Distruggere gli orticelli e far rinascere la destra, ora!
06 giugno 2016: il caos. Ormai si vota, si pensa cavalcando l’onda emotiva, senza base, né radice. Non importa come il Pd si sia ridotto (tra Banca Etruria, mafia capitale, politiche sull’immigrazione, indagati vari, ricchi premi e cotillons), non importa che il M5S sia una sorta di gioco di ruolo alla Orwell, lobotomizzante. Non importa più nulla ormai.
Roma casus belli.
Chi scriverà i discorsi al sindaco Raggi? Dalla funivia si vedrà meglio l’abusivismo edilizio, quei due tossici mentre si bucano, si potrà capire dove sono le buche o le buste dell’immondizia così da riuscire a fare per bene lo slalom con lo scooterone? Quando scatta “aaaaa rivoluzzione”? In attesa di dare una risposta concreta a queste domande, c’è una riflessione obbligata per chi viene da destra e quindi ha la precedenza, verso cosa, però, non si è capito. Chi si radica e chi non sa né farlo, né impedirlo.
Se la rivolta generazionale, storica, quella che il popolo attendeva da anni, si palesa nella vittoria di una poco simpatica signora romana – che ha studiato la parte e che soprattutto ricorda i vecchi tempi quando solo a dire Berlusconi si diventava Re di qualche stato africano. Come quando il Cavaliere era una bestia elettorale: lavoravi bene, un po’ di culo, primo in lista e svoltavi la vita, senatore, onorevole, presidente, sindaco, etc. etc. – facente capo ad un partito fondato da un genio e rappresentato da un comico dal vaffanculo facile, allora perché non possiamo dire che siamo lo stereotipo vuoto e ridicolo di noi stessi? “Che voto a fare?”, “tanto non cambia nulla”, “sono tutti uguali”, “basta la salute”.
Ci accontentiamo di poco, di un misto di comicità, Scientology, armata brancaleone e un libro di Tom Clancy. Anche se, a dirla tutta, Roma potrebbe essere la tomba del grillismo, anche se a dirla tutta: “prima di gridare a un risultato clamoroso del M5s conviene considerare un paio di cose: se si escludono Roma e Torino (dove Raggi e Appendino hanno ottenuti ottimi risultati grazie alla mancanza di alternative e al lor appeal politico e mediatico personale, meno legato a Grillo rispetto ad altri candidati), i candidati del Movimento 5 stelle non hanno lasciato il segno da nessuna parte. Un po’ poco, per chi promette da anni di rivoltare il paese. A chi è sicuro di una vittoria grillina in Piemonte e Lazio ricordiamo il “modello Austria”, dove nelle recenti presidenziali al primo turno il candidato della destra ultranazionalista sembrava destinato alla vittoria ed è stato sconfitto al ballottaggio. Forse è una forzatura ma la sindrome austriaca sarà uno dei grandi temi delle prossime settimane”, per dirla con Piero Vietti sul Foglio di oggi. Impossibile da non condividere.
Ma il vero dramma è altrove. Bisogna staccare il cordone ombelicale col passato.
Da “la destra è mia e la gestisco io” di Berlusconi versione Bertolaso e poi Marchini, in modalità screzio – al 4,23% a Roma (quattro virgola…), al 9,58% a Napoli e al 4,65 a Torino -, al camerata cinque stelle, fino allo 0,63 (zero virgola sessantatré) portato alla causa di Marchini, sempre in modalità screzio, dai colonnelli Storace, Alemanno, Fini e compagnia. Di qui passa la “colpa” della legittimazione altrui, dalla ridicola inesistenza di un’alternativa da destra e da un mondo, da un’area che ormai ha fallito.
Militante, nostalgica, coerente e sentimentale quanno je pare.
Ma la “colpa” della legittimazione di chi è? Di chi vuole radicarsi e di chi non sa impedirglielo. Ecco la destra odierna, zoppa, cieca e paracula, ancora incatenata nel voto utile e in quello inutile, non sa impedire, non sa costruire, non sa più fare niente, se non pontificare e dilettarsi di alta politica o di massimi sistemi. Fate uscire di corsa donne e bambini, la destra sta affondando. Sta affondando nelle sue porcherie, nei suoi screzi, nei suoi giardinetti da difendere, sempre più piccoli e secchi. Fate uscire le donne, i bambini e lasciate dentro i giovani vecchi, i feudatari, i vassalli, i valvassori e i valvassini, gli strateghi, gli intellettuali imbastarditi che del meticciato hanno fatto bandiera impedendo la rigenerazione del conservatorismo, ridicolizzando la tradizione – che va ricordato, non è l’adorazione delle ceneri ma la conservazione del fuoco -, i maghi e i Marchini dell’ultimo secondo.
Chi dovrà fare il nonno, vada a fare il nonno; chi dovrà andare in pensione, vi prego, vada in pensione.
La storia c’insegna e ormai purtroppo brutalmente ci dimostra, che la politica è un’aggregazione per scopi e obiettivi, come un’associazione culturale – ad essere dolci – o come un’azienda – ad essere oggettivi – che non ha più nulla da spartire a livello culturale, spirituale, ideale, sentimentale. Mercenari al servizio di un gonfalone che si danno una missione e la perseguono, tentando di regnare. Punto. Ecco in questa amarissima prospettiva, chi si separa, per screzio o per davvero, perde. Volenti o nolenti questa è la schifezza gestionale che ci ritroviamo, questo il modo di amministrare, l’input, la genesi moderna della politica. Volenti o nolenti è colpa anche, e soprattutto, nostra, dei nostri astensionismi, del nostro socialismo virtuale, della rabbia tramutata in odio, del nostro fottercene. Schifezza per schifezza, questo è il sistema vigente e cambiarlo è davvero dura, riportarlo ad una dimensione di dignità è affare davvero complicato. Schifezza per schifezza, chi si separa perde. Perde doppiamente: agli occhi degli uomini del proprio tempo, agli occhi della storia. Allora, all’indomani di una tra le votazioni più caotiche, diamo un nome alle cose: la destra ha perso (ancora), Giorgia Meloni ha vinto. Che è ben diverso da dire la destra ha vinto. La persona ha convinto – nonostante i tentennamenti iniziali – e tra le macerie ha infilato un ottimo risultato. La divisione paga. Punto.
La destra non ha perso, ha fallito. Un’adolescente incapace di imparare la lezione, di ascoltare l’elettore, di puntare ad una visione nazionale, di interpretare la realtà, di avere coscienza di sé e degli obiettivi. “Miseria e assenza di fantasia da chi viene da una storia di rivolta”. Distruggere e riconcepire, dentro le nuove leve. Subito.