Altro che gessetti colorati: da Palmira riparta il mito dei giovani europei
Nella storia dei moderni guerrieri, resiste la residua dignità di questi tempi. Esempi di coetanei ad altri coetanei, i figli fortunati del capitalismo e quelli coraggiosi dell’altra parte di mondo. Quella della flaccida eredità dell’Occidente delle due guerre mondiali che nel sostegno ai capricci di democrazia USA ed in ogni tuffo nel politicamente corretto ti accorgi di quanto sangue abbia indegnamente buttato, in un gettito di folle onanismo, e quella di chi ha deciso di non darla vinta all’impazzimento dei suoi simili. Quali esempi dovrebbero avere i giovani europei, quale marcia di battaglia, per cosa combattere, per dimenticare di essere stati allevati troppo spesso nella codardia, per non vederli più madonnari col gessetto sul selciato belga, apericena solidali, generazione Greta e Vanessa, lobotomizzati ricorrere agli slogan di plastica della modernità, fare la rivoluzione in 140 caratteri o accorrere al jihad come volontari, magari così, per noia verso un Occidente che ha tutto, anzi, troppo? Quali, l’Europa della finanza e dei diritti o gli USA di Obama?
Tornare all’idea che qualcuno è integro nel caos e non abbandona la posizione. E da qui generare la continuità che tiene attaccati ai tempi, offrendo la visione per il futuro.
Alexander Prokhorenko, i giovani combattenti siriani, Khaled Assad. Palmira. Nelle ultime disperate parole del giovane ufficiale russo dello Specnaz, che ha ordinato i bombardamenti “amici” su di sé perché solo, senza munizioni e accerchiato dal nemico nelle cui mani non sarebbe mai caduto, nella foto dei sorrisi dei giovani guerrieri vittoriosi contro il Califfato, alle porte di Palmira, nella strenua difesa di Tadmor, l’antica Palmira, da parte di Khaled Assad, il più famoso archeologo siriano che ha messo in salvo dall’Isis le opere più preziose, rimanendo a fronteggiarlo, lì, sul posto, non rivelandogli ove fossero neanche sotto tortura, risorge la bellezza. Da lì passa il Ritorno e la battaglia, il sacrificio e la vittoria. La luce che ammazza la tenebra, la gioia che allenta la tensione. La rivincita e il coraggio. Mitopoiesi. L’eco odierno e moderno delle fiamme di Palach, del seppuku di Mishima, di Giovan Battista Perasso o dei ragazzi del ’99. Nella bella morte o nella stupenda estasi della vittoria e della battaglia.
Tornare all’idea che qualcuno è integro nel caos e non abbandona la posizione e rifondare il mito, l’esempio. Qualcuno che non si butta alla macchia, correndo a perdifiato, guardandosi indietro mentre fugge, non sottrae la mano e sceglie la fine, fa stare meglio. Difficile pensarlo, oggi, abituati alla disumanità. All’informazione che vomita morte senza censura, al politico cambia casacca sempre in piedi, al delinquente sempre fuori dalla galera, alla giustizia inesistente, alla condanna a morte della logica e del buon senso, alla Tecnica senza un freno; al servilismo e all’opportunismo. C’è rimasto il culto dei morti e l’amore del ricordo per celebrare uno straccio di purezza, per mancanza di continuità di esempi nel presente. Una continua necrofilia, praticata intimamente, perversa. Alexander Prokhorenko, i giovani combattenti siriani, Khaled Assad, diventino simbolo, emblema di una generazione, come testate di ferro contro il politicamente corretto. Contro la devastazione di un’identità comune, contro un flaccidume intellettuale che sfocia in un’egemonia culturale schiavizzante. L’egemonia culturale imperante, stortura del peggior progressismo, ha trasformato ogni ode al coraggio, ogni corteggiamento all’onore, l’abitudine all’integrità dell’individuo, in un moralismo anacronistico, in una canzonella retorica vecchia e pomposa, barocca e fastidiosa, buona solo, secondo i suoi profeti, per i rendez-vous dei fascisti a Predappio – termine con cui s’indica, oggigiorno, una vasta gamma di figure: dalla vicina di casa che alle riunioni di condominio t’impedisce di far approvare la tua richiesta di ritinteggiare il balcone all’ausiliario del traffico che ti becca con le quattro frecce a comprare le sigarette in doppia fila, passando per la Turchia, l’Isis e Giorgia Meloni.
E il mito si alimenta sì, nella complessità della storia ma nei semplici gesti degli uomini. Nell’era del continuo ricorso al relativismo. Dalle fondamenta del mito rinasce la motivazione di una generazione.
Ditelo alla mia generazione che s’andasse a riprendere la rabbia e il suo tempo, che si commuova ancora e senta l’amore e l’odio. Diteglielo di farsi male nella battaglia contro il terrore, contro la decadenza, contro il nichilismo. Diteglielo di non farsi ammazzare in una guerra che non sta neanche combattendo.
Prokhorenko: “Non posso lasciare la mia posizione. Mi hanno circondato e si avvicinano. Vi prego sbrigatevi”.
Comandante: “Procedi verso la linea di estrazione, ripeto linea verde, linea verde. Vai nella zona sicura”.
Prokhorenko: “Negativo, non posso. Sono ovunque, è la fine. E’ la fine. E’ la fine…richiedo attacco aereo sulla mia posizione. Dite alla mia famiglia che li amo e che sono morto combattendo per la mia patria. Eseguite l’attacco, vi prego”.
Comandante: “Negativo, ripiega sulla linea verde, questo è un ordine”.
Prokhorenko: “Non posso. Comandante, sono circondato. Sono ovunque, non voglio che mi prendano, faranno di me ogni cosa. Vi prego fatemi morire con dignità e che possa portarmi dietro tutti questi bastardi. Vi prego è la mia ultima volontà, io sono già morto. Vi prego, non posso resistere a lungo”.
Comandante: ”… Alexander …conferma la tua richiesta”.
Ufficiale: “Mi hanno ormai raggiunto, non ho più munizioni. Grazie comandante, dite alla mia famiglia che li amo, che ho lottato fino alla fine. Vi prego, prendetevi cura della mia famiglia, vendicate la mia morte, vendicatemi. Addio comandante, dite alla mia famiglia che li ho sempre amati.”
Comandante: “….”