, lo soffocava e, di certo, non lo proteggeva dal tempo che passa, dalla fine dei suoi giorni.
Ecco, forse quella patina plastificata è stata tolta dal divano.
Intanto è ufficiale: Gianfranco Fini sarà sindaco di Montecarlo. Svincolato da tutto, potrà dedicarsi al ruolo derivante dalla solenne investitura. Fini è finito e con lui una sequela di graduati in(fini)ta, almeno internamente, almeno a destra, chissà poi altrove nel variopinto arco costituzionale. 266 a 222, game, set and match. La Meloni fa scopa: preso il simbolo, preso il consenso interno, vinta la mozione e respinte le mummie. Ora, però, non ci sono più scuse.
I quarantenni…quarantenni. Quegli alemanniani e finiani organizzati in un battaglione, affetti dalla sindrome di Benjamin Button, invecchiando ringiovaniscono. Hanno quarant’anni, politicamente, dal ‘79 o giù di lì, da quando, cioè, furono il rinnovamento generazionale della destra che doveva maturare. Per carità, a rinnovare, rinnovarono, e lo fecero anche ‘bene’: potenziarono l’offerta culturale della destra, gli aprirono la testa – forse troppo, fino, poi, a rinnegare un’identità in toto con la Kippah in testa -, gettarono le basi per creare la forza democratica di governo, capace di essere dialogica, interattiva, un po’ come i giochi da tavolo Clementoni. Cercarono e ottennero lo sfondamento, novelli Bersaglieri di Porta Pia; uno sfondamento che, dalle basi create da loro nel tempo, fu totale: sia verso la barricata opposta, sia verso il collasso interno. Da lì cominciò l’isterismo della casa comune, della comunità di uomini ed idee. Quarantenni che sono quarantenni da quarant’anni, l’unico rinnovamento generazionale reale e concretizzato, dalle nostre parti, negli ultimi anni. Quarantenni che ora ‘hanno perso l’occasione’, ‘nnaggia, che ora creeranno una nuova associazione che è ‘davvero rappresentante della destra moderna’ e che fra qualche mese, aggregato un nuovo manipolo di mercenari, partirà di nuovo all’attacco della linea comune, imperante. E ricomincerà l’eterno loop che incatena la destra nostrana, che la distrae dalle vicende del mondo e la scorpora spesso dalla realtà, che la spompa e la demonizza agli occhi della base militante, dell’opinione pubblica, degli elettori, che la attacca ai fianchi e poi sparisce in un mix tra Fabio Massimo ‘Il temporaggiatore’ e Brancaleone da Norcia. Che contribuisce all’eterna disgregazione, neanche fosse assalita da istinti suicidi ed isterici.
Altro che unione, altro che coesione. Altro che ritorno ad Itaca. Cristo s’è fermato a via della Scrofa. Intanto, è andata in scena la battaglia per un simbolo che ha più di vent’anni, da difendere non verso le nuove leve che emergono dal completo anonimato, non da una lobby di trentenni del ‘territorio’, quelli che portano voti, tessere e bel pensiero, bensì contro colonnelli esperti di tattica e marketing, noti e arcinoti, che loro malgrado non riescono a fare lo scatto di carriera: mai Generali. Costretti ad andare in pensione prima, forse, usufruendo delle riforme renziane. Forse in questo scatto d’orgoglio, però, sta la prima vera riscossa dei nostri che nel frattempo, rimpiangendo Almirante in occasione dell’ultima giornata celebrativa del centenario della sua nascita, ci chiediamo quando arrivino. Quando arrivino per la battaglia totale in favore della sovranità, unica condizione in cui la purezza della concezione di destra può esistere, per contrastare il renzismo e i deliri del progressismo, quando arrivino per capire dove vogliamo andare e cosa vogliamo essere, se conservatori 2.0 o liberali, nazionalisti o moderati, carne o pesce; per capire se fa più esempio Lindo Ferretti o Galli della Loggia, Niccolai o Prezzolini.
Una destra in continuo divenire in difficoltà nell’attualizzare i propri valori, le proprie visioni, nel camminare nei lunghi viali della modernità che avanza senza snaturare se stessa. In difficoltà nel formare le nuove leve, nel fare un patto generazionale, nel formare e produrre eredità, ‘tesoretto’ dal valore inestimabile, altro che i 180 milioni (o giù di lì) della Fondazione.
Intanto, la plastica dal divano è stata tolta.
La speranza divampa?