La Boschi e l’antifascismo sono la parodia della sinistra allo sfascio
Evoluzione: dall’antifascismo allo Sfascismo.
Renzi e i suoi uomini sono rosa shocking, come lo smalto di Luisona, la meretrice cinquantenne di provincia. Vorrebbe spingere, quando gli fa comodo, sul fattore della sinistra ribelle, animosa, battagliera, autentica e sentimentale ma non gli riesce: rosso non ci diventa proprio. Loro non vengono da lì. Loro non vengono, transitano tra le pagine della storia contemporanea e quindi quando provano a “tornare all’origine”, quando provano ad essere di sinistra, fanno semplicemente ridere.
Ma non è solo lui, solo loro a fare questo effetto.
Oltre alle varie dichiarazioni di guerra sparse in lungo e in largo per il Paese – che lo fa sembrare più un direttore artistico alle prese con un festival che alternativa militante al potere: CasaPound non passerà a Roma, Salvini non viene a Bologna, l’obelisco buttiamolo giù che l’Olimpico si vede male – l’universo dell’antifascismo militante italiano odierno è riducibile a due dichiarazioni, una che da quel mondo viene e una che in quel mondo va; citando il grande Battisti: planando sopra Boschi di braccia Te(le)se, si legge: “I veri partigiani votano la riforma”, parola della Boschi, e “La grande mobilitazione antifascista contro #Casapound ha prodotto l’assalto ad un pulmino di ignari turisti tedeschi. #Fantozzi”, parola di Telese. Due pillole che forse, come pochissime altre volte, ci fanno rendere l’idea di cosa antifascismo, seppur in estremo sunto, stia significando.
Per altro traspare palesemente una questione: l’esistenza stessa di Maria Elena Boschi è la più grande giustificazione a votare No al referendum di ottobre. Chi vota No è CasaPound, chi vota Sì è un partigiano – vero -, se il referendum non va, lei e Matteo lasciano la politica. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
Tra un assalto violento e l’altro – a livello psicologico e fisico – di tanti esponenti dell’antifascismo italico, eccoci a discutere se i partigiani, di ieri, di oggi, di domani, di terra, di mare e di aria, sosterranno il Governicchio Renzi che ha tanta, ma tanta, paura di andare a casa riformando(si) la Costituzione. Nonostante ci sia da riconoscere che i partigiani, quelli veri, hanno sparato scendendo dai monti, hanno maneggiato armi e cenato, la sera, insieme alla paura, insomma, alcuni di loro, certamente non tutti, si sono presi anche qualche pallottola addosso, poiché altra metà, checché se ne dica, se ne voglia e si chiuda gli occhi, gli orecchi e tutti gli orifizi, di una guerra civile che vedeva i militi della Resistenza, frapporsi non a fantasmi ma a ragazzi che fecero un’altra scelta: quella di non abbondare la Patria, già stuprata e buttata in un angolo, vestendo la divisa della Repubblica Sociale Italiana.
Da ieri a oggi, però, qualcosa è cambiato. L’antifascismo moderno mette tristezza, è casuale, confuso, fuori tempo, fuori luogo, rozzo, a tratti divertente, circense, se lasciato in mano ai centri asociali e alle bande di figli della borghesiuccia piccola così, della Roma bene oppure se votato esclusivamente all’eliminazione di qualsivoglia interpretazione di destra, di alternativa, più che a un sano sviluppo democratico. Quelli più estrema destra dell’estrema destra, negli incubi proletari di tanti.
Quelli che ti fanno dire: aridatece la Federazione dei Giovani Comunisti Italiani, aridatece i compagni. Eskimo e Gauloises, Marcuse e pugni chiusi. L’antifascismo moderno: ma che cos’è? Un parcheggio per nostalgici, un modo per aggregare e tenere in vita le sezioni dell’ANPI (soprattutto oggi che la natura porta via con sé i veri protagonisti di quando tutto aveva un senso)? C’è più gusto a prendere autocoscienza della parte opposta quando si ha coscienza dell’altra. Tutto un gioco di coscienza, ormai indegnamente decentrato dall’ideologismo: se oggi non si sa nitidamente cosa sia fascismo – di certo, fascismo, non è stereotipo netto di violenza e intolleranza, roba anni ’90, ma neanche Pavolini e Mussolini, la battaglia del grano, i Figli della Lupa e qualche inno da cantare con voce grossa – allora cos’è antifascismo? Troviamo un sinonimo e adattiamolo ai tempi perché visti i modi e i mezzi, per nostalgici, violenti, reazionari stanno passando proprio gli antifà.
Dai tempi di Caruso e Agnoletto, del G8 di Genova del 2001, che fatico a chiamare battaglia, che fascismo ha iniziato a perdere i suoi significati storici ed intimi – vuoi per l’evolvere del mondo, vuoi per il disinteresse e il degradare dello spirito della destra nazionale, vuoi per la deriva delle grandi ideologie del Novecento e della loro sempre più scarsa capacità di penetrazione – per assumere la generica accezione di “condizione che non permette lo sviluppo e la realizzazione della libertà”, e poi di “capitalista”, poi di “padrone”, poi di “cattivo”, inteso generico e insieme come violento, poi di “banchiere”, poi di “nazista”, poi di “quel tizio che dal panettiere prende l’ultimo filoncino di pane che c’era e sono le 12.45”, poi di “quel cugino che ti deve 2000 euro, sparisce poi riappare e ti dice seccato che quei soldi ancora non ce li ha e devi aspettare chissà quanto”.
Da lì in poi l’antifascismo ha dovuto riadattarsi come poteva. Da lì in poi antifascismo, per la stragrande maggioranza, è divenuto un pretesto per dire, fare, baciare, sfasciare, imporre, eliminare, pontificare, impedire e contraddirsi, o forse ritrovare un po’ di oggettività – anche se si è in piena giustezza e democrazia. Leggere per credere una testimonianza – onesta – di ieri di uno dei padri moderni dell’antifascismo italico, Emanuele Fiano: “Probabilmente morirò senza riuscire ad impedire che in Italia, siano autorizzate manifestazioni di gruppi o movimenti neofascisti, come quella di ieri a Roma, io ci provo ma non ci riesco. Se però qualcuno pensa che la giusta risposta alle manifestazioni di CasaPound sia sfondare a colpi di mattoni i vetri di un furgone con dentro chicchessia, sta anch’egli da una parte diversa dalla mia. Io sarò sempre antifascista ma condannerò anche e sempre qualunque violenza antagonista che assalti gazebo o mezzi o poliziotti o sedi. Antifascisti sempre, violenti mai” – cominciando a perdere la sua vera natura col degradarsi di un’area destra sempre più votata al business, al moderatismo, al voltagabbanismo, in uno spietato ritorno al feudalesimo e alla guerra di trincea; insomma, non esattamente come quando Mussolini abbandonava il PSI scrivendo “Io non sono un businessman” ma uno votato alla lotta.
Dato che la destra di casa nostra non può permettersi un ruolo, un’importanza sociale così elevata capace di influire nel dibattito pubblico e politico al suo parlare, a livello culturale ma soprattutto storico, cosa riservata invece all’antifascismo istituzionalizzato, allora bisogna rivolgersi all’altra parte, che invece, da tempo immemore, può farlo, appunto. Può esistere un antiparte senza l’altra parte, quella da combattere? “Ma l’antifascismo è un valore repubblicano, anzi è il valore repubblicano. Punto. È una condizione posta che taglia le epoche, è una metafora di libertà, è un sentimento di lotta e una sempiterna dichiarazione di indipendenza verso un mondo reso schiavo”, già ci s’immagina queste parole da parte di qualcuno. Eppure riesce difficile pensare ad una dottrina superiore, più forte di un dogma e di un’idea qualsiasi di libertà, che però non aderisce alla realtà, condizione che fa fatica a ritrovare persino Laura Boldrini, quando per antifascismo, nei 70 anni della Resistenza, intende la demolizione di obelischi, o nelle parole sul Referendum e i partigiani della Boschi o in quel suo ipocrita cantare Bella Ciao. Ma non finisce qui.
Se non ha bisogno di aderenza alla realtà, dunque, signori, io sono un cavaliere Templare. Esprimo e vivo i valori sempiterni del sacro Ordine senza avere la necessità di una giustificazione logico/spazio/temporale o comunque senza essere capace di essere sempre attuale – non retoricamente parlando -, di incarnarmi nella realtà, nei tempi che scorrono. Ecco, è proprio questo concetto di libertà, falso mito, di affrancamento, finanche dalla logica, che sta contribuendo alla distruzione della civiltà.
Allora nel rispetto di chi davvero crede fortemente, di chi quantomeno ha combattutto – chiamo a testimonianza quanto scritto da Domenico Ferrara, ad esempio: “Silvano Sarti, presidente onorario dell’Anpi di Firenze nonché ex combattente della Brigata Sinigaglia. Un’icona della resistenza che alla veneranda età di 88 anni (non proprio un ragazzino o una generazione successiva per citare la Boschi) il 6 maggio scorso, dopo aver presenziato a un convegno di Renzi, ha tenuto a precisare: “Faremo banchetti nelle piazze e nelle strade per far sentire la nostra voce, chi pensa che ho cambiato idea si sbaglia. Il fatto che fossi a sentire il Presidente del Consiglio è un diritto che per statuto dell’Anpi mi spetta, la mia posizione è un convinto no. Noi partigiani siamo la coscienza critica delle democrazia e difenderemo sempre la nostra Carta” –, risultando intelligente avversario di qualcuno, che la si faccia finita di riservare all’antifascismo militante una posizione di nobiltà sociale. Ormai è una parodia che nel suo nome espone la bandiera della pace e, al contempo, vuole impedire il pieno sviluppo democratico – fin dai tempi della pacificazione nazionale postbellica, sacrosanta chimera, che mai si è riusciti a porre in essere – o più semplicemente sfascia pulmini, picchia disabili all’angolo della strada e tira legnate al Reparto Mobile.
Chi è senza peccato, in questo mondaccio, scagli la prima pietra. Per gli antifascisti: da intendersi in maniera figurata, ovviamente.