centri-sociali1-670x274Una piccola missiva, tra coetanei della stessa generazione. A te, che scendi in piazza per devastare la dignità.

Caro coetaneo esponente dei centri sociali, lascia stare, non ti convertire, non tornare sulla buona strada. Continua a fare come fai che di bravi ragazzi che aprono il portfolio per farsi un curriculum così a gratis è piena l’Italia. Continua a vedere tutto com’è: tutti razzisti, tranne te, tutti violenti, tranne te, tutto inutile tranne te, continua così. Uno come te, appunto, alla società civile, già fiaccata e massacrata dall’illegalità, mascherata da legalità, la tua lotta anacronistica, retrò, muffosa non serve né all’esodato né al disperato. Non serve più a nessuno. Fatti gli affari tuoi e continua sulla tua strada, che magari, un domani, diventi pure un docente universitario come tanti tuoi simili che negli anni di piombo, menavano le mani, grattavano via matricole e facevano fuoco.

Caro coetaneo esponente dei centri sociali ti scrivo, così mi distraggo un po’ (dalle tue malefatte). E lo faccio a te che sei un fenomeno e stai tranquillo “zio”, non è un complimento. Sei parte di una fenomenologia dinamica, e te che ti affanni tanto a voler fare una rivoluzione che rimanga scritta chissà dove, a crocifiggere Salvini, a bombardare la Meloni o chiunque la pensi diversamente da te; questo tuo essere completamente scorporato dalla realtà, ti rende massima espressione di un percorso di annichilimento sociale localizzato nel tempo. Hai visto? Sei anche “una massima espressione” di qualcosa, potresti ritenerti già ritenerti soddisfatto. Ma sei solo un fenomeno – lontano anche dagli esempi aberranti, alcolizzati ed affumicati del circense sessantotto – il che equivale a dire che nel divenire storico e nello sbrogliarsi delle dinamiche della vita politica e sociale, corrispondi ad una sorta di oggetto d’arredamento urbano ma questo, forse, tu lo sai e proprio per questo, forse, marciando a suon di psicologia inversa, cerchi di distruggerlo l’arredamento urbano.

Non assomigli all’Anarca e neanche al giovane Candido, né a Jan Palach, Dio volesse. Il tuo ‘operato’ assomiglia ad una bizzarra casualità, ad un dialetto scomparso; un rigurgitino dopo un pranzo di piombo durato trent’anni. Come la vacuità della nostra epoca, tempo che scorre inutilmente. Onanismo allo stato urbano. Non più in tempo. La contraddizione in termini assoluti.

Il peggior lascito di una generazione cuscinetto, dormiente, ma che ha le spalle robuste e livide, che conosce fin troppo il sacrificio sociale.

Un pensiero anche a te, caro Black Bloc, altro coetaneo di scorribanda; se il tuo secondo appellativo fosse stato scritto diversamente, ti avrei percepito quanto meno come un avversario e non come un’inutile calcio nelle palle. “Bloch”, Black Bloch, come Ernst quel tedesco marxista, pacifista e teorico dell’ateismo. Uno di quelli che inseguiva l’utopia e ne cercava un senso. Black Bloch, sarebbe stato meglio. Mi avresti fatto comprendere che un padre, un maestro, un incipit l’avresti avuto. Una guida spirituale, qualcuno così forte da ispirare la tua protesta antisociale ed antieconomica. Illogica e totale. Black Marx, Black Adorno. Anche Black pensatore minore. Sarebbe andato bene ugualmente. Ed invece sei un Black Orfano, al limite un Black & Decker, un trapano, sì, un trapano che sfracella occasionalmente i fianchi di un terra stanca e di un popolo allo sbando. Peggio dei tuoi antenati sessantottini.

E proprio questa grave assenza culturale vi porta alla devastazione, astraendovi dalla dimensione di disagio per condurvi a quella di oltraggio.

Quando peschi nel perché, nel tuo Io, trovi il nulla e non sai spiegarti perché lo fai, ma lo fai. E proprio questa grave, gravissima assenza di concetto, di capacità di elaborazione teorica che ti spinge a menare le mani e qualche poliziotto rannicchiato per terra che si para il volto come si fa sotto attacco di un Pitbull inferocito, in fondo la scuola del Reparto Mobile a qualcosa serve.

E poi un’altra cosa, caro coetaneo esponente dei centri sociali. Questa vorrei dirtela nella tua lingua. Non vorrei che oggi tu stai a fare la protesta contro Salvini, perché oh cioè, è un fascista ricco, un po’ come tuo papà che la fabbrichetta in Brianza deve avercela per forza, nel senso, altrimenti come ti paghi l’Uni o il bivacco al centro, il biglietto per Milano che vieni dalla Germania o dal Sud Italia oh, il casco, il cibo, la divisa da Black e da Bloc o il megafono nuovo, insomma tutta roba che costa.

Zio, ascolta, lascia stare. Non tornare sulla buona strada, ma che ti frega, nel senso. Continua a fare come fai che di bravi ragazzi che aprono il portfolio per farsi un curriculum così a gratis è piena l’Italia, ce n’è un esercito e fintanto che ci sarà uno Stato castrato come questo, va a finire pure che torni utile a “qualcuno”.

E se anche lontanamente ti dovesse passare per la testa di trovare nell’inflazionatissimo Pierpaolo Pasolini una causa comune e presente, ecco ricordati le sue parole:

“II PCI ai giovani!!
È triste. La polemica contro
il PCI andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati…
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
e lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici”

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