Deir-el-Zoor-crocifissione-di-donne-cristiane-armeneMa quanto è maturo l’occidente? Qual è il criterio per esserne parte? In quale modo l’epurazione dovrebbe garantire l’identità, forse conferma solo la paura di perderla?

La lunga tribolazione dei cristiani fuori dalle sicure mura di cinta della Città del Vaticano è infinita e parte da lontan, per approdare ad oggi. Oggi, che la stessa radice spirituale cristiana, in Europa, pare ridotta un freno incredibile al progresso materialista, godereccio e banchereccio del vecchio continente. E su questa oscena farsa obliosa è plasmato anche il presente italiano, eccezion fatta per Papa Francesco. Pesa l’ignorante silenzio degli ‘improvvisati al potere’ quelli per cui cento anni fa pare che nulla sia accaduto, che nessuno sia stato al fronte, che nessuno abbia ucciso nessun’altro, pesa come un buco nero.

Per fortuna, i ‘minimi’ s’attrezzano per la continuità.

‘Il grande male’. La lingua armena pare ingentilire la bestialità, arginando l’espressione che designa la strage nei confini della dignità di un popolo che è stato spezzato con la forza. Il genocidio armeno non è stato solo il loro grande male, lo è stato per tutti. Buchi neri che non ti faranno mai capire quanto è maturo l’occidente. Una ferita sanguina e se non si prosegue nella memoria, s’infetta.
L’animalesca abitudine del branco, quella della ‘pulizia etnica’. Cento anni fa il passato, il genocidio degli armeni, con oltre 1.200.000 vittime, quasi tutte cristiane, per mano turca. Cento anni dopo il presente, nel libro di Antonella Monzoni. Non una narrazione romanzata, non un’inchiesta: la potenza delle immagini, diretta. Osserva ciò che è. “Ferita armena” (Polyorama, pp.176, Euro 32,30) è un reportage fotografico nella terra del primo genocidio del XX secolo. Antonella Monzoni c’è andata in Armenia, l’ha percorsa. Modenese, big della fotografia nazionale, vincitrice di numerosi premi nazionali ed internazionali – tra cui nel 2012 il primo premio VIPA, Vienna International Photo Award – , con il reportage nel genoma. Impressionare gli uomini che fanno gli uomini, nel loro spazio, nel loro tempo.

Cento anni dopo il ‘grande male’ha raccolto gli scatti di viaggio in un libro. “L’Armenia è stata una scoperta per me. Ho sentito da subito il suo tormento, i territori che attraversavo si presentavano aspri, ostinati, rocciosi, un “regno di pietre urlanti” come lo ha definito Osip Mandel’stam. L’Armenia mi ha raccontato le sue ferite, la sua storia, il suo orgoglio. L’ho visitata tutta, camminando, conoscendo persone che amavano condividere con me il proprio vissuto e tutti, anche giovanissimi, parlavano della ferita più grande del loro popolo, che si chiama Il Grande Male”.

Nessun luogo, nessun collegamento tra il passato ed il presente è stato risparmiato all’obiettivo. Nessun immagine è stata interdetta al ricordo.Non un volume ma una candela accesa. Un momento di raccoglimento. L’assimilazione culturale del ricordo.

Dal 7 novembre al 2 dicembre 2015, alla QR Photogallery di Bologna, “Ferita Armena” in mostra.

Alessandro Aramu, Gian Micalessin e Anna Mazzone, invece, sono gli autori di Il genocidio Armeno: 100 anni di silenzio» (Arkadia Editore, 2015 – Euro 15,00). A distanza di cento anni da quel genocidio parlano da Yerevan gli ultimi sopravvissuti di una tragedia che ancora oggi la Turchia si rifiuta di riconoscere. Oltre alle eccezionali e uniche testimonianze, il libro descrive il terrificante passato facendo i dovuti parallelismi con quanto accade ora in Medio Oriente, in cui il governo di Ankara, ancora oggi, persegue una politica brutale e finanzia movimenti come l’Isis.

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