Il futuro della destra? Il feudalesimo e le guerre tra vassalli. Tristezza.
Si può uscire dal feudalesimo? Soprattutto, si vuole farlo? Agli occhi dell’elettore medio, povero portatore d’acqua con le orecchie, povero attaccatore di manifesti notturni, salvadanaio di insulti all’uscita del metrò nell’atto eroico, oggigiorno, della distribuzione del volantino elettorale, la bagarre incredibile che si sta generando tra i personaggi in cerca d’autore della destra italiana – di Pirandelliana memoria -, come appare? Di certo, non come uno sprint entusiasmante ed incoraggiante alla guerra – come quando Almirante riempiva piazza del Popolo a Roma, come quando ci fu Fiuggi nel ’95 o come quando Berlusconi scendeva in politica -, piuttosto come una mefitica alitata mortale. Ci risiamo: si avvicinano le elezioni, la destra si spacca ancora di più e continua imperterrita, dopo mille lezioni ricevute, mille sconfitte a sputarsi addosso senza nessuna remora. Eserciti di tesserati contro manipoli di comunicatori, minacce contro prese di posizione, il nero Meloni – e Storace -, l’azzurro Berlusconi e il verde Salvini, tre colori scorporati su un’unica tela. E la povera gente? La povera, stupida “base militante”, come si chiamava un tempo? Avvilita in un cantuccio a rimirare lo scontro interno che diventa protagonista, che si rafforza nelle volontà di imporre per forza un candidato, di costruirgli intorno una credibilità marmorea, vedi Berluscolaso – del resto, oggi, la politica è una professione del settore mediatico/economico, non è più un affare per pochi onesti stronzi che decisero di mantenersi lontani da ogni corruzione -, nelle volontà di prendersi tutto il centro destra, in un misto tra Romanzo Criminale e una litigata tra ubriachi, vedi Salvini – pur non avendone le caratteristiche culturali, morali, ideali, oltre che politiche – del resto, oggi, la politica è una professione del settore mediatico/economico, non è più un affare per…. – nelle volontà di prendere continuamente tempo, vedi Meloni.
Forzature, obblighi, imposizioni, minacce, ribellioni, ridicolezze – toglieremo i secchioni per impedire ai Rom di rovistare, vero Guido Bertolaso? Ce la passi anche Storace, ci può stare: ridateci i Marò o chiuderemo i ristoranti indiani – come fosse normale, per una destra nazionale che, però, ne ha persa di credibilità, di posizioni – anche sul territorio più minuto -, di punti e di uomini, di occasioni e di Governi.
Nel frattempo l’elettorato è parcheggiato ai gazebi delle primarie, nelle borgate o nel centro di Roma invaso dai topi – o nella speranza possa finire questa ridicola guerra tra feudatario, vassalli, valvassori e valvassini -, stufo di assistere continuamente ad una partita a Risiko, senza esclusioni di colpi (lanciati verso qualcuno, s’intende…) intervallata da una rissa da bar e una stilettata ai fianchi, di vedere un continuo inseguirsi e rinnegarsi come cambia il vento dei sondaggi, delle statistiche, delle (poche) certezze di anteprima elettorale, un continuo prendersi a schiaffi, cazziandosi come giovani e arrapati dirigenti giovanili di un partito che tentano a tutti i costi di piacere all’onorevole di turno, ingraziandoselo.
Quanto stile…sprecato. Guido Bertolaso – trionfatore delle primarie romane in cui pare abbiano votato 800.000 persone tra cui 50.000 elfi, 18.000 troll di montagna e 2500 clown russi – invita, con una cordialità tipica di Normanni in calata sulla Puglia, Giorgia Meloni a fare la mamma e a fregarsene della corsa al Campidoglio, la Meloni, giustamente, risponde a tono. Per altro, qualcuno vuole che chi fa la mamma debba defilarsi, lo stesso qualcuno che forse dovrebbe fare il nonno e andare in pensione; Berlusconi minaccia gli alleati (?): la parola va rispettata, e in ogni caso, la Meloni deve capire che fare il sindaco non è facile, bisogna stare quattordici ore in ufficio, troppo complicato per la ex ministro di un suo Governo (…). Salvini, invece, difende la Meloni, ergendola a propria scelta prioritaria (“[…] è pieno di mamme che lavorano, mi sa che Bertolaso è fermo a qualche anno fa, anzi, a Giorgia faccio gli auguri come mamma e candidato sindaco”), ma al contempo lascia intendere chiaramente che vuole attrarre magneticamente il centro destra su di sé e sulla sua Lega, “capace in due anni di diventare il primo partito di centro destra e il terzo d’Italia”. E poi Rita Dalla Chiesa, le preferenze per Marchini, i mal di pancia della base, dopo le uscire di Bertolaso, che hanno fatto stringere Berlusconi e tanto, tanto altro.
Si può uscire dal feudalesimo? Soprattutto, si vuole farlo? Quando era il carisma, la visione, la capacità di interpretare i tempi, di mantenere saldo popolo&partito e non la denigrazione, il doppiogiochismo a decretare chi fosse il capo carismatico, il leader della cosiddetta destra italiana.
Non sottovalutate gli occhi di chi guarda, le orecchie di ascolta, il cuore di chi milita, la testa di chi vota. Saremo pure dei luridi sognatori fuoritempo, ma se tutto questo non è importante, allora, risparmiatevi di chiamarla destra, chiamatela, chessò, “nonsinistra”.